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giovedì 17 settembre 2020

L'anti Nietzsche

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.6.2 "Coniugazioni").

Quando commento un autore il mio dubbio più ricorrente è quello di proiettare il mio pensiero sul suo: questo soprattutto quanto più la sua teoria mi appare prossima alla mia.
A volte esprimo queste mie perplessità apertamente (v. il recente Spiritelli temporali) e a volte no: ma il dubbio vi assicuro che è sempre lì…

Ieri ho terminato di leggere due libri (Il padiglione d’oro e Meglio di niente di cui probabilmente scriverò a parte) e ne ho iniziati altri due: Confucio: il breviario a cura di Gabriele Mandel, (E.) Rusconi, 1995 che contiene una raccolta di detti di Confucio (e un’introduzione molto ricca); L’anticristo di Nietzsche, (E.) Newton Compton, 1977, trad. Paolo Santoro.

Come sapete di Nietzsche ho letto altro materiale, poca roba in verità, ma ho comunque trovato una notevole affinità con la psicologia del filosofo tedesco. Il termine “psicologia” credo sia appropriato dato che ho sempre la sensazione di riuscire a percepire qualcosa di ulteriore, oltre le semplici frasi che leggo, altri pensieri, a volte dell’umorismo nascosto e a volte delle speranze inespresse.

Proprio per questo quando scrivo di Nietzsche temo particolarmente di attribuirgli idee non sue ma mie.
L’anticristo, non ho letto l’introduzione, ma ho la sensazione che sia un’opera tarda: in alcune affermazioni Nietzsche non è completamente logico e, a meno che non volesse essere fortemente provocatorio, temo che siano indice di uno squilibrio mentale.
Nonostante questo molti aspetti del suo pensiero rimangono validi: vi sto ritrovando infatti idee e concetti che in precedenza avevo letto solo come accenni e che qui sono invece esplicitati.

In particolare nel pensiero 2 (il volumetto è diviso in tanti paragrafi numerati che variano in lunghezza da mezza a un paio di pagine) ritorna su un concetto su cui aveva basato Al di là del bene e del male ovvero che la morale non è assoluta ma si evolve per giustificare il comportamento della società. Io, ormai non ricordo se autonomamente o dopo aver assorbito e fatta mia questa idea, l’ho esplicitata in quello che ho chiamato “Il ciclo CMR” ([E] 6.4).
Per la precisione scrive:
«Che cosa è buono? - Tutto ciò che nell’uomo accresce il senso di potenza, la volontà di potenza, la potenza stessa.
Che cosa è cattivo? - Tutto ciò che discende dalla debolezza.
» (*1)
La mia nota a margine è stata “[Ep] Leggi del potere”: ovvero possibile epigrafe per il capitolo sulle leggi del potere e in particolare per quella della conservazione ([E] 5.2) e quella della crescita ([E] 5.1).
Mi cito, la legge della conservazione afferma: «Il primo obiettivo di ogni potere è quello di non diminuire la propria forza.»
La legge della crescita invece: «Ogni potere vuole crescere e divenire più forte.»
E poiché i parapoteri guidano la società essa assume dei comportamenti che tendono a soddisfare queste due tendenze e la morale, col suo solito ritardo temporale, va poi a giustificarli.
A me pare ovvia la corrispondenza col pensiero di Nietzsche.

Eppure anche qui mi chiedevo se non mi sbagliassi, se non leggessi idee che non esistono in quelle che in definitiva sono solo poche righe di Nietzsche. Il buon lettore dovrebbe chiedermi del contesto: cosa scrive lo scrittore “intorno” alla frase citata?
Giustissimo: fatemi controllare. Beh, il pensiero 1 era puramente introduttivo. Nel prosieguo del pensiero 2, Nietzsche, esaspera la logica del bene e del male in funzione dell’aumento o diminuzione di forza: giustifica quindi la guerra e si scaglia contro il cristianesimo che, a suo dire, protegge la debolezza (e quindi il male).
Quindi anche la risposta data dall’immediato contesto non è definitiva: semplicemente Nietzsche segue la propria logica ma non esplicita quello che è il mio ragionamento.

Nei pensieri successivi prosegue il suo attacco al cristianesimo, poi passa alla filosofia tedesca e se la rifà anche col povero Kant colpevole di aver anteposto il suo imperativo categorico alla ragione e all’utilità (quindi quando questo va contro l’aumento di forza, per Nietzsche, equivale al male).
Ma veniamo al passaggio che invece mi ha fatto rimanere a bocca aperta…
Nel pensiero 11 Nietzsche continua a criticare Kant, soprattutto per l’idea di “bene in sé” (imperativo categorico), e la contrappone a… queste: «Le più profonde leggi della conservazione e della crescita comandano il contrario: che ciascuno si inventi la sua virtù, il suo imperativo categorico.» (*2) !!!!!!
Scusatemi l’eccesso di punti esclamativi ma la sorpresa per me è stata veramente notevole: mi appare infatti evidente che l’uso degli stessi nomi per quelle che io reputo le due principali leggi del potere (non per nulla sono da sempre all’inizio del capitolo) sia una conferma dell’evidente contiguità col mio pensiero!
Insomma non sto male interpretando Nietzsche come temevo…

Potrei chiudere questo pezzo già qui ma voglio anticipare alcuni degli elementi di un prossimo inevitabile articolo: dove sbaglia Nietzsche? Nelle precedenti opere lette riconoscevo nelle teorie del filosofo tedesco alcuni dei principi delle mie in una fase più abbozzata, meno evoluta, ma comunque riconoscibile. Se la mia Epitome fosse un albero allora vedevo nelle idee di Nietzsche dei pezzi del tronco o dei rami più grossi. In questa sua opera invece già vedo dei rami, ovvero delle conclusioni, che nella mia Epitome non ci sono: non perché io non vi abbia pensato ma semplicemente perché è Nietzsche che arriva a conclusioni errate.

I suoi errori mi sono evidenti e sicuramente ci tornerò con un pezzo a parte ma adesso voglio comunque evidenziare i principali.
Da quel che ho letto Nietzsche attribuisce questo suo concetto di “desiderio di potenza” ai singoli e ai popoli: gli manca tutta la mia teoria dei gruppi e dei poteri. In particolare è sbagliata, troppo semplicistica cioè, la sua idea di popolo come gruppo unico e omogeneo.
Il popolo è diviso fra parapoteri ([E] 4.1) e democratastenia ([E] 4.3): il governo, o quel che è l’entità che guida il “popolo” di Nietzsche, tende a fare gli interessi dei parapoteri e non della democratastenia. Con la guerra i parapoteri si arricchiscono col sangue della democratastenia che, anche se e quando ricava qualcosa dal proprio sacrificio, lo fa solo indirettamente, accontentandosi delle briciole che i parapoteri spazzano via dalla loro tavola imbandita.
E poi ci sarebbero delle obiezioni morali piuttosto evidenti che però rimando a un’altra occasione…
(di nuovo il problema di fondo è considerare il popolo come un’entità unica e non composta da molti gruppi con quindi esigenze diverse e diverse morali: in altre parole anche secondo la stessa logica di Nietzsche non può esistere una morale unica né una migliore delle altre.)

Conclusione: comunque anche Confucio non è male!

Nota (*1): tratto da L’anticristo di Nietzsche, (E.) Newton Compton, 1977, trad. Paolo Santoro, pag. 25.
Nota (*2): ibidem, pag. 32.

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