[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.1 "Bolognese").
Due giorni fa ho scritto il pezzo pubblicato ieri (Demonizzazione globale) ma, subito dopo averlo fatto, ho anche iniziato a riflettere su una questione strettamente collegata.
Scrivevo che la demonizzazione dell’avversario non conviene a nessuno ed elencavo quattro diverse ragione per argomentare la mia affermazione. Successivamente spiegavo che per i media è più facile demonizzare un avversario piuttosto che dimostrarne errate le proposte politiche.
Ma nonostante queste osservazioni mi sembrassero valide mi ero reso conto che ancora qualcosa non quadrava del tutto: com’è possibile che l’uomo creda così facilmente a delle accuse prive di qualsiasi fatto a loro sostegno?
Questo mi sembrava un comportamento totalmente illogico ma, ovviamente, ero consapevole che ci dovesse essere una spiegazione. Ieri ci ho pensato a lungo (relativamente!) ma non ero riuscito a giungere a nessuna teoria che mi sembrasse soddisfacente: cosa abbastanza anomala perché in genere mi bastano pochi secondi per elaborarne una!
Finalmente stamani ho avuto delle intuizioni.
La prima, piuttosto banale, è che l’uomo non è obiettivo verso le affermazioni che confermano i suoi pregiudizi: prende facilmente per buone tutte le notizie che sostengono ciò che già crede.
Eppure questa spiegazione non risolve completamente il mio dilemma: ho la sensazione che a volte l’uomo creda ad accuse, sebbene prive di prove, anche senza aver prima dei pregiudizi di sorta.
Sono allora arrivato alla conclusione che l’uomo voglia, desideri, avere un avversario che rappresenti il male: opporsi a esso equivale infatti a essere dei guerrieri del bene e, quindi, a giustificare moralmente la propria vita. Dopotutto è il male che definisce il bene: e se noi non siamo seguaci del male allora, automaticamente, lo siamo del bene.
La personificazione del male diviene un parafulmine a cui diviene facile attribuire tutte le colpe, tutte le ingiustizie della vita. Come se fosse una valvola di sfogo per le tensioni della società causate dalle sue ingiustizie intrinseche.
E poi l’uomo non ama l’incertezza: è più facile convincersi che una personalità sia completamente buona o cattiva anche se, a livello cosciente, siamo tutti consapevoli che un individuo non è mai completamente bianco o nero ma è di un grigio cangiante: a volte farà bene e a volte farà male.
È quindi più facile convincersi che un politico faccia tutto male piuttosto che valutare oggettivamente ogni suo singolo provvedimento e distinguere così fra quelli giusti e quelli sbagliati.
Insomma, riassumendo, ho avuto la netta sensazione che l’uomo abbia la necessità filosofica di un avversario da odiare per sentirsi e illudersi di essere buono. Questo lo porta a credere con crescente fanatismo (perché poi ogni accusa o insulto, per quanto privi di fondamenta, divengono la conferma dei precedenti) alla demonizzazione di una personalità politica.
Questo stamani. Poi, poco prima dell’ora di pranzo, sono andato avanti nella lettura del saggio “L’avvenire di un’illusione” di Freud: e, al secondo capitolo, ho trovato un filone d’oro!
Ora non voglio entrare nei dettagli (ho già scritto abbastanza) ma mi limito a riassumerne in poche parole la teoria in maniera da fornire un minimo di contesto alla conclusione dell’autore.
Freud spiega che la società con i suoi divieti provoca frustrazione nel singolo individuo in quanto viene costretto a reprimere parte dei suoi impulsi. Contemporaneamente la società non è neppure giusta nella divisione della sua ricchezza ([E] 4.5): un numero limitato di individui sono privilegiati e ne godono pienamente tutti i vantaggi (i parapoteri, [E] 4.2) che da questa derivano mentre la maggior parte della popolazione (la democratastenia, [E] 4.4) riceve solo le briciole.
La società ha poi regole (protomiti, [E] 2.3) e strutture ([E] 3.1) che ne garantiscono la stabilità e i privilegi di pochi: ma com’è possibile che gli sfruttati tollerino la propria condizione?
Secondo Freud molti dei divieti della società vengono interiorizzati dal singolo divenendo parte del suo “super io” (*1). In pratica alcuni divieti divengono ideali del super io che, come tali, l’uomo si sforza quindi volontariamente di rispettare. Viceversa alcuni divieti non sono interiorizzati e la società può farli rispettare solo grazie alla propria forza: questo porta al crimine.
In definitiva rimarrebbe comunque un gruppo significativo di persone che è ostile alla società (che Freud chiama “civiltà”).
Ma eccoci al passaggio che oggi mi ha così impressionato:
“Il soddisfacimento narcisistico [la soddisfazione per un successo conseguito dalla propria società] derivante da un ideale civile è anche vivo in quelle forze che, entro l’ambito civile, si contrappongono efficacemente all’ostilità alla civiltà. Possono prendervi parte non soltanto le classi privilegiate, che godono i benefici di tale società, ma anche gli oppressi, in quanto l’autorizzazione a disprezzare coloro che ne rimangono esclusi li risarcisce del danno subito all’interno del loro ambito proprio. Uno è un misero plebeo, tormentato dai debiti e dal servizio militare, ma in compenso è Romano,partecipe al compito di dominare altre nazioni e di prescrivere loro le leggi.” (*2).
In altre parole l’ordine sociale non è mantenuto solamente dalle classi privilegiate (che hanno tutto l’interesse a difendere i propri privilegi) ma anche da una parte di quelle sfruttate che però si riconoscono nei successi raggiunti dalla propria società e, proprio per questo, si sentono superiori a “coloro che ne rimangono esclusi”.
È proprio in questo passaggio che io vedo una analogia con la mia teoria della “demonizzazione”: nel disprezzare/odiare gli altri si ricava soddisfazione a dispetto della propria effettiva condizione.
Per Freud questo disprezzo è rivolto all’esterno della società ma, in effetti, niente vieta che in mancanza di bersagli stranieri, esso possa essere diretto verso una sua parte interna, l’avversario politico appunto. Certo questo, come spiegato in Demonizzazione globale crea numerosi problemi nel medio lungo termine ma, almeno nel breve, è un fenomeno comprensibile.
Poi, tutto sommato, questo confrontarsi e paragonarsi con gli altri ricorda molto anche la mia legge delle diseguaglianze ([E] 7.2)…
Conclusione: ancora dovrò ragionarci a lungo ma credo che alla fine integrerò anche questa particolare sfumatura (e spero molte altre che incontrerò in seguito!) nella mia teoria.
Nota (*1): che io ho inteso come un’idealizzazione di come si vorrebbe essere o ci si immagina di essere e a cui, comunque, si cerca di tendere.
Nota (*2): tratto da “Il disagio della società e altri saggi” di Freud, (E.) Bollati Boringhieri, 2012; in particolare dal saggio “L’avvenire di un’illusione” (1927) tradotto da Sandro Candreva e E. A. Panaitescu.
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