In questo periodo sto leggendo più di quanto riesca a commentare, soprattutto di psicosociologia.
Questa notte ho iniziato “Who we are and how we got here” di David Reich e ho finito di leggere l’introduzione di “Che guerra sarà” di Fabio Mini.
Per oggi ho intenzione di commentare questa seconda opera. Al riguardo ho già scritto poche parole nel corto Scrive il generale. Riepilogo in tre punti: 1. sostanzialmente d’accordo; 2. pessimismo autore; 3. manca menzione del ruolo dei media.
Copio e incollo il mio commento principale: «L’argomento centrale di queste tre pagine che ho letto è che la guerra o la minaccia della stessa fa comodo a tre categorie di persone: ai politici, che possono imporre più facilmente le proprie decisioni a una popolazione impaurita; ai produttori di armi, ovviamente per l’incremento di affari; ai militari, felici di poter “giocare” con i loro nuovi giocattoli.»
E queste erano le prime quattro pagine: ieri ne ho lette altrettante per terminare, come detto, l’introduzione.
Un nuovo concetto introdotto è l’eccessiva semplificazione della geopolitica: una semplificazione ottusa che fa perdere comprensione e porta a gravi errori di calcolo. Qui nell’introduzione Mini non specifica a chi (gli USA? Il mondo politico in generale?) si riferisce né le cause che l’hanno originata. Io comunque vi intravedo un possibile parallelo col mio concetto di decadenza ([E] 15).
Siccome è una novità ne copio e incollo il passaggio principale tratto da ([E] 15.1):
«[…] definisco quindi la decadenza come un effetto e, più precisamente, come l’incapacità di gestire efficacemente lo Stato.
Questo significa che quella comunemente chiamata “normale amministrazione” sarà estremamente inefficace e scadente ma soprattutto le emergenze, qualunque sia la loro natura, saranno affrontate in maniera completamente errata.
Ma cosa determina la “decadenza” ovvero l’incapacità di gestire efficacemente lo Stato?
I fattori sono essenzialmente quattro, tre interni alla società e uno esterno.
1. Incapacità → Il meccanismo che determina i vertici del parapotere politico dominante si è per qualche motivo inceppato cosicché a gestire effettivamente il potere arrivano delle persone che non hanno le dovute capacità.
2. Disinteresse → Il parapotere politico ha un sostanziale disinteresse per il bene collettivo dello Stato che dovrebbe guidare e si concentra esclusivamente sui propri interessi.
3. Inettitudine → La mancata percezione da parte della maggioranza della popolazione del declino unita all’incapacità di intervenire efficacemente.
4. Avversario → La mancanza di competizione esterna permette, e quindi indirettamente rende possibile il degrado della qualità del parapotere politico e, in generale, di tutte le strutture/istituzioni di uno Stato.»
Secondo Mini non vengono percepiti né affrontati diversi segnali di allarme: la crisi ecologica, la sovrappopolazione e la crescita delle diseguaglianza. Non gli sfugge poi il pericolo costituito dalla tecnologia con le incognite del mai provato prima. Tutto questo porta a un pericolo per la democrazia…
Un accenno all’Ucraina (il libro è del 2017): «Durante la crisi in Ucraina del 2014, per qualche mese è tornata la paura che imperava durante la Guerra Fredda. […]
Erano in molti a temere la guerra e altrettanti ad augurarsela, tanto per fare qualche affaruccio.» (*1)
Accenno breve ma significativo: col senno di poi, 8 anni dopo, chi voleva fare gli "affarucci", approfittando di un presidente USA non totalmente capace di intendere e volere, ha raggiunto il proprio scopo.
Nel complesso questa introduzione lascia diversi punti in sospeso che, suppongo, saranno poi affrontati e risolti nei capitoli successivi. Come detto però l’impostazione mi piace molto anche se spaventa che proprio un ex generale sia così preoccupato della possibilità della guerra.
In effetti, ripensandoci, nei giorni iniziali della recente crisi Ucraina quando ancora la seguivo, le parole di maggior buon senso venivano proprio dai militari: come a dire “i politici comandano ma non sanno quello che fanno”. Draghi no di sicuro e Biden si perde nella Casa Bianca ma anche gli altri capi di stato europei sono parecchio spersi in una crisi che non capiscono e che non sanno gestire: a partire dal gallinaccio francese appena rieletto! Insomma, se Macron è quello bravo pensate a come sono gli altri…
Il capitolo termina con un concetto molto interessante: la guerra influisce sulle generazioni ma, a loro volta, le generazioni influiscono sulla guerra.
La prima proposizione la condivido in pieno ([E] 3.5) la seconda devo ancor capire bene cosa intende: suppongo cultura di un’epoca ma non ne sono ancora certo.
Minni fa quindi un elenco delle diverse generazioni:
Generazione Perduta 1899-1926
Generazione Silenziosa 1927-1944
Generazione del Boom 1945-1963
Generazione X (o “invisibili”) 1964-1982
Generazione Y (o “Millennials”) 1983-2001
Generazione Z 2002 in poi
I capitoli successivi sono intitolati “Che guerra è per la generazione X” e simili quindi credo che capirò bene questa distinzione.
Comunque questa lista di generazioni mi ha colpito per più motivi.
Da un lato trovo interessante che si possa generalizzare a livello di mondo occidentale: questo è possibile solo grazie alla globalizzazione culturale (e al fatto che le prime due guerre mondiali furono, appunto, mondiali) ([E] 12.2).
Noto poi che la durata di queste generazioni è in genere minore della classica di 25 anni: 27, 17, 18, 18 e 18. Su Wikipedia trovo delle durate leggermente diverse (è introdotta anche la “Generazione Alpha” che inizierebbe nel 2010) spesso sui 15 anni.
Premesso che si tratta di date puramente arbitrarie mi chiedo però se ci sia un collegamento sull’evoluzione sempre più veloce della società…
Conclusione: insomma si prefigura un ottimo libro che sono curioso di leggere!
Nota (*1): tratto da “Che guerra sarà” di Fabio Mini, (E.) Nexus, 2017, pag 12.
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