Ieri ho terminato il capitolo di psicosociologia sui gruppi: ne conoscevo già alcuni aspetti ma ho anche imparato molte nuove cose.
Come per il precedente capitolo sulla persuasione, ho spesso provato la fastidiosa sensazione che i gruppi di persone (ma anche la società nel suo complesso) siano dei greggi di stupide pecore che seguono l’ariete di turno soprattutto se è atletico, alto e mascolino… (aggiungeteci poi l’impatto sulla persuasione dell’aspetto fisico, v. La persuasione, e inizierete ad avere idea della stupidità umana)...
Insomma, leggere questo capitolo è stato una nuova sofferenza psicologica: probabilmente perché mi rendo sempre più conto di lottare contro i mulini a vento. L’uomo è biologicamente progettato per farsi fregare dal più forte e/o furbo di turno. Gli appelli alla logica, al semplice buon senso, ma anche le argomentazioni più rigorose e chiare recepiti la sera evaporano via dai cervellini ovini come la rugiada al mattino sugli steli d’erba in estate…
Però l’ultima sezione del capitolo è stata una sorpresa: l’argomento è infatti come e quando una minoranza nella società, o poche persone (anche un singolo) in un gruppo, riescano a convincere la maggioranza della propria ragione.
Come ho scritto sopra (e indirettamente anche in Pagnottare sociale) la mia esperienza personale è decisamente negativa e pessimistica al riguardo: non importa quanto fondate siano le ragioni della minoranza, la maggioranza non le ascolterà e, anzi, molti altri fattori psicologici contribuiscono a far sì che i pochi si conformino ai molti.
Ho quindi letto con estrema curiosità e interesse cosa hanno scritto gli autori Myers e Twenge al riguardo…
In verità alla fine non emerge nessuna rivelazione sconcertante ma procediamo con ordine.
Il primo fattore è la coerenza: la minoranza deve essere ferma e convinta della propria posizione. Un esperimento molto intelligente dimostra come una minoranza incerta renda la maggioranza più convinta della propria ragione.
Incidentalmente viene menzionata anche una mia convinzione (che nell’epitome chiamo “limite della resipiscenza”), traduco al volo: «Anche quando elementi della maggioranza capiscono che la persona in disaccordo è fattualmente o moralmente nel giusto, essi potrebbero comunque, se decidono di non cambiare, provare ostilità per tale individuo.»
Per me un comportamento illogico, totalmente assurdo e che faccio fatica a comprendere: ma ormai, essendo abituato a difendere e proporre opinioni fortemente minoritarie mi ero già reso conto che a volte non vi era altra spiegazione che un’ostinata pervicacia (*1).
Altri esperimenti dimostrano come la maggioranza sia portata più spesso alla riflessione dalla perseveranza della minoranza. In questo caso sono un po’ scettico: probabilmente gli autori si immaginano società e/o gruppi non profondamente divisi come gli attuali in Italia (ma anche altrove).
Essi danno per scontato che la politica promuova il dialogo, la comprensione reciproca e la tolleranza all’interno della società: per moltissime ragioni questa è infatti la strategia più proficua per la crescita di tutti. In realtà però la politica attuale è talmente degenerata che, in Italia (e altrove), si criminalizza chi la pensa diversamente: l’effetto è di erigere dei muri invalicabili che bloccano ogni comunicazione. L’esempio classico è quello dei pro-libertà (detti dai detrattori no-vax) accusati a gran voce da tutti i media di essere di volta in volta: fascisti, ignoranti, violenti, pericolosi, criminali, intolleranti, puzzoni e licantropi. Vabbè, non divaghiamo…
Un altro elemento importante è la fiducia in se stessi della minoranza (in questo caso specialmente del singolo in un gruppo avverso): la decisione con cui si prende la parola, la tranquillità con cui si discutono le idee altrui, magari con contro argomenti chiari e semplici (*2)…
Anche qui è possibile che gli autori abbiano ragione ma non so, come nel caso precedente, quanto questo effetto possa realizzarsi nella situazione italiana.
Come ho spiegato il problema è di comunicazione, del muro contro muro volutamente tirato su dalla classe politica, ovvero proprio da chi dovrebbe cercare di rendere la società più tollerante e aperta. Per avere un’idea della possibilità di comunicazione attualmente possibile tutti gli esperimenti citati andrebbero ripetuti simulando l’esasperata diffidenza reciproca fra maggioranza e minoranza (*3).
Il terzo fattore non mi sembra realmente tale: viene semplicemente spiegato che chi defeziona dalla maggioranza, finalmente convinto dagli argomenti della minoranza, diviene a sua volta particolarmente persuasivo nel convincere i suoi ex colleghi. È così che si spiega l’effetto valanga…
Mi chiedo se scientemente alcuni intellettuali organici si presterebbero a supportare temporaneamente gli argomenti della minoranza per poi, alla prima occasione utile, cambiare casacca e tornare alla maggioranza che gli appartiene: non credo ma non è assolutamente da escludere.
Infine, ma di nuovo non è per me un reale fattore (perché, come il precedente, non direttamente controllabile dalla minoranza), fondamentale è il ruolo del capo del gruppo (o della società). Se questo facilità la minoranza dandogli modo di esprimersi e impedendo le normali tendenze che portano la maggioranza a sopprimere le idee minoritarie, allora le possibilità di giungere a una comunicazione proficua o a una posizione di compromesso soddisfacente e utile a tutti si moltiplicano enormemente.
Ma appunto vediamo che a livello di società, in Italia ma anche altrove, sta avvenendo l’opposto: è proprio il potere politico che fa di tutto per esacerbare il dibattito ed evitare ogni sorta di confronto libero e aperto.
Non voglio dilungarmi troppo dato che il pezzo è già sufficientemente lungo ma la domanda fondamentale che dovremmo chiederci è: perché il potere politico sta facendo di tutto per dividere la società invece che unirla?
La mia spiegazione già la conoscete ma in estrema sintesi: non si tratta di ingenuità né di incompetenza ma di un preciso progetto teso a indebolire la popolazione diminuendone la coesione ([E] 3.6). Non caso ma volontà, non errore ma perversione.
Conclusione: che mondo di imbecilli...
Nota (*1): probabilmente sono esplicitamente arrivato a questa conclusione in Gli intelligenti e onesti del PD/PDL del 2014. Mentre cercavo questo pezzo per citarlo mi sono imbattuto in una mia “teoria della persuasione” che, alla luce del precedente capitolo letto (sulla persuasione appunto), ho trovato molto interessante a causa delle profonde intuizioni implicite in essa: Strategia di persuasione.
Nota (*2): qui in effetti io sono carente. I motivi sono molteplici: da una parte sono di mentalità molto aperta e quindi personalmente considero attentamente le idee altrui cercando di calarmi nei loro panni; sono lento a pensare e fatico a esprimermi fluidamente a parole; rifiuto di adoperare quelli che considero “trucchi” immorali (la via periferica, v. La persuasione) ma cerco di attenermi a fatti concreti e oggettivi; sono poi convinto che i miei sforzi siano vani e quindi inutili: che i miei interlocutori non abbiano né la volontà né la capacità di capire le mie idee. Tutti questi fattori messi assieme minano, se non la mia sicurezza, almeno la sua apparenza, che è poi ciò che conta, agli occhi del resto del gruppo.
Nota (*3): si potrebbero formare dei gruppi con una maggioranza di ebrei e una minoranza di tedeschi e dire ai primi che i secondi hanno avuto in passato simpatie neonaziste. Sono sicuro che qualunque fosse l’argomento della minoranza tedesca, per quanto buono e ben fondato, non riuscirebbe a cambiare minimamente l’opinione della maggioranza.
Con le dovute proporzioni questa è la situazione che, lo sottolineo, volutamente è stata creata in Italia dalla classe politica, ovviamente col contributo decisivo dei media.
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