«[Figlio dell'uomo] Porgi l'orecchio e ascolta le parole di KGB
e applica la tua mente alla SUA istruzione
» Pv. 22,17

Qui si straparla di vari argomenti:
1. Il genere dei pezzi è segnalato da varie immagini, vedi Legenda
2. Per contattarmi e istruzioni per i nuovi lettori (occasionali e non) qui
3. L'ultimo corto è questo
4. Molti articoli di questo blog fanno riferimento a definizioni e concetti che ho enunciato nella mia Epitome gratuitamente scaricabile QUI. Tali riferimenti sono identificati da una “E” fra parentesi quadre e uno o più capitoli. Per esempio: ([E] 5.1 e 5.4)

sabato 20 giugno 2020

Intuizioni americane (mie)

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.6.0 "BW").

Oggi ho visto la quinta puntata del corso sulla rivoluzione americana della professoressa Freeman. Speravo approfondisse la guerra del 1760 combattuta da inglesi e coloni contro francesi e indiani ma in realtà l’ha saltata a piè pari!

Ne sono rimasto sorpreso perché nelle prime puntate aveva più volte ripetuto come tale guerra rappresentasse un punto di svolto nell’evoluzione della visione che i coloni avevano di loro stessi e dei loro rapporti con l’Inghilterra. Io avevo subito drizzato le mie orecchie perché nell’Epitome ([E] 3.4) spiego che eventi che coinvolgono una parte significativa di una società hanno la capacità di variarne gli epomiti. Facevo proprio l’esempio della guerra (avendo in mente la II guerra mondiale): «...se ai soldati che combattono in guerra viene detto che lo fanno per la patria (protomito), per la libertà (protomito), per la giustizia (protomito) o per la democrazia (protomito) essi finiranno per convincersi che sia realmente così e, di conseguenza, attribuiranno grande importanza a tali protomiti. Quindi, anche al termine della guerra, continueranno a considerare precipui i principi e gli ideali (protomiti) per i quali, o perlomeno di questo persuasi, hanno combattuto e rischiato la propria vita.
Grandi eventi, che coinvolgono fasce significative della popolazione, hanno la possibilità di variare l'importanza che i singoli danno a specifici protomiti e contribuiscono così a dare un'impronta ideologica all'intera società.
In definitiva il valore attribuito ai diversi protomiti non è fisso ma varia costantemente nel tempo e queste variazioni possono essere significativamente condivise da gran parte della popolazione.
»

Possibile che qualcosa di analogo fosse accaduto anche per i coloni americani del XVIII secolo?
Io ero fortemente convinto che fosse così ma la professoressa, saltando completamente tale guerra, non mi ha dato molti elementi da valutare…

Indirettamente però qualcosa l’ho comunque intuita con una buona attendibilità. Prima però devo riassumere la situazione.

Nel 1760 l’Inghilterra e i coloni sconfiggono Francia e indiani in nord America. L’Inghilterra si ritrova però negli anni seguenti con un pesante indebitamento e, per questo, alza le tasse in tutto il regno. Nelle colonie è rimasto un esercito inglese che, almeno in teoria, dovrebbe proteggere i coloni da francesi e indiani così il ministro delle finanze inglesi Grenville pensa bene di far contribuire al costo del suo mantenimento anche i coloni. Per questo prende nel corso degli anni 1764 e 1765 vari provvedimenti che culminano con lo “Stamp Act”: ovvero una tassa sulla carta che colpisce avvocati, giornalisti, editori, mercanti, armatori… (*1)
I coloni protestano sì per l’aumento delle tasse (c’era stato anche lo “Sugar Act” che imponeva dazi sulle merci importate dall’Europa) ma anche perché si sentivano discriminati dai cittadini inglesi: essi non avevano rappresentanza nel parlamento inglese ma questo imponeva la propria volontà sulla loro. Oltre alle tasse era stato, per esempio, vietata la stampa di moneta nelle colonie (“Currency Act”) e nei processi per contrabbando gli imputati venivano tutti processati ad Halifax (con tutte le spese a loro carico) in Canada dove non vi era poi un normale processo con giuria ma solo un giudice.
Come concluse la professoressa nella sua prima lezione paradossalmente i coloni si ribellarono all’Inghilterra per il diritto di essere pieni cittadini inglesi!

Ecco, io credo, ma questa è una mia ipotesi, che gli inglesi per attirare volontari che combattessero al loro fianco contro francesi e indiani avessero puntato molto sull’insistere che i coloni fossero pari a cittadini inglesi e che ne avessero gli stessi diritti e doveri: in particolare il dovere di combattere al fianco dei soldati di Sua Maestà Giorgio II-III. Ma gli inglesi non potevano richiamare al dovere senza allettare i coloni con i diritti…
Ecco quindi che, sotto queste ipotesi, la mia teoria sullodata spiegherebbe bene l’improvvisa attenzione dei coloni ai propri diritti come “sudditi inglesi” e, quindi, la loro fortissima reazione a vederli violati pochi anni dopo la fine della guerra.

Mi sembra un’ipotesi altamente credibile ma, sfortunatamente, non ho elementi concreti per confermarla: magari farò qualche ricerca su altre fonti…

Ho poi avuto un’altra intuizione interessante. Curiosamente la professoressa non ne accenna minimamente ma io, che non ho problemi di modestia, la ritengo ugualmente valida.
La terza ragione per cui i coloni protestavano contro lo “Stamp Act” era anche la difesa della loro libertà: la libertà era strettamente legata alla proprietà ed essi ritenevano che soltanto chi paga una tasse debba avere il potere di imporla.
La professoressa Freeman lega questo ideale di libertà al sentirsi soggetti inglesi pieni, ovvero con tutti i diritti, ma secondo me c’è un altro fattore.
È da notare che le proteste erano, in genere, guidate dal Massachusetts (capitale Boston) quasi la più settentrionale delle colonie americane; però, la famosa dichiarazione sulla libertà di Patrick Henry (“Datemi la libertà o datemi la morte”), fu fatta in Virginia, che invece è al sud.
La differenza è che al nord gli schiavi erano relativamente rari (1 su 35 nel New England), in genere domestici indiani, mentre al sud rappresentavano una fetta consistente della popolazione (mi pare che nella Carolina del sud fossero addirittura la maggioranza): qui i grandi proprietari terrieri sfruttavano gli schiavi di origine africana nelle loro piantagioni.
Ma cosa distingue uno schiavo dal suo padrone? La libertà. Ecco perché, questa è la mia ipotesi, soprattutto nelle colonie del sud (Virginia compresa) l’ideale della libertà era particolarmente sentito: era ciò che rendeva i coloni diversi dai propri schiavi. Quando gli inglesi intaccarono la loro libertà essi dovettero sentirsi particolarmente minacciati (*2).

Questo mi fa tornare in mente un’argomentazione della Freeman che mi aveva molto colpito: in realtà, a causa della mia solita modestia, l’avevo tacciata per “caz###” ma comunque ho continuato a ruminarci sopra.
La professoressa nello spiegare le differenze fra coloni e inglesi porta tre argomentazioni: la prima di queste è il “carattere” dei coloni: chiunque intraprendesse il pericolo del trasferirsi in una nuova terra al margine della civiltà, lontano da parenti e amici, doveva essere qualcuno che amava il rischio, ricco di intraprendenza e volontà di migliorare il proprio status sociale.
Io ero perplesso perché questo argomento sottintende a un’ereditarietà di alcune caratteristiche psicologiche: i coloni erano più intraprendenti dei loro cugini inglesi perché discendenti di persone che amavano il rischio ed erano coraggiose.
È vero che alcune caratteristiche psicologiche sono ereditarie ma l’argomento mi puzza di eugenetica spicciola in cui basta troppo poco per selezionare specifiche qualità individuali.
Credo invece che l’argomento della professoressa sia basato sullo stereotipo attuale dell’americano intraprendente: si confonde la cultura e le possibilità date dalla società più ricca del pianeta e gli si dà una pseudo-spiegazione genetica (*3). Insomma non mi convince molto.
Mi è tornato in mente questa particolare teoria perché essa può essere “utile” per spiegare l’attuale realtà americana: i discendenti di chi è immigrato volontariamente negli USA è intraprendente per ragioni genetiche ma allora cosa si può dire di chi invece vi è stato portato come schiavo? Certamente gli afroamericani non hanno quindi l’intraprendenza e lo spirito d’iniziativa che caratterizza il resto della popolazione: questo potrebbe essere un argomento usato per giustificare la loro maggiore povertà.

Evidentemente l’argomento della schiavitù è un qualcosa che, magari sotto la superficie, è sempre ben presente nel quotidiano riflettere degli americani: sotto forma di pregiudizi, stereotipi o improbabili spiegazioni. Ma qui è la mia intuizione che parla a ruota libera…

Conclusione: il corso continua a essere molto bello ma l’aver “saltato” la guerra del 1760 è stata una grande delusione.

Nota (*1): tutta gente con una grande capacità di influenzare l’opinione pubblica: mossa non molto astuta quindi…
Nota (*2): del resto la schiavitù crea una precisa dissonanza cognitiva ([E] 1.3): il padrone deve convincersi di essere diverso dal proprio schiavo. Se questa sicurezza viene minacciata è ragionevole attendersi una forte reazione in sua difesa….
Nota (*3): mi sembra un esempio di postvalutazione: vedi [E] 1.4.

Nessun commento:

Posta un commento