Beh, rimando ancora i pezzi che da tempo dovrei scrivere per dedicarmi invece alla prima stesura di un’idea che volevo inserire nell'Epitome: inizio infatti a essere vicino alla conclusione della nuova versione e, come sempre mi accade, ci dedico volentieri più tempo per “liberarmene”.
Già che ci sono un brevissimo aggiornamento: ieri ho fatto molte modifiche minori fra le quali la più complicata è stata tecnica: le appendici adesso sono identificate da una lettera, quindi avrò l’appendice A, B, etc, in teoria niente di complesso ma ci ho perso parecchio tempo per far funzionare anche l’indice…
Ora mi mancano delle modifiche minori al capitolo 17 (quello sull’Italia) che già mi appuntai mentre stavo terminando di scriverlo. Poi voglio rileggere il materiale nuovo e, soprattutto, questo famigerato capitolo 17 che, temo, non avendolo mai ricontrollato sia pieno di errori: essendo molto lungo mi prenderà parecchio tempo (NOIOSO!!!) ma siccome voglio stampare un paio di copie di questa nuova versione credo che valga la pena fare questo sforzo extra (che comunque prima o poi dovrei fare).
Ah! e poi ci sarebbe la potenziale aggiunta al sottocapitolo [E] 1.4 (o magari in uno addirittura nuovo, magari come 1.5) di cui scriverò adesso: in base a quanto mi schiarisco le idee deciderò che farci…
Il nocciolo di questa nuova riflessione è che l’uomo è progettato per cercare risposte: egli vuole dare “senso” alla propria vita e tutto ciò che gli accade deve avere un perché.
Questo però non significa che egli ricerchi la verità: la risposta a cui giungerà sarà anzi in genere, quando va bene, una semplificazione estrema della realtà quando non una completa illusione.
Le priorità dell’individuo saranno infatti non l’esattezza della risposta ma lo scaricare la colpa su altre persone o gruppi sociali, la sua semplicità (si preferisce il semplice al complesso) e la speranza che questa dà per il futuro.
Ora fatemi rielaborare un po’ queste idee in forma più organica…
Ecco: ho rapidamente scribacchiato sul mio quadernone una buona mezza pagina di appunti e diagrammi. In effetti sono giunto alla conclusione che si tratti di un processo psicologico basilare e non secondario.
La mia logica è che l’uomo cerchi continuamente di dare senso alla propria vita e, per questo, ricerchi spiegazioni degli eventi che gli capitano. In particolare il cercare di stabilire quale siano le cause di un certo effetto (specie se negativo o tragico) è alla base dell’apprendimento e, proprio per questo, l’esigenza di individuare una risposta, una relazione, è codificata nel profondo della psiche umana. In genere, per gli eventi “semplici” della vita quotidiana, i nostri normali strumenti, a partire dalla “tendenza al semplice” e dalla “postvalutazione” ([E] 1.4), funzionano sufficientemente bene (*1). Quando però l’individuo si trova di fronte a eventi complessi che, per essere compresi a fondo richiederebbero conoscenze tecniche particolari, lo studio delle specifiche interdipendenze dell’evento e, magari, numerose informazioni (molte delle quali spesso non immediatamente disponibili) ecco che entrano in gioco tutti i limiti cognitivi, di tempo e psicologici che, complessivamente, gli impediscono di andare alla radice del problema per trovare una spiegazione oggettiva e realistica di esso: è in questi casi che ci si accontenta di una spiegazione illusoria, di un protomito o di una distorsione errata (non necessariamente fuorviante).
In queste situazioni più complesse ecco che il primo obiettivo diventa lo scoprire quale sia la causa di un certo effetto, ovvero di chi sia la “colpa” (*2). Qui spesso scatterà il meccanismo psicologico del capro espiatorio ([E] 1.4): trovare un gruppo o un individuo a cui affibbiare ogni colpa è facile e sgrava l’uomo dal peso di doversi confrontare su una problematica in genere molto più complessa.
Secondariamente la soluzione trovata dovrà essere tendenzialmente semplice (meglio una distorsione che un protomito complesso; [E] 2.2 e 2.3); è preferibile poi una spiegazione che dia speranza, che magari non richieda da parte nostra nessun sforzo, nessuna azione, e che non modifichi lo status quo che di per sé dà sicurezza; infine la “soluzione” può ridursi a convincersi che il problema non esiste o che è molto meno grave di quanto non sembri (di nuovo questa opzione dà a chi decide di credervi la possibilità di fuggire da una problematica complessa e non compiere azioni che, potenzialmente, potrebbero turbare lo status quo).
E quando l’evento non sembra avere nessuna causa o volontà, ad esempio una catastrofe naturale?
In passato interveniva la religione che spiegava che la colpa era di tutti, che la divinità era in collera con la società per qualche motivo: e allora veniva ordinata una sorta di espiazione collettiva che aveva il pregio di dare una spiegazione semplice, per quanto illusoria, di ciò che era avvenuto ma che, soprattutto, dava la speranza che tale evento infausto non si ripetesse più ([E] 8.2).
Incidentalmente, grazie a questa funzione, il parapotere religioso aumentava la propria forza sotto forma di autorità verso i propri fedeli.
Ora la scienza ha preso il posto della religione ([E] 9.2) nel dare risposte all’uomo ma anche qui l’ideale si riduce come al solito al dare la colpa a qualcuno, semplificando all’estremo tutta una serie di considerazioni più complesse. Ci sarebbe qui da addentrarsi su se e quanto la scienza sia sempre affidabile: ma ripeterei considerazioni che ho già fatto nell’Epitome ([E] 9.5) e a cui quindi rimando chi fosse a esse interessato.
Conclusione: mi sto convincendo che questa teoria è “roba grossa”: è forse ancora più basilare della teoria di Freud basata su Eros e Tanatos. Per Cartesio l’essenza dell’uomo è il suo pensiero: quindi la meccanica del pensiero umano, come basa il proprio apprendimento, è ancora più basilare delle pulsioni sessuali e distruttive. Del resto solo col ragionamento il maschio progetta come impressionare la femmina e questa, a sua volta, usa il suo pensiero per sfuggire alle trappole poste da un compagno indesiderato o che vuole mettere alla prova...
Nota (*1): molto dipenderà dalla natura del singolo: ci sarà chi è in grado di imparare prontamente dai propri errori e chi, magari per altri vincoli psicologici o dovuti alla propria educazione, impiegherà anni e ripeterà più volte gli stessi sbagli prima di riuscire a superarli. In genere però, di fronte a problemi semplici, la soluzione sarà corretta e difficilmente l’individuo ricadrà nello stesso errore che si è ripromesso di evitare.
Nota (*2): per l’uomo è critico trovare le risposte non tanto agli eventi positivi ma a quelli negativi e tragici. L’individuo stesso è progettato in modo da prestare molta più attenzione agli eventi negativi che a quelli positivi che gli accadono: anzi i secondi vengono rapidamente dimenticati mentre i primi ci ossessionano per giorni anche quando sono poco importanti. Questa è la teoria alla base del “pensiero positivo”: concentrarsi e ricordare i piccoli eventi positivi quotidiani e non limitarsi a quelli negativi.
L'esempio di Benjamin Franklin
8 ore fa
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