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sabato 1 marzo 2014

Il consulente vs. la ragioniere

Un aneddoto premessa: ricordo che, ai tempi in cui lavoravo a Pisa, i pranzi erano sempre molto divertenti specialmente quando, menti più dispettose della mia, riuscivano a far amichevolmente bisticciare due nostri colleghi. Il primo dei due era un consulente informatico, spesso in giro da clienti, molto in gamba, molto sicuro di sé e convinto delle proprie idee, la seconda era una ragioniere che lavorava in amministrazione, molto sveglia, simpatica e dalla lingua tagliente.
Il pomo della discordia era semplicissimo: si trattava di stabilire quando si avesse diritto ai buoni pasto. Secondo la ragioniere ne aveva diritto solo chi non aveva la possibilità di mangiare in mensa; al contrario, secondo il consulente, si trattava di un semplice benefit e quindi era giusto ricevere il buono pasto per ogni giorno lavorativo indipendentemente dalla mensa.
Sembrerebbe banale risolvere la questione ma i due andavano avanti pervicacemente per tutto il pranzo dibattendo su come fosse giusto comportarsi. Era molto più divertente di quanto possa sembrare. Molto.

Come sa chi segue questo viario ci sono molte leggi che ritengo ingiuste e, in particolar modo, tutte quelle che tendono a limitare la libertà, intesa anche come riservatezza, dei cittadini.
Spesso mi sono chiesto come si senta un giudice quando, pur applicando alla perfezione la legge, è conscio di commettere un'ingiustizia. Non è infatti compito del giudice giudicare le leggi ma soltanto applicarle. Però, se la mia premessa che alcune leggi sono intrinsecamente sbagliate è corretta, ne consegue che, quando il giudice si vedrà costretto ad applicarle, automaticamente commetterà un'ingiustizia non certo giuridica ma morale.

Ebbene il corso di psicosociologia (v. Varie ed eventuali sulla psicosociologia) mi ha fornito la risposta a questa domanda.
Si tratta della teoria delle cognizioni dissonanti (*1): la mente umana ama la coerenza e avere contemporaneamente due pensieri in contrasto fra loro causa un notevole fastidio psicologico. Istintivamente si è portati ad agire per eliminare questa sofferenza.

Al riguardo ricordo un esperimento fra i più interessanti perché il risultato è stato, almeno per me, completamente inatteso.
Degli studenti vengono, a uno a uno, sottoposti a un falso (*2) esperimento lungo e noiosissimo finito il quale il ricercatore dà, casualmente, a una metà di essi 1€ e all'altra 20€, chiedendogli in cambio una cortesia: mentire allo studente in sala d'attesa (un complice) dicendogli che l'esperimento è divertente e interessante. Il giorno dopo gli studenti vengono ricontattati e gli viene chiesto se, secondo loro, l'esperimento era divertente e interessante.
Ed ecco il risultato inaspettato: chi ha mentito per 20€ dice che è stato noiosissimo mentre invece, chi ha ricevuto 1€, risponde che tutto sommato era interessante e divertente.
La spiegazione della sorprendente risposta degli studenti pagati 1€ è data dalla teoria delle cognizioni dissonanti. In questo caso i pensieri in contrasto sono: 1) l'esperimento è stato noiosissimo 2) ho mentito per SOLO 1€ dicendo che l'esperimento è divertente.
Mentire per solo 1€ non è una buona giustificazione e quindi il punto 2) diventa 2”) ho detto che l'esperimento è divertente.
Adesso la contraddizione è evidente: si pensava una cosa ma se ne è fatta un'altra! Allora, visto che non si può cambiare ciò che si è detto, per annullare la dissonanza, ci si convince che l'esperimento sia stato divertente!
Al contrario gli studenti che hanno ricevuto 20€ non provano nessuna dissonanza perché pensano: 1) l'esperimento è stato noiosissimo 2) ho mentito per 20€ dicendo che l'esperimento è divertente.
In questo caso il denaro ricevuto è una buona giustificazione per aver mentito e, quindi, i pensieri 1) e 2) possono coesistere insieme senza problemi. E per questo gli studenti che ricevono 20€ non hanno motivo di giudicare l'esperimento diversamente da quel che è.

Il caso del giudice è totalmente analogo: il giudice che applica una legge che ritiene ingiusta ricade esattamente nella teoria delle cognizioni dissonanti perché farebbe una cosa pensandone un'altra.
Per eliminare questa contraddizione, dovendo comunque applicare la legge, il giudice col tempo si convincerà che tutte le leggi che applica siano giuste. Tornando alla domanda iniziale, i giudici non provano nessun tipo di imbarazzo ad applicare qualsiasi legge perché si convincono che non esistono leggi ingiuste!

Epilogo: tornando all'esempio iniziale ritengo che anche la coscienziosa ragioniere, abituata per lavoro a gestire la contabilità dell'azienda, fosse vittima della dissonanza cognitiva. Ella non poteva considerare contemporaneamente come “giusta” ogni, seppur piccola, passività alle finanza dell'azienda della quale, per lavoro, era abituata a pensare come “bene” solamente delle entrate.

Conclusione: già allora, pur non conoscendo la teoria delle dissonanze cognitive, ero convinto che il consulente avesse ragione: io però non glielo dissi mai perché la ragioniere era di gran lunga più carina!

Nota (*1): la traduzione è mia: magari in italiano si usa una terminologia diversa...
Nota (*2): falso nel senso che il “vero” esperimento è più ampio...

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