In questi giorni mi sono divertito a scrivere altre cinque nuove “antiche favole di Esopo” (v. anche Nuove "Antiche favole di Esopo").
Per la cronaca tre di queste sono completamente originali (l'idea centrale di una l'ho addirittura sognata!), una è invece una variante di una favola di Esopo (e infatti ne ho copiato l'inizio e il titolo) mentre la quinta l'ho costruita un po' artificialmente per inserirvi una frase di Sant'Agostino che mi piaceva...
Di seguito le cinque favole in ordine sparso così potete divertirvi a cercare di indovinare quale sia la variante di Esopo e quella con la frase di Sant'Agostino...
Il lupo prudente
Un lupo, ogni volta che si imbatteva con i compagni del suo branco, si vantava di essere sempre più prudente. Gli altri lupi, che l'ammiravano per la sua saggezza, gli chiedevano di spiegargli cosa facesse in maniera da poterne seguire l'esempio.
Un giorno disse a un compagno: «Non parlo mai con la volpe: così ella non mi potrà ingannarmi con le sue parole astute».
A un altro lupo disse: «Non caccio mai il cervo perché le sue corna, unite alla forza della disperazione, possono ferirmi o uccidermi».
A un altro ancora: «Evito l'uomo e i cacciatori: preferisco infatti saltare un pasto che beccarmi una loro freccia!»
Qualche tempo dopo però un membro del branco lo trovò esangue, con una zampa anteriore maciullata fino all'osso, e stupito gli chiese cosa avesse vinto la sua prudenza. Il lupo ferito rispose con un filo di voce: «Nulla ha sconfitto la mia prudenza: ho pensato che se mi strappavo una zampa a morsi questa non avrebbe mai potuto rimanere bloccata in una tagliola...»
La favola insegna che rischia di danneggiarsi colui che si preoccupi troppo per il futuro e prenda misure drastiche per sventare ipotetici pericoli ancor prima che questi si avverino.
I due mercanti vicini di casa
Due mercanti vicini di casa non potevano essere più diversi fra loro tant'è che, quando si incontravano, finivano sempre per discutere animatamente: l'uno era generoso e sempre pronto ad aiutare il prossimo mentre l'altro era un pitocco che guardava solo al proprio interesse personale.
Zeus, colpito dalla liberalità del primo, decise di metterlo alla prova e chiese quindi alla Fortuna di accanirsi contro il generoso: tutti i suoi affari andarono a rotoli, i suoi bastimenti naufragarono ed egli dovette vendere la propria dimora per non finire schiavo.
Per poter sopravvivere si mise quindi a elemosinare scegliendo di rimanere nei pressi della sua vecchia casa dove molti lo conoscevano e ricordavano la sua precedente munificenza.
Quando l'altro mercante lo vide gli disse: «Bene, bene vecchio compare: hai finalmente capito quali sono i frutti della generosità? Come ti avevo sempre detto essa non si addice a noi mercanti! Vedi i miei affari vanno benissimo e io potrei donarti senza difficoltà non pochi soldi ma anche dell'oro: però non lo farò perché non voglio rischiare di ridurmi come te. A che ti è giovato infatti tutto il tuo bene per rimanere poi senza beni?».
A queste parole l'uomo caduto in miseria gli rispose prontamente: «Mi ha giovato quasi tanto poco quanto a te la tua ricchezza di beni senza alcun bene.»
Zeus, che osservava la scena, capì così che la liberalità del mercante in disgrazia era stata sincera perché, nonostante la malasorte, egli ancora non la rinnegava ma continuava a ritenerla superiore alla meschina avidità: così il sommo Dio ordinò alla Fortuna di restituirgli la sua ricchezza con gli interessi mentre il vicino avaro, finito a sua volta in malora, morì di fame perché nessuno ebbe alcuna compassione di lui.
Questa è una favola adatta a chi pensa solo ad arricchirsi e non si cura di usare il proprio denaro per fare del bene.
La capra e il becco
Una capra, considerata da tutti una compagnia eccellente, allegra e di buon carattere, si era allontanata dal gregge alla ricerca di rare erbette di cui era particolarmente ghiotta. Solo un becco di lei infatuato, ritenuto però da tutti protervo, irascibile e impaziente, l'aveva seguita d'appresso.
Mentre la capra brucava su una parete a precipizio sul vuoto accadde l'impensabile: una zampa scivolò su una pietra muscosa e contemporaneamente il masso che sosteneva quelle posteriori cedette. La capra cadde così nel vuoto davanti agli occhi del becco senza che questi potesse far niente.
Tornato al gregge nessuno credette al suo racconto e anzi esso venne processato: «Hai cercato di montarla ma lei si è rifiutata così, accecato dalla rabbia, l'hai spinta giù dal precipizio!» l'accusavano.
Inutile furono le parole che il becco, schifato da tutti, disse a propria difesa e così esso venne esiliato.
Mentre il becco se ne andava si voltò e salutò i suoi antichi compagni con queste parole: «Mi avete condannato non perché io sia colpevole ma perché la vittima era innocente: e voi non tollerate che un'innocente diventi vittima senza che vi sia un colpevole!»
La morale ci ricorda che la giustizia umana è fallibile e che solo quella divina non lo è.
Il rovo e l'orzo
Un rovo si lamentava con l'orzo di non essere altrettanto apprezzato dagli uomini quanto lui. Diceva infatti il rovo all'orzo: “Eppure io cresco anche su terreni inospitali ed elargisco i miei frutti senza bisogno di essere continuamente coltivato e accudito come te!”
E l'orzo gli rispose ridendo: “Proprio perché le mie focacce sono bagnate dal salso sudore del lavoro esse risultano più saporite al palato degli uomini!”
La morale ci insegna che gli uomini apprezzano maggiormente ciò che guadagnano con fatica piuttosto che quanto viene regalato loro senza sforzo alcuno.
Il lupo sazio e la pecora
Un lupo che era pieno di cibo fino alla gola scorse una pecora stesa al suolo e, comprendendo che era venuta meno alla sua vista, le si avvicinò, e la rassicurò dicendole che l'avrebbe lasciata andare libera solo che gli dicesse tre dei suoi pensieri.
La pecora allora iniziò col dirgli quanto l'ammirava per la sua generosità e magnanimità. Che, in secondo luogo ella si riteneva la pecora più fortunata del mondo, benedetta anzi dagli dei, a essersi imbattuta in lui e aver potuto quindi ammirare da vicino un lupo così grande e forte come quello che le stava davanti. In terzo luogo che si proponeva di raccontare a tutte le pecore del suo gregge quanto egli fosse saggio e giusto e che anzi le avrebbe convinte a portargli gli agnelli affinché potessero conoscerlo e ricevere la sua benedizione.
La pecora però, espressi questi tre argomenti, vedendo che il lupo continuava a osservarla sempre più cupamente senza dire niente, riprese a lusingarlo con lodi ancor più sperticate, arrivando a definirlo più possente di Cerbero e più veloce e astuto dei segugi da caccia della dea Artemide.
Improvvisamente il lupo snudò i denti e la morse dilacerandole la gola. La pecora morente ebbe la forza di chiedergli: «Perché mi uccidi? Le mie lodi non sono state sufficienti a garantirmi la libertà?». E il lupo le rispose: «Io non volevo le tue lodi ma il tuo pensiero: invece la tua arringa è stata così lunga e le tue parole così dolci che mi hanno fatto tornare l'appetito!»
La favola mostra che anche i nemici apprezzano più una verità sgradita piuttosto che molte e false lusinghe.
Conclusione: avrei ancora una decina di spunti per altre favole ma la voglia di scriverle sta scemando: certo che se ricevessi qualche incoraggiamento...
Fate voi!
Tassi alcolemici
2 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento