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domenica 18 agosto 2019

Il succo degli ebrei

Pezzo leggerino oggi…
Nei giorni scorsi sono stato a casa di mio padre a fargli compagnia perché era solo e, non avendo di meglio, ne ho approfittato per raccontargli ciò che stavo imparando dal saggio di Freud che sto leggendo.
A sentire il nome di Freud mio padre ha fatto un’osservazione che mediamente gli sento dire ogni 5/10 anni. Mi ha detto qualcosa del tipo: “Certo che Freud… o Einstein… questi grandi scienziati sono tutti ebrei: gran popolo gli ebrei! Hanno evidentemente qualcosa in più degli altri...”
E, tanto per non fraintenderci, lo dice con sincera ammirazione, senza invidia né in maniera sprezzante (*1): è una riflessione che gli viene spesso naturale, magari per associazione di idee quando pensa a un personaggio famoso: ad esempio sicuramente mi aveva fatto lo stesso discorso dopo aver visto un film di Woody Allen!
La prima volta che ho sentito questa osservazione facevo probabilmente le elementari, poi l’avrò riascoltata all’epoca delle medie, poi delle superiori etc…
Le mie reazioni sono cambiate poco nel corso degli anni: probabilmente la prima volta, da bambino, devo averla assimilata come una grande verità, condividendo lo stupore e l’ammirazione di mio padre; dalle superiori in poi mi sono stabilizzato su una reazione più neutra: per associazione di idee mi vengono in mente gli esami per misurare l’IQ dove i ragazzini ebrei primeggiano, poi mi ricordo che all’inizio del XX secolo erano invece nelle ultime posizioni, poi penso a eventuali caratteristiche genetiche osservando però che gli ebrei russi assomigliano ai russi mentre gli ebrei etiopi sembrano etiopi: insomma nel corso dei secoli gli incroci con la popolazione locale dovrebbero aver fortemente annacquato l’eventuale quid ebraico. Mi chiedo anche se questa sua considerazione la si possa considerare una specie di razzismo alla rovescia. Una volta ricordo che mio padre raccontò questa teoria a un suo amico ebreo, una persona molto in gamba dalla risposta sempre pronta (lo stesso che mi fornì il 2° e 3° racconto di 4 aneddoti e 1 domanda): mio padre, oblioso alle più sottili reazioni altrui, sicuramente non se ne accorse ma a me non sfuggì la perplessità, o forse l’imbarazzo, sollevata e che l’amico non replicò come suo solito preferendo invece lasciare cadere l’argomento…

Comunque tutte queste mie riflessioni le faccio insieme, tutte contemporaneamente, sono i miei “dati” su cui valuto, automaticamente senza rifletterci, le parole di mio padre: una specie di rapida “somma” fra pro e contro. Il risultato è un pigro “uhm...” mentale che equivale a un inconclusivo “può essere ma non ne sono troppo convinto”. Niente che valga la pena di replicare.
Ieri invece, questa usuale osservazione di mio padre, mi ha suggerito un’interessante variazione alla mia solita reazione di sostanziale indifferenza.
Gli ho suggerito: “Ma non potrebbe essere che ciò che contribuisce a produrre queste grandi personalità sia il loro stile di vita? Gli ebrei vivono in una società/cultura all’interno di un’altra più grande. È come se fossero cittadini di due mondi contemporaneamente. È possibile che questo doversi rapportare continuamente a due realtà diverse li porti ad avere una mente più aperta, più distaccata e oggettiva, meno prona a cadere negli errori comuni alla maggioranza della popolazione? Una forma mentale di questo tipo, abituata a confrontarsi e magari aggirare i dogmi altrui, sicuramente sarebbe una buona base su cui costruire uno scienziato...”
Poi ho ricordato a mio padre la “mia” opinione genetica (vedi sopra) che sembra suggerire una spiegazione culturale e, stavolta, è stato lui a fare “uhm”!

Questo mi ricorda una “curiosità famigliare”: la teoria di una mia cugina secondo cui la nostra bisnonna, Giulia Del Seta (vedi finali di Coraggio e paura), fosse ebrea. In realtà le informazioni a supporto di questa sua ipotesi sono molto poche: il cognome, il lavoro che faceva, vaghe storie di famiglia (fuga dalla Francia, con tanto di vecchi gioielli) e, forse, delle ricerca inconclusive presso la diocesi.
Però se Giulia Del Seta fosse stata effettivamente ebrea, essendo la madre della madre di mia madre, farebbe di me un vero ebreo! Se non sbaglio infatti sono tradizionalmente considerati ebrei i nati da discendenza materna ebraica…
Questo spiegherebbe la mia grande intelligenza e senso dell’umorismo, chiaramente genetici, mentre dimostrerebbe che l’attenzione al denaro è invece una dote culturale!
Ovviamente sto scherzando: la frase sopra, con l’origine genetica di intelligenza e umorismo, contraddirebbe la precedente ipotesi che ho proposto a mio padre…

Questa baia mi ha però portato a un’interessante riflessione che potrebbe indirettamente confermare la mia ipotesi iniziale.
Chiudo 4 aneddoti e 1 domanda con un mio “aneddoto”, anzi una riflessione che feci da ragazzino:
«Infine il quarto aneddoto in realtà non è tale: Si tratta invece di una riflessione che feci da ragazzino ma che ha comunque condizionato molte scelte della mia vita.


Non ricordo esattamente quanti anni avevo ma so che andavo alle medie. Nel giro di un mese mi capitò di ascoltare tre o quattro interviste a giovani di successo. Non ricordo chi fossero ma immaginatevi attrici o cantanti: persone insomma legate al mondo dello spettacolo.
Tutti ricordavano gli inizi difficili ma esortavano i giovani ad avere fiducia nel futuro perché, dicevano, prima o poi la grande occasione capita a tutti e bisogna saperla prendere.
Io ci meditai sopra un bel po' e poi rimasi sfiduciato, pessimista e depresso.
»

Mi ero infatti reso conto che le valutazioni di questi “giovani di successo” erano in realtà dei ragionamenti a posteriori, in cui la causa (l’eventuale talento) e l’effetto (il successo) venivano confusi insieme ("poiché ho successo devo aver avuto talento"), ma che in realtà erano solo la riprova che bisognava avere molta fortuna (la “famosa” opportunità che “capita sempre”) per poter avere successo e che questa conta molto di più delle eventuali capacità.
Questa consapevolezza, peraltro ottenuta in giovane età, mi ha sempre condizionato togliendomi fiducia e speranza e ha seriamente compromesso la mia capacità di dare e di impegnarmi al massimo.
Ecco, mi chiedo, se fossi nato ebreo è possibile che la cultura famigliare/religiosa/sociale mi avrebbe spinto a fare di più? Non so: non essendo ebreo né avendo letto niente sull’argomento non ne ho idea eppure mi pare un’ipotesi plausibile: forse anch’io, pur senza vincere premi Nobel, avrei potuto realizzare di più se fossi stato opportunamente motivato a farlo…

Conclusione: il pezzo mi è un po’ sfuggito di mano: volevo scrivere solo un aneddoto curioso e divertente ma poi ne sono venuti fuori degli aspetti più profondi e interessanti...

Nota (*1): dicendo cioè una cosa ma intendendo o alludendo all’opposto.

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