Il pezzo di oggi avrebbe potuto essere completamente diverso: ieri avevo praticamente completato un articolo dove riprendevo e approfondivo il tema del dovere di cui avevo accennato in Il destino dell'uomo: alla fine però c’era qualcosa che non convinceva neppure me stesso e quindi ho preferito rimandarne la pubblicazione a dopo (forse) una nuova lettura e riflessione.
L’argomento odierno è invece totalmente diverso: non so se qualcuno dei miei lettori ricorda i miei dubbi quando questo inverno aggiunsi all’Epitome un sottocapitolo intitolato “La legge della diseguaglianza”. In pratica avevo ideato da zero (senza cioè essermi basato su corsi o libri) una teoria sociale che cercava di spiegare come mai l’uomo tollera delle diseguaglianze anche palesi.
Qualche giorno dopo avevo poi comprato Le radici psicologiche della diseguaglianza di Chiara Volpato, una professoressa universitaria di sociologia che, evidentemente, affrontava il mio stesso argomento.
La mia paura era quella di pubblicare questa mia intuizione sulle diseguaglianze per poi scoprire, alla prova dei fatti, di aver scritto un cumulo di sciocchezze.
Però, probabilmente avrete capito il mio carattere, questo genere di scommesse contro me stesso mi piacciono e mi divertono: contemporaneamente la mia Epitome non la legge nessuno quindi se per qualche mese avesse incluso una castroneria più o meno evidente i danni sarebbero stati comunque nulli.
Le prime pagine lette del saggio della Volpato furono però incoraggianti: al di là della diversa terminologia vi ritrovai conferme a molte delle mie idee. Finalmente ieri, a circa i due terzi dell’intero saggio, dopo aver illustrato approfonditamente le premesse, finalmente anche l’autrice spiega quale sia la teoria che giustifica le diseguaglianze.
Ma prima vediamo cosa scrissi io in [E] 7.2 nel sottocapitolo intitolato “La legge delle diseguaglianze”.
Inizialmente riassumo il paradosso dell’inconcepibile forbice fra i super-ricchi e poveri: curiosamente anche la Volpato ha seguito nella struttura del suo libro questo mio stesso approccio.
Poi vado al sodo e scrivo:
«A causa delle limitazioni cognitive elencate nel capitolo 1 l’uomo non riesce a essere completamente oggettivo e razionale nelle proprie valutazioni. In particolare giudica la propria condizione basandosi non su criteri assoluti o principi morali ben definiti ma, semplicemente, confrontandosi con chi gli sta più vicino: amici, parenti, colleghi di lavoro.
Questo porta l’uomo a valutare erroneamente il proprio stato: ignora ciò che sarebbe giusto e si limita a considerare la prospettiva limitata fornita dall’esempio dei propri diretti conoscenti.»
Spiego poi che i parapoteri sono almeno parzialmente consapevoli di questa legge e spesso la usano a proprio vantaggio: segue una pagina circa di esempi concreti.
Quindi ribadisco e specifico: «Possiamo quindi definire la legge della diseguaglianza: l’uomo valuta il proprio stato confrontandosi quasi esclusivamente con le persone che gli sono vicine e che frequenta quotidianamente: per questo motivo egli è in grado di percepire e risentirsi (se ne è vittima) solo delle diseguaglianze locali ma non di quelle globali o avventizie.»
In pratica ripeto quanto già premesso aggiungendovi un’ulteriore distinzione che emerge dagli esempi fatti: le diseguaglianze possono essere locali (naturali) o globali (artificiali).
Approfondisco poi le differenze e particolarità fra diseguaglianze locali e globali per un’altra pagina. Ovviamente i paragrafi qui riportati includevano delle note, anche piuttosto consistenti, che però ho qui preferito tagliare per sinteticità.
Ma veniamo al saggio della Volpato:
«Quello che sta succedendo oggi in molti paesi può essere interpretato alla luce della teoria della deprivazione relativa, secondo la quale le persone percepiscono più acutamente la deprivazione non tanto quando sono realmente deprivate, ma quando sentono di stare peggio di altri con cui si confrontano.» (*1)
Poi spiega che questa teoria è del 1949, ne indica l’autore (Samuel Stouffer), e presenta varie evidenze empiriche che la confermano.
Vabbè, copio qualche altro paragrafo per mostrare meglio la corrispondenza col mio pensiero: «Il concetto è stato poi precisato nel 1966 da un sociologo inglese, Walter Runciman, in uno studio sulla soddisfazione lavorativa dei colletti blu e dei colletti bianchi inglesi, dal quale risultava che i colletti bianchi, oggettivamente avvantaggiati, provavano maggior scontento e deprivazione dei colletti blu, perché vedevano progressivamente diminuire la distanza economica e sociale tra i due gruppi.» (*2)
Oppure: «Per quanto riguarda invece la deprivazione relativa collettiva, le credenze nella giustificazione del sistema rendono più opaca la percezione che il gruppo di appartenenza sia oggetto di discriminazione e minano il sostegno ad azioni collettive.» (*3)
Quest’ultimo paragrafo mi è sembrato molto significativo perché le “credenze nella giustificazione del sistema” altre non sono che i miei equimiti e anch’io giungo alle stesse conclusioni.
Ma ovviamente ci sono anche delle diversità (premetto di non aver ancora terminato questo capitolo del saggio: potrebbero quindi emergere altre differenze e/o similarità) fra la mia teoria e quanto ho trovato nel libro della Volpato.
Io distinguo fra diseguaglianze locali e globali dove le seconde sono possibili solo nel mondo attuale grazie, sostanzialmente, all’azione dei media. Mi pare una distinzione molto profonda e utile soprattutto perché io mostro come i parapoteri possano sfruttare a proprio vantaggio questa legge dividendo i poteri più deboli fra loro: per la comprensione della crescente diseguaglianza nel mondo moderno mi sembra un passaggio fondamentale.
Dal canto suo il saggio cita una suddivisione fra diseguaglianza individuale e di gruppo: a me pare una banalità in quanto l’unica conseguenza è che la prima causa malessere e risposte individuali (grazie!) mentre la seconda di gruppo (grazie!).
Probabilmente integrerò queste nuove informazioni nel mio sottocapitolo magari in delle note, non so. Sono incerto invece se ribattezzare il sottocapitolo “Legge della deprivazione relativa”: da una parte non ne so abbastanza per esserne sicuro di averne compreso tutte le implicazioni; da un’altra la mia legge ha delle peculiarità e definizioni diverse. Probabilmente citerò questa teoria della deprivazione relativa in qualche nota…
Conclusione: ieri ero tutto su di giri per questa “scoperta”. Non solo sono sollevato dall’aver trovato conferme pesanti alla mia teoria ma sono anche entusiasta per il fatto di aver compreso di essere addirittura “più avanti” nella comprensione della società. Il mio punto di forza è la generalità della mia teoria: anche questa teoria, per esempio, è inserita in un più ampio contesto che però ha il pregio di evidenziarne immediatamente cause, conseguenze e relazioni con altri aspetti sociali. Io ho già collegato tutti i singoli elementi insieme mentre le teorie che leggo sono tutte parziali, magari corrette nella loro singolarità, ma prive di un contesto generale che ne mostri la reale importanza nella mondo moderno.
In effetti l’essere troppo avanti nei tempi è paradossalmente il limite maggiore della mia Epitome: chi la legge, non essendo familiare con nessuno dei concetti che introduco, alla fine ha un rigetto: finisce per considerare le mie teorie “fantasie” perché manca dell’immaginazione necessaria per seguirmi nelle mie costruzioni teoriche. Perché poi le mie “novità” sono molteplici: questa teoria della diseguaglianza è solo una minima frazione delle intuizioni che introduco alcune delle quali totalmente inedite…
Vabbè, basta recriminare: il mondo è così e io non posso farci niente...
Nota (*1): tratto da Le radici psicologiche della diseguaglianza di Chiara Volpato, (E.) Laterza, 2019, pag. 144.
Nota (*2): ibidem, pag. 145.
Nota (*3): ibidem, pag. 146.
L'esempio di Benjamin Franklin
3 ore fa
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