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domenica 5 maggio 2024

Un messaggio dalla Comune di Parigi

Non ricordo se ne ho scritto ma settimane fa ho iniziato e finito “I giorni della comune” di Bertolt Brecht: un libriccino di un centinaio di pagine.

Per chi non lo sapesse nel 1871 si ha la guerra fra Francia e Prussia: la Prussia a sorpresa vince e arriva con l’esercito alle porte di Parigi. Il popolo viene armato e decide di istituire la “Comune”, una vera e propria società comunista. Dopo vari mesi di assedio, e dopo che la Comune ha sprecato varie opportunità politiche per rafforzare il proprio potere, i prussiani supportati dai francesi della provincia e dai soldati, sempre francesi, precedentemente catturati danno l’assalto alla città e la conquistano. Fine della Comune.

Il messaggio centrale di Brecht è che per raggiungere certi obiettivi è necessario “sporcarsi le mani”, commettere ingiustizie e mettersi allo stesso livello dei propri nemici: ci si può permettere di essere nobili e giusti solo quando il nuovo sistema sociale ha preso a funzionare.

Ma mi limiterò a una sola citazione che mi sembra però attuale:
«Perché coloro che hanno provocato questa guerra delittuosa possono farne pagare il prezzo a chi ha sparso il suo sangue combattendo! Per poter trasformare i buoni affari di guerra in buoni affari di pace! Cittadini della Guardia! La Comune esigerà che deputati, senatori, generali, industriali e possidenti – senza dimenticarsi della Chiesa – cioè tutti i responsabili di questa guerra, adesso paghino i cinque miliardi ai prussiani, e che a questo scopo siano venduti i loro beni!» (*1)

Il punto è che la guerra non la vuole chi poi dovrà combatterla ma chi ha da guadagnarci, sia durante che dopo di essa. Non starò a ripetere qui le analogie con l’Ucraina e la guerra voluta dagli USA per finanziare il proprio apparato militare/industriale, la follia dei politici europei, il cinismo e l’ipocrisia di una guerra particolarmente insensata e che avrebbe potuto benissimo essere evitata se ce ne fosse stata la volontà. Sfortunatamente per gli ucraini (e i russi) la volontà di Washington era avere la guerra (che, probabilmente, si pensava effettivamente di poter vincere in pochi mesi).

L’altro elemento interessante è che chi ha voluto la guerra e da essa si è arricchito continuerà a guadagnarci anche dopo mentre il popolo della parte sconfitta si impoverirà.
Questo è lo scopo dell’idea di rubare i beni russi depositati in occidente e degli inutili finanziamenti a un’Ucraina già sconfitta e dall’esercito decimato: sì, da una parte si spera (forse sbagliando anche qui i calcoli) che Kiev riesca a resistere almeno fino alle elezioni americane di novembre ma, soprattutto, si vuole anche continuare a guadagnare sul “fantasma” di questa guerra.
E chi dovrà poi ripagare gli eventuali miliardi rubati alla Russia? La popolazione europea con nuove tasse e meno servizi.
E chi si è impoverito per l’inflazione dovuta all’aumento del costo dell’energia? La popolazione europea e americana…

Brecht ci insegna che ciò che avviene oggi non è l’eccezione ma la norma della guerra. Giornali e media ovviamente ci raccontano il contrario: stiamo pagando per una guerra giusta e, se non l’avessimo fatto, ora saremmo tutti più poveri o lo saremo ancora di più. La totale deformazione della realtà.

Come non ripensare a “Il mondo nuovo” di Huxley? Alla sua distopia dove il potere riesce a far credere quello che vuole alla propria popolazione in maniera che obbedisca felice di obbedire.
E lo stesso Schwab del WEF ha avuto la faccia tosta di affermare apertamente questo obiettivo: “Non possederete nulla ma sarete felici di non avere niente”. Ovviamente non sarà una felicità reale ma un’apparenza di felicità, un prodotto plastico e pubblicitario: ci verrà ripetuto costantemente che siamo felici e che siamo sciocchi e/o ingrati a pensarla diversamente.
Il giochino è già iniziato: un’altra “cima” europea (Borrell), mesi fa, ci ha raccontato che l’Europa è un giardino e che il resto del mondo è una giungla.

Incidentalmente aggiungo che nel mio sopralluogo al circolo di scacchi qui in città ho visto alla libreria sociale situata nello stesso stabile (un bellissimo ex convento) un libro potenzialmente interessante: “I neo dem” del 1982.
Il fatto che il libro sia così vecchio è sì una debolezza ma è anche una forza: credo possa essere interessante e utile capire come si vedevano i neo democratici quando all’epoca erano solo da una parte politica e il loro potere, già significativo, non era ancora completamente pervasivo. Il confronto fra l’adesso reale e l’allora teorico penso mi sarebbe utile.
Per esempio scorrendo faticosamente la quarta di copertina (ero senza occhiali) ho letto un accenno “all’eccesso di democrazia”. Suona familiare no?

L’eccesso di democrazia si ha in tutte le situazioni in cui il potere “democratico” non riesce a convincere con le buone la propria popolazione di qualcosa (che in genere sarà vantaggiosa per pochi). Il popolo vuole qualcosa ma la democrazia, “il potere del popolo”, vuole altro. Ecco che allora qui si dice che c’è troppa democrazia: quando si desidera qualcosa che il potere non vuole.

Gli esempi nell’attualità italiana, europea e statunitensi sono lampanti e non starò a ripeterli qui…

Conclusione: anni fa, quando mi lamentavo perché si iniziò a violare i principi di libertà e diritti, ammetto che mi sentivo un po’ uno stupido: amici, parenti e conoscenti mi guardavano col sorrisetto che diceva "Poverino! guarda cosa va a pensare per quella piccolezza!". Ma la logica mi diceva che violare un diritto/libertà nei suoi principi, non importa quanto sul momento per poco, era la premessa per violarlo poi nella sua sostanza. E sfortunatamente avevo ragione: se la razionalità dice nero e la speranza dice bianco allora, bene che vada, sarà grigio molto ma molto scuro.

Nota (*1): tratto da “I Giorni della Comune” di Bertolt Brecht, (E.) Einaudi, 1982, trad. Giulio Gatti, pag. 37.

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