Ieri sera ho fatto l’annuale uscita a cena fuori per una pizza con un’amica.
Come al solito abbiamo parlato del più e del meno: dalla lingua hindi allo stile urbanistico del quartiere dove abitava Eichmann a Linz passando per la neurologia del sonno. Mi era stato anche preannunciato un problemino matematico che però si è rivelato un po’ troppo facile per essere interessante…
Ovviamente non poteva mancare l’accenno ai miei pezzi su questo sito: ma non si è trattato di complimenti, anzi, mi ha tirato le orecchia. Mi ha spiegato che ancora qualche anno fa si divertiva a leggere quello che scrivevo (escludendo alcune tipologie di pezzi come quelli sulla matematica o il calcio) mentre adesso non più.
Io mi sono subito incuriosito perché, seppure con accenti diversi, avevo ricevuto critiche analoghe da parte di un amico.
Chiaramente le ho chiesto di spiegarmi bene quale fosse il problema dal suo punto di vista ma lei non mi ha risposto con un motivo chiaro ma mi ha descritto la sensazione che provava: quella che io “inscatolo” tutto, vedo un “ape che vola” e dico “guarda che bell’ape” e poi l’inscatolo; oppure. Mi, ha detto, “leggi le teorie superate di Freud e su queste premesse, nonostante siano fallaci, costruisci le tue teorie”; precedentemente mi aveva detto di aver iniziato a leggere un pezzo dove accuso i giornalisti di piaggeria e servilismo verso il potere (credo intendesse Il destino dell’uomo) ma di non averlo completato perché seccata per la mia dura presa di posizione a suo parere troppo assoluta e contemporaneamente semplicistica.
Mettendo insieme queste osservazioni ho cercato di individuare un filo conduttore: ho ammesso subito di essere divenuto più deciso e convinto delle mie idee e questo mi ha portato subito a un indiziato: la mia Epitome.
Nell’Introduzione della versione 0.5.1 dell’Epitome si può leggere un paragrafo, poi rimosso sembrandomi irrilevante, molto significativo:
«Anche se i lettori sono stati pochissimi questo enorme sforzo mi è stato, almeno personalmente, molto utile: questa opera di rielaborazione mi ha infatti portato a comprendere molto meglio la mia stessa teoria!
Adesso, quando mi confronto con una nuova problematica, mi è immediatamente chiaro la sua collocazione approssimativa nella struttura generale che ho elaborato: ho quindi la consapevolezza immediata di quali siano le relazione e connessioni con tutti gli altri aspetti della mia teoria; questo mi permette di comprendere e affrontare nuove questioni più rapidamente e facilmente.»
Ecco, è proprio questa maggiore “chiarezza” con cui osservo tutto ciò con cui vengo in contatto che mi porta a inquadrare ogni problematica all’interno della mia teoria e, di conseguenza, a esprimere giudizi netti e talvolta definitivi che, immagino, possono portare i lettori a storcere il naso.
A questo punto credo di aver capito cosa intendesse la mia amica accusandomi di “inscatolare tutto”: ormai quando mi imbatto in una teoria ho la tendenza automatica a confrontarla con quanto ho scritto nella mia opera. Dal mio punto di vista si tratta di una maniera per capire se e dove posso/debba ritoccare quanto ho scritto o di trovare conferme più o meno autorevoli su quanto mi sono immaginato senza avere conoscenze pregresse in materia.
Del resto questo sito riflette il mio modo di pensare: adesso quando incontro nuova conoscenza tutto il mio interesse è nel cercare di inquadrarla nella mia teoria, ovvero nell’Epitome. L’Epitome è tutt’altro che perfetta! È al contrario una specie di mostro di Frankestein che cresce sempre di più e al quale periodicamente aggiungo nuovi “pezzi”/teorie…
Così, dove in precedenza ero cauto nei miei giudizi perché io per primo ero incerto su come valutare un fatto o una persona, adesso non ho esitazioni perché, non sempre ma molto più spesso di prima, l’inquadro immediatamente nel contesto teorico fornito dalla mia Epitome.
In effetti nei pezzi in cui faccio riferimento all’Epitome premetto la seguente nota:
«[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.6.0 "BW").»
Poi, quando uso qualcuno dei “miei” termini, cerco sempre di inserirlo in un contesto da cui se ne possa comunque intuire il significato ma mi rendo conto che ciò non è sufficiente. Intuire poco e male il significato di un termine non significa comprenderlo: se io scrivo “parapotere” intendo un “gruppo chiuso e autonomo” e tutta una miriade di relazioni con altre entità che definisco e spiego nell’Epitome. Se il lettore invece quando legge “parapotere” se lo traduce semplicemente con “potere forte” ecco che tutto il senso di ciò che scrivo può venire frainteso e distorto e io, ovviamente, sembrare il matto delle giuncaie che blatera di complotti e ingiustizie varie…
Ma non potrei evitare questi miei neologismi che, in pratica, io sono il solo a capire pienamente?
Potrei e l’ho fatto: prima dell’Epitome quando mi capitava di affrontare un argomento complesso era tutto un inserire collegamenti a pezzi precedenti dove c’erano “frammenti di ragionamenti” e riflessioni che richiamavo per usare nel nuovo contesto.
Ma ciò era ovviamente difficoltoso e noioso per me: dovevo ricordarmi dove avevo scritto cosa, ricercarne il collegamento e farne una rapida sintesi. In questa maniera riempivo facilmente mezzo pezzo di premesse.
L’Epitome nacque infatti proprio per “risolvere” questo problema! Io volevo espandere le mie riflessioni senza dover ogni volta rispiegare da capo il mio punto di vista.
Sempre dalla mia Introduzione all’Epitome (v. 0.5.1):
«[Novembre 2016] Ultimamente, sempre più spesso, quando scrivo sul mio viario un pezzo di una certa complessità, mi trovo nella necessità di citare me stesso: di ricordare cioè ai lettori osservazioni, ragionamenti, intuizioni, teorie o idee che ho elaborato nel corso degli anni e sui quali ho già scritto qua e là.
Il risultato è che sono obbligato ad aggiungere svariati collegamenti ad altri miei pezzi e questi, a loro volta, ne richiamano altri. È chiaro come in questa involontaria confusione il lettore occasionale finisca per perdersi, confondersi e, probabilmente, annoiarsi. Ma anche per i lettori più affezionati può comunque essere difficile orientarsi nell'ambage dei riferimenti intrecciati che si richiamano l'un l'altro.
Di conseguenza, nonostante i miei sforzi per essere chiaro e comprensibile da tutti, finisco per apparire criptico o comunque troppo complicato.
È per ovviare a questo problema che ho deciso di scrivere questo documento.
L'idea è quella di riassumere tutte le mie riflessioni più importanti in maniera organica e strutturata: una sorta di epitome del mio pensiero. Molto di quanto propongo qui infatti l'ho già scritto nel corso degli anni sul viario. Ma tali riflessioni non erano però pubblicate seguendo un preciso criterio logico ma, piuttosto, erano stimolate e scritte in risposta a un qualsiasi avvenimento casuale: in altre parole, sul mio viario, l'ordine cronologico di pubblicazione non coincide con quello logico.»
È ovvio che dopo aver fatto lo sforzo di realizzare questa poderosa sintesi la usi come base di partenza per analizzare nuove problematiche.
Ma come al solito il diavolo, che in questo caso sarei io, fa le pentole ma non i coperchi: non avevo previsto che anche i lettori più fedeli si perdessero non riuscendo più a seguire i miei pensieri. Io, modestamente (!), sono come un'aquila che si lancia nel cielo dall’alto di un picco roccioso mentre i miei lettori mi osservano dal basso della valle e vedono solo in lontananza le mie evoluzioni nell’aria. Chiaro che non possono comprendere i dettagli e le sfumature di quello che scrivo: è normale che a loro appaia insopportabilmente categorico quando tutte le mie incertezze, con i relativi “se” e “ma”, sono descritte altrove…
In pratica l’Epitome ha avvelenato questo ghiribizzo: essa mi ha aiutato ad andare oltre al mio pensiero ma i miei lettori, anche quelli più indefessi, non sono riusciti a seguirmi.
Perché poi, inevitabilmente, anche nei pezzi dove evito di inserire la mia avvertenza sulla lettura dell’Epitome è ovvio che essa è sempre nei miei pensieri e condiziona comunque il mio modo di ragionare: magari non accenno a “protomiti” o alla strana “democratastenia” ma io ormai ragiono con queste categorie ormai ben chiare nella mia mente. Inevitabilmente il mio scrivere ne risente…
Che fare quindi?
Non so… sicuramente aggiornerò l’avvertenza in questo modo:
«[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.6.0 "BW").»
L’avviso era vecchio quanto la prima versione dell’Epitome ma ormai la sua teoria ha trasceso quanto scrivo su questo sito: è giusto quindi riflettere tale cambiamento anche nell’avvertenza. Del resto meglio non essere letto che frainteso: si evitano fastidiose incomprensioni.
Ovvio che questa soluzione è solo un palliativo: di certo non posso fingere che le mie idee siano meno complesse ed evolute di come sono divenute nel corso di questi anni. Non credo che mi riuscirebbe neppure se mi venisse la folle idea di provarci.
L’unica soluzione è che il lettore legga la mia Epitome: da parte mia posso solo dare il massimo risalto a tale inevitabile necessità.
Conclusione: sono contento di aver compreso questo problema ma triste perché non vi vedo facili soluzioni. L’Epitome non è più un aiuto alla lettura di questo sito ma un’ingombrante necessità per la sua comprensione.
L'esempio di Benjamin Franklin
3 ore fa
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