Uno dei racconti di Cechov che più mi ha colpito è “La steppa”.
Dal mio punto di vista nella trama succede poco o nulla: un ragazzino viene mandato dalla madre a vivere in un’altra città per studiare, lo zio e un prete lo accompagnano. Il viaggio dura diversi giorni e, ovviamente, si svolge attraverso la steppa russa.
Ora in realtà il racconto dura ben 105 pagine, un romanzo breve in pratica, quindi evidentemente qualche cosa succede: ma si tratta di piccoli episodi, di incontri lungo la via, di tramonti, temporali e pennichelle sotto un carro!
Il fatto è che io, nel mio piccolo, quando penso a una trama ho ben chiaro in mente cosa dovrà accadere: da A arrivo a B attraverso gli episodi C, D ed E. In questo racconto invece da A si arriva ad A: sì, il ragazzino arriva a destinazione, ma di per sé nessun episodio del viaggio è stato significativo: un incontro avrebbe potuto esserci oppure no e per il ragazzino non sarebbe cambiato niente.
Eppure la storia funziona e mi è piaciuta: mi torna in mente la poesia Itaca dove si ricorda che nella vita non è importante la sua fine, la morte, quanto il percorso, quello che si compie.
L’atmosfera che Cechov riesce a costruire è estremamente realistica: è facile immaginarsi le dimensioni sterminate della steppa russa (soprattutto col temporale!) e, di conseguenza, a vivere un’esperienza fantastica che colpisce e affascina.
E poi si ha l’idea, in questa steppa senza fine, di un viaggio senza tempo: del resto quando scompaiono i punti di riferimento in una pianura sempre uguale a se stessa si perde anche il senso della velocità e, di conseguenza, del tempo.
Ma per questa caratteristica del racconto ho un esempio concreto: il ragazzino è stato momentaneamente affidato a una carovana di mercanti; a sera al vecchio del gruppo viene chiesto di raccontare una storia ed egli narra una sua vecchia avventura. Non entro nei particolari (un’osteria in cui vengono uccisi e derubati i clienti) ma la storia del vecchio potrebbe far tranquillamente parte di un racconto del Decameron. Qui vi è qualcosa di profondamente radicato nella natura umana, nel riunirsi insieme intorno a un fuoco la notte per raccontarsi storie: non è solo il calore del fuoco che l'uomo ricerca ma anche quello della compagnia dei propri simili. Potrebbe essere un episodio del XIX secolo come del XIV come di 2000 anni fa.
Anzi avrei anche un altro esempio: a un crocicchio lungo la strada c’è una vecchia croce; non ricordo i dettagli ma viene accennata la storia di due mercanti rapinati dai briganti: uno muore mentre il figlio riesce a scappare e mi sembra (ma potrei sbagliarmi!) poi si vendichi degli assassini che giacciono quindi nei paraggi insepolti. Anche questa storia potrebbe essere un racconto narrato da qualsiasi viaggiatore a una croce abbandonata lungo la strada.
Dal non tempo fisico esteriore si passa a un non tempo interiore dei singoli individui: anche loro non cambiano, sembrano cristallizzati nei loro stereotipi, persi nella dimensione senza tempo della steppa.
Conclusione: Cechov scrive bene. Le sue trame, dal mio punto di vista materialistico, sono prive di sostanza ma, forse proprio per questo, senza queste zavorre logiche, riescono a innalzarsi come palloni aerostatici nell’immaginario del lettore, a colpirlo profondamente.
Se tutto è antisemitismo
1 ora fa
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