Stamani mi ero ripromesso di non scrivere più (almeno per un po’) del Coronavirus a meno di notizie allarmanti come, per esempio, il raddoppiamento del numero degli infetti. Alle 10:50 sembra ormai inevitabile che tale cifra sorpasserà abbondantemente le 32 unità ma per il momento voglio attenermi alla mia decisione: del resto non ho niente di ulteriore da aggiungere a quanto ho già scritto…
Allora ho ripreso in mano La banalità del male per vedere di trovare qualche spunto interessante: mi sono così tornati in mente dei dati che mi avevano stupito. Soprattutto perché sono in controtendenza con quanto va per la maggiore oggi…
La Arendt nella seconda parte del suo saggio analizza minuziosamente, per ogni stato europeo, come vennero rastrellati e deportati gli ebrei, le interazioni fra nazisti, società e autorità ebraiche locali.
I nazisti usarono sempre lo stesso modus operandi ma questo fu più o meno efficace di nazione in nazione.
In particolare si distinse positivamente la Danimarca dove la società, a tutti i livelli, protesse gli ebrei e le deportazioni vennero sostanzialmente evitate: addirittura l’atteggiamento fermo della popolazione influenzò positivamente anche le autorità naziste sul posto. Come se la morale e, soprattutto l’umanità, dimostrata dalla società avesse almeno parzialmente “contagiato” anche i nazisti.
Ma sapete qual è il secondo paese in Europa dove, almeno stando alla Arendt, gli ebrei se la passarono meglio?
L’Italia (*1).
L’autrice più volte chiarisce che le autorità italiane sebbene a parole si dicessero pronte a seguire le direttive naziste poi, nella pratica, le intralciavano rendendole nulle. E non è che i nazisti non ci provarono: l’Italia all’epoca era un modello per altri stati fascisti che, quindi, la prendevano a esempio...
Almeno prima dell’armistizio dell’8 settembre del 1943 i territori occupati dall’esercito italiano, per esempio nel sud della Francia, erano sicuri per gli ebrei che, infatti, vi si rifugiavano.
Oppure, cito: «Il sabotaggio [delle deportazioni] era tanto più irritante, in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda. Le promesse erano fatte da Mussolini in persona o da altissimi gerarchi, e se poi i generali non le mantenevano, Mussolini porgeva le scuse adducendo come spiegazione la loro “diversa formazione intellettuale”. Soltanto di rado i nazisti si sentivano opporre un netto rifiuto, come quando il generale Roatta dichiarò che consegnare alle autorità tedesche gli ebrei della zona jugoslava occupata dall’Italia era “incompatibile con l’onore dell’esercito italiano”» (*2).
E le leggi antiebraiche degli anni ‘30? Furono richieste dall’alleato nazista ma c’è un dettaglio importante da considerare: oltre alle consuete eccezioni (veterani di guerra, ebrei superdecorati e simili…) c’era un’ulteriore categoria di esentati: gli ebrei iscritti al partito fascista insieme ai “loro genitori e nonni, mogli, figli e nipoti”. I pochi ebrei veramente antifascisti erano già in gran parte all’estero.
Le cose cambiarono dopo l’armistizio: dalla Germania vennero infatti inviati dei “famigerati sterminatori” che dovevano prendere in mano la gestione delle deportazioni (*3). Il primo obiettivo avrebbero dovuto essere gli 8.000 ebrei di Roma «...al cui arresto avrebbero provveduto reggimenti di polizia tedesca dato che sulla polizia italiana non si poteva fare affidamento. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riuscirono a fuggire.» (*4)
È vero: anche in Italia fu infine organizzato un campo di concentramento in Friuli nei pressi del confine austriaco, ma la Arendt lo considera il minimo che il governo italiano potesse fare per soddisfare le pressanti richieste dei nazisti. Il grosso delle vittime poi ci furono «Nella primavera del 1944, … …, i tedeschi violarono la promessa [di non deportare i prigionieri del campo italiano in Germania] e cominciarono a trasportarli ad Aushwitz: ne portarono via circa settemilacinquecento, di cui poi ne tornarono appena seicento» (*5).
Il dato più forte a sostegno delle affermazioni della Arendt è che le vittime fra gli ebrei italiani furono meno del 10% della popolazione dell’epoca: confrontate questa percentuale con quella di altri paesi e vedrete la differenza (*6).
Il mio stupore deriva dal fatto che oggigiorno le responsabilità italiane, che ovviamente ci furono, sono considerate molto maggiori. Almeno io, non conoscendo l’argomento, le ritenevo tali.
Una mia ipotesi per spiegare questa “benevolenza” della Arendt verso l’Italia è che, magari inconsciamente, l’autrice volesse attribuire tutta la colpa alla Germania: era un argomento molto forte il poter addurre che l’alleato principale della Germania, comunque un paese fascista, aveva evitato per quanto possibile le deportazioni degli ebrei.
Insomma per esaltare le responsabilità tedesche l’autrice potrebbe aver minimizzato quelle italiane...
Aggiungo anche che questo sentimento doveva essere molto diffuso negli anni ‘60: ricordo che i fondamentali studi sull’obbedienza all’autorità di Milgram avrebbero inizialmente voluto dimostrare che l’uomo (non tedesco!) che riceve ordini contrari all’umanità rifiuta di eseguirli. Come sappiamo invece i suoi esperimenti dimostrarono il contrario: l’uomo obbedisce all’autorità anche quando questa gli richiede comportamenti disumani (*7).
La riconsiderazione del ruolo dell’Italia nelle deportazioni sembra a mio avviso avere una giustificazione politica: vi scorgo una generica volontà di appiattire, nel bene e nel male, le responsabilità di tutti. Come se si voglia ottenere un’atmosfera dove ognuno si senta ugualmente colpevole indipendentemente dalle responsabilità storiche.
In questo senso mi torna in mente un cinguettio (questo QUI) del Presidente del parlamento europeo David Sassoli in cui afferma che Aushwitz fu costruito dagli europei. Ovvio che i tedeschi sono europei ma in questo caso la generalizzazione è molto fuorviante!
I motivi? Li lascio a menti più acute della mia...
Conclusione: ecco, ho già scritto due pagine di testo e non ho neppure affrontato nessuna delle mie glosse che mi ero appuntato sul saggio: è il bello, ma anche il brutto, di un testo importante...
Nota (*1): vabbè, mentre il 1° posto della Danimarca è indiscutibile, il 2° è più opinabile: magari potrebbe essere l’Olanda, non so? Resta il fatto che l’Italia fu fra i paesi che cooperò pochissimo nella deportazione degli ebrei.
Nota (*2): tratto da La banalità del male di Hannah Arendt, (E.) Feltrinelli, 2019, trad. Piero Bernardini, pag. 204.
Nota (*3): lo sterminio degli ebrei era divenuto ormai lo scopo principale della Germania nazista ormai conscia della sconfitta militare.
Nota (*4): ibidem, pag. 207.
Nota (*5): ibidem, pag. 208.
Nota (*6): a memoria: in Olanda le vittime furono il 75% su, oltretutto, una popolazione ebraica molto maggiore.
Nota (*7): come avevo intuito il collegamento fra processo a Eichmann ed esperimenti di Milgram è molto stretto: vedi prime righe della pagina Esperimento di Milgram di Wikipedia...
Se tutto è antisemitismo
4 ore fa
"Gli italiani, un antico popolo civile …"
RispondiEliminaTraduco dalla versione tedesca del libro
Non ricordo questa frase esatta nel mio libro ma suona plausibile... ;-)
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