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sabato 15 luglio 2023

Varie sul secolo breve

Vabbè, stavolta devo scrivere de “Il secolo breve” altrimenti rimango troppo indietro!

Per comodità e velocità mi limiterò a elencare le mie annotazioni e spunti che mi sembrano più interessanti.

Il primo commento è una mia riflessione. Stavo leggendo le pagine in cui Hobsbawm descrive i crimini di Stalin, le sue epurazioni: non abbiamo neppure dei numeri precisi sul numero totale delle sue vittime ma siamo sulle decine di milioni.
Eppure ancora è normale sentir dire, magari da qualche vecchio comunista, che gli piace Stalin: passione dubbia ma nessuno ha da ridire. Invece dire lo stesso di Putin non è ritenuto ammissibile (in Germania CREDO che sia reato): questa è la forza della propaganda.

Hobsbawm tocca poi un tasto dolente: in particolare si accorge che l’Occidente rischia di perdere i valori illuministici conquistati nell’ottocento.
Ma forse è meglio se cito direttamente: «Infatti divenne parte della guerra anche la criminalizzazione di intere popolazioni in base a principi aprioristici: si pensi all’internamento durante la seconda guerra mondiale di tutti i cittadini statunitensi di origine giapponese o di tutti i tedeschi e gli austriaci residenti in Gran Bretagna, in base al presupposto che in questi gruppi potevano nascondersi potenziali agenti del nemico. Questi metodi erano un esempio della perdita dei valori di progresso civile, affermati nell’Ottocento, e della rinascita della barbarie nel nostro secolo: un tema che abbiamo già esaminato e che scorre come un filo nero attraverso le pagine di questo libro.» (*1)
L’ho già scritto ma lo ripeto: proprio la sensibilità dell’autore di riconoscere questa tendenza già nei primi anni ‘90 mi ha più impressionato.
Adesso, direi dalla crisi pandemica in poi, è evidente la tendenza alla riduzione di libertà e diritti della popolazione occidentale, e nemmeno in tempo di guerra ma strutturalmente. Dovrebbe essere evidente a tutti ma la disinformazione dei media è tale che il nero viene descritto come bianco e viceversa…

Colpisce poi la franchezza di Hobsbawm sul fallimento del comunismo sovietico: dai video/interviste che avevo visto mi ero reso conto che era un comunista sincero, nel senso che credeva nei suoi principi di giustizia e uguaglianza, ma questo non gli impedisce di ammettere la degenerazione del comunismo sovietico, poi riproposta in tutta l’Europa dell’est.

Parole giuste. Talvolta scrivo della tendenza dell’Occidente verso la dittatura ma il termine più corretto forse è totalitarismo. Dove con totalitarismo si intende uno Stato che permea ogni aspetto della vita delle persone, vuoi controllandole, vuoi indirizzandole.
Curiosamente il termine nasce in Italia per descrivere il fascismo ma esso, nonostante ne avesse la volontà, non riuscì a divenire un totalitarismo come avvenne, per esempio, in Germania.
Vidi un video di Barbero al riguardo: Barbero considera totalitarismo lo stato tedesco e quello sovietico ma non l’italiano. Per Hobsbawm invece vi fu totalitarismo in Italia e Germania ma non nell’URSS. Personalmente mi convince più Barbero…
Tornando al presente vediamo un occidente che cerca di controllare le menti, monopolizzando l’informazione e impedendo qualsiasi voce che vada contro il pensiero dominante. Lo vediamo col denaro, con il tentativo di controllare completamente il contante della popolazione, l’abbiamo visto nella salute, imponendo a tutti cure dubbie, spesso non necessarie e talvolta dannose. Ecco è un totalitarismo incentrato soprattutto sul controllo ma, non per questo, meno efficace.
Ricordatevi che si smette di pensare ciò che non si può dire. Il controllo alla fine plasma il pensiero e quindi il comportamento.

Nel sottocapitolo successivo (questo sull’URSS è stato lunghissimo) Hobsbawm descrive rapidamente i diversi comunisti nel mondo: l’indipendenza di quello cinese, la diversità di quello cubano e dei vari stati africani mentre nell’Europa dell’est viene imitato (o a volte imposto) quello sovietico.
Arrivando alla Polonia parla del sindacato Solidarnosh, ovvero l’organizzazione degli operai, delle varie fabbriche pesanti polacche (tipico della teoria di sviluppo industriale sovietico), e del suo contributo allo sviluppo della consapevolezza politica della popolazione. Esattamente come previsto da Marx secondo il quale era necessario lo sviluppo capitalistico dell’industria per arrivare agli operai necessari per il comunismo (*2), con un “piccolo” problema…
Scrive Hobsbawm: «[…] classe operaia che […] si organizzò in un classico movimento operaio e sindacale, alleato come di consueto con gli intellettuali, che sfociò in un movimento politico, seguendo un percorso tipicamente previsto dalle analisi di Marx. Soltanto che l’ideologia di questo movimento, come dovettero notare con malinconia i marxisti, non era anticapitalista, ma antisocialista.» (*3)
Mi ha fatto ridere l’evidente umorismo di Hobsbawm!

Conclusione: decisamente un libro da 5 stelline: non è facile resistere alla voglia di divorarlo, ma so che se lo facessi memorizzerei molto meno del contenuto...

Nota (*1): tratto da “Il secolo breve” di Eric J. Hobsbawm, (E.) BURexploit, 2009, trad. Brunello Lotti, pag. 458.
Nota (*2): La Russia infatti non era pronta per il comunismo perché la popolazione era troppo contadina; al contrario ci si aspettava che il comunismo fiorisse in Germania…
Nota (*3): ibidem, pag. 465.

2 commenti:

  1. Penso che dovremmo adottare un giudizio e locale e storico sul fascino esercitato da dittatori (Stalin, Franco, Mussolini, Hitler, :Pol Pot, Mao) sui relativi popoli.
    Ad una persona che ti permette di uscire dalla miseria e da' qualche prospettiva di miglioramento, si perdonano molte cose.
    In fin dei conti è solo una bilancia dei pro e contro.
    In realtà Stalin non fu certo amato da ampie parti della popolazione che vennero decimate dalle sue politiche anticontadine, antirurali.
    Ma fu una parte della popolazione dell'URSS.

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    1. Sì, è vero...
      Diciamo che io avevo in mente non i russi ma qualche vecchio comunista italiano che, seriamente, ha un'opinione sostanzialmente positiva di Stalin.

      Ora mi immagino un tiggì che intervista qualche partecipante a una "festa dell'unità" (esistono ancora?). Il tizio che parla bene di Stalin sembra esprimere un'opinione legittima ma chi si azzardasse a parlare bene di Putin verrbbe censurato.
      A me pare paradossale.

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