[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.1 "Bolognese").
Ieri ho finalmente finito di leggere il saggio “Psicologia delle masse e analisi dell’io” (*1): come avevo anticipato non mi è piaciuto molto. La sensazione è quella di un lavoro pionieristico probabilmente ricco di intuizioni corrette ma anche con elementi che non mi convincono del tutto.
L’analisi delle masse, cioè delle loro caratteristiche, è interessante e compatibile con ciò che già sapevo e immaginavo. Freud riassume le idee, abbastanza credibili, di altri studiosi prima di fornire la sua.
In pratica Freud afferma che le spiegazioni (sulla psicologia delle masse, su cosa le formi e, soprattutto, le tenga insieme facendole agire come se si trattasse di un essere unico dotato di una propria mente) degli altri ricercatori sono solo parziali. In particolare ciò che loro pensano essere le cause prime della massa in realtà non lo sono. Infatti, ovviamente, per Freud all’origine di tutto c’è il sesso. In pratica nella massa ci sono due forme di amore (Freud intende il termine nel significato più vasto possibile) quello fra gli individui della massa che si identificano l’uno con l’altro e quello verso il capo della massa che, vado a memoria quindi potrei sbagliarmi, viene amato (e contemporaneamente la folla crede di essere amata da lui) come un “ideale dell’io”, cioè una specie di modello che vorremmo imitare. Beh, Freud usa molti più termini tecnici facendo sottili distinzioni: sul momento avevo capito qualcosa di più ma ora dovrei ricontrollare i miei appunti e non mi pare ne valga la pena.
Onestamente il rapporto fra massa e capo mi lascia perplesso: possibile si possa prescindere dalle idee (io mi sto immaginando la folla di un comizio politico) che vengono espresse dal "capo"? io faccio fatica a immaginarmi ad applaudire un’idea che ritengo stupida e, in generale, a integrarmi in una massa invece di fare di testa mia.
Freud direbbe che è una mia nevrosi, ovviamente di origine sessuale, che mi impedisce di far parte di una massa (questo vale per tutti i nevrotici). Io gli obietterei che fin da bambino avevo questo comportamento tendenzialmente asociale (v. KGB le origini: l’anticonformista e KGB le Origini: l’asociale) e lui mi risponderebbe che dovette avvenire qualcosa nella primissima infanzia che, ovviamente, ho rimosso; io scherzerei dicendogli che forse la mamma mi ha allattato con la poppa sbagliata e Freud alzerebbe un sopracciglio prendendo appunti…
Ma in realtà oggi più che di Freud volevo scrivere di un’interessante riflessione nata da uno spunto datomi dalla lettura di Sant’Agostino.
Nel capitolo XVI del primo libro (*2) Sant’Agostino contesta la comune affermazione che Omero attribuisse agli dèi le debolezze umane ma, scrive «Più esatto sarebbe dire che Omero inventava, è vero, ma in quanto attribuiva qualità divine a uomini viziosi, affinché l’iniquità non fosse giudicata iniquità e chiunque la commettesse sembrasse imitatore non di uomini ma di divinità del cielo» (*3).
In prima battuta, ricordando la mia definizione di intellettuale organico ([E] 9.6), avevo aggiunto a margine la seguente glossa: “Concetto interessante Omero attribuisce vizi umani agli dei in maniera che i potenti, con i loro vizi, si sentissero vicini agli dei → giustificazione del potere” (*4).
Poi però ci ho pensato meglio e ritengo che la logica di Omero fosse diversa: l’antico aedo non aveva la morale cristiana con cui giudicare virtù e vizi: egli quindi attribuiva agli dèi il comportamento degli uomini potenti perché lo riteneva, se non giusto, almeno normale.
L’effetto poi, ha ragione Sant’Agostino, era quello di giustificare il comportamento dei potenti dell’epoca. In pratica la penso come Sant’Agostino con la differenza che giudico la descrizione degli dèi di Omero spontanea, senza secondi fini e priva di un giudizio morale: questo perché in ogni epoca sono i potenti, con il loro comportamento, a definire la morale (talvolta anticipandola). La massa, la democratastenia, in genere cerca poi di imitare l’esempio dato dal potere.
Ovviamente Omero, data l’epoca, non poteva che essere un “intellettuale organico”…
Per curiosità aggiungo anche il mio ulteriore commento con queste precisazioni: “→ [KGB] ma in realtà era proprio il comportamento dei potenti a essere considerato divino → la morale è quella del potere” (non quella cristiana, aggiungo).
Mi si potrebbe obiettare che, nel corso dei secoli, la morale della Chiesa ha trionfato sulla morale del potere politico ma in realtà ciò è normale: per molti secoli il potere del Papa è stato superiore a quello di un singolo regnante (basti pensare alla lunga e incerta lotta fra Papa e imperatore del Sacro Romano Impero) e tutti i sovrani cristiani gli riconoscevano almeno l’autorità morale (in cambio della giustificazione della Chiesa al loro potere terreno "voluto da Dio"). Inoltre non va dimenticato che anche la Chiesa si è adattata modificando la propria morale: ad esempio ribaltando radicalmente il proprio atteggiamento verso la povertà/ricchezza (v. La bestiaccia dalle sette teste).
Insomma non c’è nessuna reale contraddizione!
Conclusione: per adesso i saggi di Freud mi stanno deludendo ma confido ancora in quello che dà il titolo al libro, ovvero “Il disagio della civiltà”. Invece l’opera di Sant’Agostino sembra sempre più promettente se si saltano le preghiere e la continua inframmettenza delle lodi a Dio...
Nota (*1): da “Il disagio della civiltà e altri saggi” di Freud, (E.) Bollati Boringhieri, 2019, trad. vari a seconda del saggio (nel saggio in questione la traduzione è di E. A. Panaitescu).
Nota (*2): da “Le confessioni” di Sant’Agostino, (E.) Rizzoli, 1974, trad. Carlo Vitali.
Nota (*3): ibidem, pag. 69.
Nota (*4): i miei appunti mirano più alla sintesi che alla correttezza stilistica!
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Freud ancora una volta di delude? Hai un problema! Invece di affrontarlo con curiosità hai delle aspettative.
RispondiEliminaBo, probabilmente è come dici tu: ho aspettative troppo alte...
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