A volte penso di scrivere cazzate, a volte mi dicono che scrivo cazzate, a volte scrivo cazzate.
Ne sono consapevole eppure, sono convinto, più spesso ho delle intuizioni molto profonde.
Il mese scorso scrissi il pezzo Demonizzazione globale. Nella seconda parte di esso spiegavo, e chiarivo a me stesso, delle idee sui perché e i per come della “demonizzazione” di un avversario. Non avevo fonti, semplicemente erano mie riflessioni nate dall’osservazione della nostra quotidianità.
Osservazione che (come al solito) a me paiono intelligenti e credibili eppure, già il giorno dopo, mi resi conto che qualcosa non quadrava: mi ero accorto che l’uomo credeva troppo facilmente, acriticamente direi, al processo di demonizzazione che trasforma un individuo normale, con i suoi pregi e i suoi difetti, in una sorta di mostro.
Evidenziai questa mia perplessità nel pezzo Vena d’oro. Copio e incollo qui di seguito il paragrafo più saliente di quanto vi scrissi:
«Insomma, riassumendo, ho avuto la netta sensazione che l’uomo abbia la necessità filosofica di un avversario da odiare per sentirsi e illudersi di essere buono.»
La mia conclusione era che l’uomo necessitasse quasi fisicamente di un nemico, di un avversario, da identificare col male e, ipotizzavo, il motivo primo fosse quello di sentirsi, per contrasto, buono e giusto.
Citavo poi un passaggio di Freud, in verità piuttosto vago, che però mi sembrava riecheggiasse vagamente la mia teoria.
In effetti, quando poi nella versione Westernheim della mia Epitome ho inserito questo concetto ho anche aggiunto un paragrafo al sottocapitolo dei limiti psicologici dell’uomo che ho intitolato il “capro espiatorio”: questo a rimarcare la mia teoria sull’origine inconscia e illogica del bisogno di un nemico.
Ieri poi, verso la fine del 5° capitolo del saggio “Il disagio della società e altri saggi” di Freud, ho trovato un ulteriore conferma e spiegazione del fenomeno che avevo battezzato della demonizzazione.
Freud spiega che la società, per poter sopravvivere, costringe l'individuo a reprimere alcune delle sue pulsioni (*1), in primis quelle sessuali ma non solo…
La società si basa sulla convivenza pacifica e, per questo, l’individuo deve massimamente reprimere la propria aggressività. Alla base della teoria di Freud c’è l’osservazione che ogni pulsione che viene repressa per lunghi periodi deve trovare uno sfogo (sublimarsi, ridirigersi cioè, verso un altro obiettivo) altrimenti l’uomo svilupperà una nevrosi che potrà prendere varie forme.
La repressione dell’aggressività non fa eccezione: una società che costringe i suoi membri a convivere fra loro nella massima concordia fa sì che ci sia un forte bisogno di un bersaglio sul quale sfogare la propria rabbia.
Freud fa numerosi esempi: alla fratellanza dei cristiani si contrapponeva l’odio verso gli ebrei; la civiltà comunista dell’URSS perseguitava i borghesi; l’ideale di supremazia tedesco si appellava all’antisemitismo. Oppure, casi meno gravi ma comunque significativi: le rivalità fra spagnoli e portoghesi, fra inglesi e scozzesi, fra tedeschi del nord e quelli del sud…
È quindi ovvio che anche la demonizzazione dell’avversario risponde a questa logica: essa fornisce infatti uno sfogo psicologico all'aggressività forzatamente repressa.
Non credo che la teoria di Freud sia alternativa alla mia: piuttosto mi pare complementare, una ragione ulteriore che spiega il fenomeno della demonizzazione.
Conclusione: tutto questo per dire che anche quelle mie teorie, che perfino a me appaiono azzardate, spesso trovano però importanti riscontri e conferme illustri.
Nota (*1): l’individuo, in cambio della repressione delle sue pulsioni riceve dalla società protezione contro la natura e dagli altri individui e, inoltre, svariati altri benefici...
Se tutto è antisemitismo
23 minuti fa
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