Mio padre mi ha appena mandato una strana epistola con allegate le scansioni di una vecchia lettera scritta da un suo collega una ventina di anni fa.
Mi ha chiesto di leggerla perché divertente ed, eventualmente, di scriverci un pezzo. Anzi, per la precisione: «...A parte il tipo di scrittura che già di per sé è un'opera d'arte, la trovo simpatica e
rappresentativa del costume italiano. Se non la conosci leggila e se ti dà l'ispirazione scrivici su un post...»
E, in effetti, l'ispirazione me l'ha data...
Prima però un mio vecchio aneddoto dei tempi del liceo. Onestamente non sono più sicuro al 100% di tutti i dettagli ma, più o meno, i fatti furono i seguenti.
Un bel giorno, in 3° o 4° liceo, il preside entrò per la prima e ultima volta nella nostra classe per una comunicazione: stupiti dalla visita improvvisa la classe si alzò rispettosamente in piedi e scese il silenzio mentre lui, severo e arcigno, ci disse qualcosa del tipo [è questo il “dettaglio” che non ricordo bene!] “Ragazzi, domani dalle 12:00 manca il professore XXX però, se vi fate firmare l'autorizzazione dai vostri genitori, potete uscire prima...” [No, non fu questa la comunicazione: fu comunque qualcosa per cui bisognava chiedere l'autorizzazione ai genitori ma era palese che l'avrebbero data (o forse non c'era il tempo per chiederla perché necessaria per il giorno stesso? La mia indignazione avrebbe più senso...) e, pertanto, a mio giudizio il tutto si riduceva a una burocrazia ipocrita e inutile].
Qualcosa nella comunicazione del preside, unita al suo atteggiamento formale e dignitoso, urtò particolarmente la mia sensibilità: per questo alzai la mano e, una volta autorizzato a parlare, chiesi con estrema serietà “Ma se ci scordiamo di farci firmare l'autorizzazione dai nostri genitori possiamo farlo noi stessi?”. A quel punto la classe smise di respirare e il silenzio si fece totale ma, un lungo istante dopo, (ridacchiando!) la professoressa di italiano (v. La prof G) intervenne in mia difesa, non ricordo esattamente, forse dicendo qualcosa del tipo che scherzavo oppure rigirando le mie parole e dando loro un senso diverso... davvero non ricordo. Però ricordo bene la risposta del preside che, guardandomi severo, mi rispose: “Farò finta di non averla sentita...”, poi si voltò e uscì senza aggiungere altro...
Ecco, a scriverne mi sta tornando a mente l'episodio: quello che mi irritò fu il non parlare chiaro del preside che, con un artificio ipocrita, ci autorizzava a fare qualcosa senza però prendersene direttamente la responsabilità.
L'episodio riportato nelle scansioni inoltratemi da mio padre è più chiaro: il preside, senza tante cerimonie, autorizza gli studenti a non presentarsi a lezione cosicché molti professori ne approfittano per timbrare il cartellino e andarsene: tutti eccetto l'amico di mio padre che, invece, preferisce stoicamente seguire le regole piuttosto che approfittare dell'occasione e passa così ben quattro ore in un'aula vuota. Ma il professore, invece di rigirarsi i pollici, sfrutta il tempo per scrivere la seguente memorabile lettera aperta al preside dove, in pratica, gli chiede di... beh, leggetela!
C'è un notevole parallelismo col mio aneddoto, vero?
Conclusione: inutile dire di quale “squadra” - con rispetto parlando – faccia parte KGB...
L'esempio di Benjamin Franklin
2 ore fa
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