A fine gennaio scrissi il pezzo Tolle… et ambula dove commentavo “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle.
Spiegavo che, probabilmente influenzato da Marcuse, ero rimasto deluso dalla mancanza di attenzione di Tolle all’influenza della società sulla psicologia delle persone. Dove Freud dà alla società, anzi alla stessa civiltà, la colpa delle frustrazioni e quindi dei relativi disturbi psicologici: il conflitto fra desideri/pulsioni dell’individuo e gli obblighi causa le nevrosi. Per Freud cioè è inevitabile mentre Marcuse propone una società completamente nuova, di piena libertà e uguaglianza, per evitare la sorgente del problema.
Tolle invece non si pone il problema sociale: si ferma all’uomo che dovrebbe arrendersi alla propria situazione, non desiderare niente di diverso da quello che ha, ed essere così felice perché in pace con se stesso.
La spiritualità/filosofia di Tolle funziona nel senso che rende effettivamente chi la segue felice e sereno: ma è moralmente corretto accettare passivamente il male invece di combatterlo?
Lo scorso 24 febbraio (grazie a GoodReads.com!) ho iniziato “Il canto della meditazione” di Osho: era in casa e visto che mia mamma l’aveva tutto sottolineato, più per curiosità che per reale interesse, ho iniziato a leggerlo.
Al momento sono a circa un terzo e fino a ieri avrei avuto poco da dire: dal mio punto di vista super razionale vi ho trovato la generica saggezza che mi aspettavo di trovarci e, tutto sommato, molte analogie col pensiero di Tolle. Non me ne sono stupito perché credo alla massima di Confucio secondo la quale i grandi filosofi/mistici ripetono le stesse cose anche se non si sono mai conosciuti o appartengono a epoche diverse: il motivo è che l’essenza dell’uomo è sostanzialmente la stessa in ogni epoca e civiltà e così, quando le intuizioni sono realmente profonde, inevitabilmente si ripetono.
Devo dire però che, senza saper spiegare bene dove o perché, mi era parso che Osho fosse generalmente molto più profondo di Tolle.
Oggi ne ho trovato, dal mio punto di vista, la conferma.
Scrive Osho: «Quindi il primo Tu è la menzogna, l’azione. La pseudo-personalità che ti circonda. La faccia pubblica, la falsità. È una frode. La società te l’ha imposta e tu le hai dato la mano. Devi smetterla di cooperare con la menzogna sociale, poiché soltanto quando sei completamente nudo sei te stesso. Ogni abito è sociale. Tutte le idee e tutte le identità che pensi di avere sono sociali – ti vengono date dagli altri. Ed essi hanno le loro ragioni per darti queste idee – è uno sfruttamento sottile.» (*1)
In altre parole è la società che forza sull’individuo una maschera di ipocrisia, un falso sé, che corrisponde alla metafora dell’abito. L’uomo che si identifica con il proprio ruolo sociale si inganna e non potrà mai essere realmente felice, al massimo potrà illudersi di esserlo.
Questo perché, a parte poche fortunate eccezioni, vi sarà un conflitto fra le nostre pulsioni inconsce e gli obblighi che la società ci impone. In pratica questo è il conflitto fra civiltà e individuo identificato da Freud e ripreso da Marcuse.
Non per nulla già alla pagina successiva è lo stesso Osho che menziona Freud: «Questo primo Tu va abbandonato completamente. Freud ha aiutato molto l’umanità a diventare consapevole delle pseudo-personalità e della mente cosciente. La sua rivoluzione è molto più profonda di quella di Marx, la sua rivoluzione è molto più profonda di ogni altra rivoluzione. Essa va un profondità anche se non abbastanza. Essa raggiunge il secondo Tu. È il Tu represso, istintivo, inconscio. È tutto ciò che la società non ha permesso, è tutto ciò che la società ha costretto e rinchiuso dentro il tuo essere.» (*2)
Insomma non so ancora né intuisco (*3) quale sarà la soluzione proposta da Osho ma almeno si è posto il problema che invece Tolle ignora completamente.
Avevo iniziato la lettura di questo libretto con scarse aspettative ma adesso il mio interesse si è risvegliato! Oltretutto ho trovato anche un’epigrafe buona per la mia Epitome, cosa che per me è sempre un piacere e un incentivo...
Conclusione: e le sottolineature di mia madre? Assolutamente senza logica! Mi sembra che sottolineasse parole e frasi a casaccio… Quando scrivo della totale incomprensione fra me e mia mamma intendo anche questo: ragionavamo su piani completamente diversi che raramente si intersecavano fra loro...
Nota (*1): tratto da “Il canto della meditazione” di Osho, (E.) Mondadori, 2003, trad. Francesca Pinchera, pag. 61.
Nota (*2): ibidem, pag. 62.
Nota (*3): in realtà un’idea ce l’ho: secondo me Osho arriverà a proporre una società parallela una microsocietà che, a mio modesto parere, riecheggia le eresie spiritualistiche medievali (penso al pauperismo degli ordini mendicanti). Penso alla comunità di Osho nell’Oregon (mi sembra) e all’opposizione dell’autorità costituita.
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