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mercoledì 25 settembre 2019

Abitudine e necessità

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.2 "Westernheim").

Ricordate la mia discussione sulla censura? Intendo Confronto sulla censura e Le catene della Apple più, forse, un corto o due che non ricordo…

Beh, non ci sono stati più passi avanti e ho lasciato all'amico l’ultima parola: è che improvvisamente (*1) mi sono reso conto che, anche se non lo ammette esplicitamente, non considera la censura in quanto tale, come faccio io, ma ha invece sempre ben chiaro in mente verso chi essa viene applicata: essendo d’accordo, quando non felice, che certi individui o gruppi vengano colpiti, allora la giustifica.
Ma a me questo tipo di discussione, falsata perché basata su principi diversi e inconciliabili, non mi interessa:io giudico la causa, lui l'effetto. È inutile quindi che io dibatta della censura in se stessa quando lui pensa solo che chi viene colpito non la pensa come lui e, proprio per questo, la vede utile e giustificata. Forse cambierebbe qualcosa se FB censurasse un autore, magari un fotografo famoso, stimato dal mio amico (a sua volta artista): in questa maniera capirebbe che non si può giustificare la censura basandoci su chi ne viene colpito…

Comunque, quando ancora ero infervorato dal fuoco della libertà, scrissi anche alla mia amica esperta di legge: molto intelligente, preparata e, soprattutto, paziente con le mie “strane” richieste.
Stavolta però non mi ha dato direttamente particolari spunti utili: è sostanzialmente d’accordo con la posizione del mio amico secondo la quale FB, essendo privato, può fare quello che vuole. Inoltre rigetta la mia obiezione sulla funzione di pubblica utilità (o come avevo stabilito che si dicesse!) di tale rete sociale: lo considera solo un passatempo da usare con prudenza…

La mia risposta alla sua epistola però mi è stata utile: come spesso accade mi ha infatti permesso di mettere a fuoco un concetto importante che, in parte, avevo già intuito ma che non avevo ancora esplicitato.

In Il fascismo per Pasolini accenno a un concetto che poi riprendo e amplio nell’Epitome ([E] 11.3) e che sostanzialmente è il seguente: l’abitudine, il fare quotidiano, determina la morale anticipandola nella sua sostanza. L’uomo infatti deve sempre giustificare, almeno inconsciamente, il proprio comportamento: inevitabilmente quindi arriverà a definirsi una propria “morale” che lo spieghi e, anzi, lo renda degno se non lodevole. Se la maggioranza della popolazione adotta quindi nuovi usi o costumi allora, magari più lentamente, ma anche la morale popolare si adatterà a essi giustificandoli.
Ma chi aveva già scritto, prima di me, dell’abitudine sebbene io lo abbia scoperto solo da pochi giorni? Esatto: Sant’Agostino (v. Le catene della Apple).

Cito dalla mia risposta all’amica:
«...
per Sant'Agostino dalla debolezza della volontà deriva il vizio, dal vizio l'abitudine e dall'abitudine la necessità. È questo passaggio finale a mio avviso quello chiave perché è il meno metafisico e il più psicologico: dall'abitudine deriva la necessità.
Ciò che quindi è usato da tutti abitualmente diviene una necessità e come tale dovrebbe essere trattato. Magari ancora, come del resto tu mi confermi, non ve n'è la percezione conscia ma la tendenza è questa.
Del resto altrove io, ma anche Pasolini, diciamo che è l'abitudine a generare la morale (alla quale, con un ulteriore ritardo, si adegua la legge) anticipandola: per questo trovo forse normale che generi anche una necessità.
...»

In poche parole (mi dispiace farle perdere tempo) ho cercato di sintetizzare il mio ragionamento che ho più ampiamente esposto qui.
Che dall’abitudine derivi la necessità non è un concetto religioso ma una profonda intuizione psicologica: non per niente ho anche vaghi ricordi di aforismi in cui si scherza sul concetto estremo che un lusso, una volta conosciuto, diventi una necessità.

Ma se allora FB, usato da tutti e tutti abituati a esso, è una necessità, per giunta senza alternative ma anzi in una posizione di monopolio delle reti sociali, allora sarebbe giusto considerarlo come un bene essenziale. E questo comporterebbe, sfortunatamente per il privato che lo gestisce, anche importanti obblighi: primo fra tutti, visto che FB è un mezzo di comunicazione, la libertà d’espressione (e quindi di pensiero) di tutti i suoi utenti.

Ovviamente questa mia posizione è un po’ troppo avanti nel tempo: come mi ha dimostrato questa mia amica, ancora molte persone non considerano FB un bene essenziale. Non si rendono conto di quale sia la tendenza.
Sarebbe interessante a questo riguardo fare un sondaggio con le persone che hanno meno di trent’anni con la domanda “Ritenete FB essenziale? Potreste cioè fare a meno di esso?”.
È un po’ come la rete Internet: oramai è, giustamente, considerata un bene essenziale.

Insomma dovremmo aspettare ancora una ventina d’anni, che FB combini cioè qualcosa di veramente grave e che susciti sdegno, prima di intervenire con una regolamentazione adeguata a queste nuove esigenze. Sempre però che allora si abbia ancora la libertà e il potere di fare qualcosa al riguardo…

Conclusione: ecco quindi un nuovo importante concetto: l’abitudine determina la morale e la necessità.

Nota (*1): In verità ricordo anche il momento esatto in cui mi sono reso conto di questo problema di fondo. Gli avevo segnalato un articolo in cui si spiegava di come anche la pagina del nuovo partito di Diego Fusaro fossa stata censurata e lui la ripubblicò accompagnandola con un commento del tipo “Finalmente!” o roba del genere.

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