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martedì 17 dicembre 2019

La primissima globalizzazione

Insonnia, uffa. Probabilmente perché ho mangiato troppo salato ieri sera.

Varie idee per racconti: pensavo a uno “Strabuccino e Spinpetala” ma non ho troppa voglia di scriverlo…

Allora ne approfitto per citare Gramsci: la globalizzazione «è l’ideologia propria del capitalismo moderno, che vuole liberare l’individuo da ogni ceppo autoritario collettivo dipendente da strutture economiche precapitalistiche, per instaurare la cosmopoli borghese in funzione di una più sfrenata gara all’arricchimento individuale, possibile solo con la caduta dei monopoli nazionali dei mercati del mondo». (*2)

Ovviamente Gramsci non si riferiva alla globalizzazione ma alla Società delle Nazioni voluta dal presidente Wilson: però il concetto non l’ho travisato. Gramsci vede già in quegli anni (si tratta di un articolo appena successivo alla conclusione della prima guerra mondiale, quindi immagino scritto intorno al 1920) il germe di quella che sarà la tendenza più forte nella società occidentale, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra.
In pratica Gramsci vede in questa istituzione sovranazionale il grimaldello con cui il capitalismo/liberismo cerca di penetrare in tutto il mondo diventando ideologia dominante: non certo per il bene dell’umanità ma semplicemente per favorire il guadagno di pochi.

Mi chiedo cosa penserebbe Gramsci di questa UE tutta incentrata sull’economia e che vede la popolazione, i proletari di Gramsci o la mia democratastenia, essenzialmente come consumatori…

Non solo. Gramsci intravede anche come le grandi multinazionali possano andare a sovrapporsi a piccoli stati. Per chi ha letto l’epitome è ovvio (*1) ma per l’epoca si tratta di un’altra ottima intuizione.
Cito: «Lo Stato capitalista è la Società delle Nazioni, Stato di classe squisitamente cosmopolita com’è il capitalismo. Gli organi efficienti e storici della Società delle Nazioni sono gli aggruppamenti industriali, o Soviet dei capitalisti. In Italia è nato il primo Soviet dei capitalisti, la Fiat di Giovanni Agnelli, piccolo Stato locale con polizia propria, con un organo giudiziario preventivo proprio, con una legge «generale» propria...» (*2).

Ho la sensazione che Gramsci fosse leggermente ironico a paragonare la FIAT a un piccolo stato ma la tendenza che intuisce è in realtà corretta…

E, come detto, non si tratta di accenna sporadici: Gramsci ritorna più volte, in diversi articoli, su questi concetti. Vede chiaramente che il vento del liberismo più sfrenato soffia dagli USA e ne è giustamente sospettoso: non si fa abbagliare, come accadrà poi a gran parte della società italiana (e non solo), dal successo economico e non confonde la prosperità con la giustizia.

Di nuovo trovo stupefacente come Gramsci abbia una sensibilità acutissima nell’intuire tendenze invisibili ai più ma che, contemporaneamente, sia praticamente cieco riguardo ai limiti e alle ingiustizie del comunismo.
Probabilmente, a causa del suo altissimo spessore intellettuale, ha trascinato con sé nell’errore gran parte della sinistra italiana: immagino sia stato il trionfo del comunismo in Russia ad averlo “radicalizzato”, a togliergli ogni incertezza.

Conclusione: tranquilli ho quasi finito “Scritti Politici 1” (e quindi Gramsci) perché non credo che inizierò presto gli altri volumi!

Nota (*1): i parapoteri sono soprattutto tali e c’è poca distinzione fra parapoteri economici e politici (sono entrambi gruppi chiusi e autonomi) perché questi collaborano massimamente fra loro e si scambiano favori all’occorrenza.
Nota (*2): frammento di “Scritti politici 1” di Antonio Gramsci, tratto dall’omonimo e-book pubblicato su Liber Liber e curato da Paolo Spriano.

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