Nel corto Ritmo antico avevo accennato a una mia intuizione sul rapporto fra Proust e il tempo (e il lettore!).
Partendo da un riferimento all’ora solare mi ero reso conto che il lettore si deve adattare a un cambiamento di ritmo, a una narrativa che avanza con le sue more.
Ebbene proseguendo nella lettura mi sono accorto di un altro fenomeno legato al tempo compatibile, anzi, probabilmente connesso al precedente.
ATTENZIONE SCIUPATRAMA!
La fuggitiva inizialmente segue due trame collegate fra loro: la storia della relazione fra il protagonista e Albertine, la fidanzata/convivente, che lo ha lasciato e le vicissitudini interiori del protagonista che si ingegna per farla tornare a sé ponderando a tavolino le azioni da compiere.
Proprio quando sembra che il protagonista abbia avuto successo e che Albertine stia per tornare ecco che gli giunge la notizia dell’improvvisa morte di lei causata da una banale caduta da cavallo.
A questo punto la prima trama, diciamo quindi il resoconto delle azioni del protagonista sul piano reale si sospende (con l’eccezione di qualche breve resoconto estemporaneo non collocabile temporalmente), e rimane solo la seconda trama, ovvero la descrizione del suo tormento interiore, le sue riflessioni, le sue emozioni e ossessioni legate all’amore per sempre perduto e soprattutto i suoi ricordi.
Ecco, in queste pagine, mi sono reso conto che si perde completamente il senso del tempo: dopo aver letto una decina di pagine non so più se siano passati pochi giorni dalla scomparsa di Albertine oppure mesi o addirittura anni (si accenna infatti alle emozioni rievocate dal passaggio delle stagioni). Chiaramente è un effetto voluto dall’autore a cui io però faccio particolarmente caso perché quando leggo qualcosa (oppure guardo un film etc.) cerco sempre di tenerne traccia per valutare la verosimiglianza della trama: molto spesso ci scoprono delle evidenti inconsistenze…
Credo che, proprio per questa perdita della nozione del tempo, il lettore debba avere ancora più pazienza nella lettura del libro: egli, come se facesse una crociera nella mente del protagonista, non deve aspettarsi di arrivare a una qualche conclusione/destinazione ma deve invece limitarsi ad apprezzare il viaggio e i panorami che l’autore gli mostra.
Del resto il concentrarsi sui giorni di ferie rimasti piuttosto che nel piacere della vacanza sono il risultato della concezione moderna del tempo con la vita dell’uomo scandita e controllata da esso: e non mi riferisco ai ritmi naturali del tempo, quelli dettati dal sorgere e dal tramontare del sole, ma a quello ossessivo, preciso al millisecondo, di orologi e telefonini…
Visto che come “corto” sono andato “lungo” ne approfitto per presentare delle considerazioni del protagonista che mi hanno lasciato perplesso. Oltretutto sono concentrate in due-tre pagine lette ieri sera: magari rappresentano l’inizio di una nuova fase del romanzo in cui dalla semplice descrizione dello stato d’animo del protagonista si passa a delle riflessioni che cercano di porvi ordine, di generalizzarle e di comprenderle. Se fosse così troverei il romanzo molto più interessante!
Comunque ecco i tre passaggi che mi hanno colpito (ricordo che il protagonista è afflitto per la perdita dell’amata Albertine):
1. «Certo, avevo conosciuto persone di intelligenza maggiore [rispetto ad Albertine]. Ma l’infinito dell’amore, o il suo egoismo, fa sì che gli esseri che amiamo sian quelli la cui fisionomia intellettuale e morale sia per noi la meno oggettivamente definita.» (*1)
2. «E allora provavo, insieme a una grande pietà per lei, la vergogna di sopravviverle. Mi pareva, infatti, nelle ore di minor sofferenza, di beneficiare in qualche modo della sua morte, perché una donna è di maggior utilità per la nostra vita se, invece d’esser un elemento di felicità, è uno strumento di afflizione; e non ne esiste alcuna il cui possesso sia prezioso quanto quello della verità ch’essa ci rivela facendoci soffrire.» (*2)
3. «Quando parliamo della “grazia” di una donna, forse ci limitiamo a proiettare all’esterno il piacere che proviamo a vederla, come i bambini che dicono: “Mio caro lettino, mio bel piccolo cuscino, miei cari piccoli biancospini”. Questo spiega, d’altra parte, che gli uomini non dicano mai di una donna che non li inganni: “È tanto cara”, mentre lo dicono tanto spesso di una donna che invece li inganni.» (*3)
Il significato di 1 mi pare di intuirlo anche se non sono sicuro di condividerlo.
Il significato di 2 è chiaro ma non riesco a comprendere l’apparente antinomia.
Il significato di 3 invece proprio mi sfugge…
Proverò a chiedere agli amici/conoscenti su FB: anche se di solito non ottengo granché…
Conclusione: vediamo… se adesso il romanzo cambia ritmo e diventa più “filosofico”, con riflessioni profonde su amore e lutto, potrebbe iniziare a interessarmi maggiormente… sempre ovviamente che riesca a seguirlo visto che queste prime frasi citate mi hanno lasciato sostanzialmente perplesso!
Nota (*1): Tratto da “La fuggitiva” di Marcel Proust, (E.) CDE spa, 1996, trad. Franco Fortini, pag. 84.
Nota (*2): ibidem, pag. 84
Nota (*3): ibidem, pag. 85
L'esempio di Benjamin Franklin
2 ore fa
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