Più o meno dal 2000 (non ricordo esattamente quando) fino alle elezioni del 2013 non avevo più votato. Mi ero reso conto che destra e sinistra erano, a parte le chiacchiere, sostanzialmente equivalenti (v. Douche & Turde): impegnati più ad accumulare potere che a cercare di fare il bene della popolazione.
A fine 2012 scoprii il M5S e per qualche tempo, diciamo un anno e mezzo circa, come è ben documentato in questo viario, ebbi una minima speranza per il futuro: ma non è di questo che voglio scrivere oggi.
Torniamo invece al periodo del mio astenzionismo: ricordo che non era facile spiegare la mia posizione e rispondere all'obiezione più comune, come mi muoveva mio padre, “eh, ma se non voti XXX allora fai vincere YYY e YYY è molto peggio di XXX!”.
Io cercavo di spiegare che, ammesso pure che YYY fosse peggio di XXX, io non trovavo giusto votare per un partito che non mi piacesse. Era una posizione difficile da sostenere perché andava contro l'esperienza comune dove la decisione più ovvia è proprio quella di optare per il male minore. Ad esempio, fra pagare una tassa da 1000€ o una multa da 3000€ è logico scegliere la prima possibilità no?
Con mia grande soddisfazione e orgoglio, alle elezione politiche del 2008 (o 2009? non ricordo...), convinsi mio zio ad astenersi, lui che non aveva mancato un'elezione da più di 50 anni!
Ma mio zio (v. Ricordo zio Gip) per certi versi mi assomigliava: nonostante l'età manteneva una freschezza ed elasticità mentale da fare invidia a molti giovani: lui era infatti capace di capire il senso più profondo delle mie parole e di accettare e far sua la mia logica anche se, all'epoca, non ero in grado di giustificare pienamente la mia posizione.
Arriviamo poi al corso di morale della giustizia (v. corso morale/giustizia e No, I Kant) che ha avuto il grandissimo merito di avermi fatto comprendere la posizione di diversi filosofi su varie questioni etiche.
Grazie a tale corso ho iniziato a scrivere che il non votare per un partito che non ci piace è una variante dell'imperativo categorico kantiano. Imperativo che io traduco con un “bisogna fare ciò che è giusto indipendentemente dalle conseguenze”: votare quindi un partito che non riteniamo all'altezza di governare (scelta non giusta) per non farne vincere un altro (conseguenza) è moralmente sbagliato.
Solo che, quando parlo a mio padre (e ad altri) dell'imperativo categorico, egli storce il naso e, soprattutto, chiude le orecchie: non mi ascolta cioè e, anche se sul momento riesco magari a estorcergli l'ammissione che ho ragione io, in verità non lo pensa veramente e, per questo, non agisce poi coerentemente con le proprie parole.
In effetti la sua posizione è comprensibile: chi non conosce tale filosofia e pensa con la propria testa perché dovrebbe accettare come veritiera la definizione di imperativo categorico su cui poi io poggio la mia argomentazione a favore dell'astensione? Alla fine potrebbe solo sembrare “aria fritta”, cioè discorsi campati in aria e irreali...
Dopotutto spiegare a qualcuno che non conosca Kant che “Kant dice così” non è una giustificazione ma un dogma: e per accettare in silenzio un dogma si deve avere fede, in questo caso nell'intelligenza e nella filosofia morale di Kant!
Però, pochi giorni fa, ho pensato a un bella analogia che fa comprendere bene la mia morale dell'astensione.
Sono partito dall'idea che votare un partito corrisponde ad aiutarlo nello svolgere poi la sua attività politica dandogli una frazione di potere in più; non votare corrisponde invece a non aiutare nessuno.
Ecco allora il mio esempio: supponiamo che si abbia la possibilità di aiutare a nostra scelta un assassino, un maniaco, un pedofilo o un borseggiatore; in questo caso mi pare evidente che anche aiutare il meno peggio, cioè il borseggiatore, non sia giusto: se le mie opzioni sono queste, tutte negative cioè, allora io preferisco non aiutare nessuno. Analogamente se nessun partito ci convince perché siamo sicuri che non farà il bene del paese allora è moralmente corretto non votarne nessuno, neppure quello ritenuto “meno peggio” degli altri.
Mi si potrebbe obiettare che la scelta giusta da fare, piuttosto che non aiutare nessuno, dovrebbe essere quella di bloccare l'omicida (o il maniaco o il pedofilo). Verissimo, solo che nel mio esempio tale possibilità non è prevista: dopotutto lo scopo di questa analogia è solo quello di far capire perché sia sbagliato scegliere il “meno peggio” e non ha senso estenderla oltre il suo ambito di significato: aiutare il borseggiatore non eviterebbe infatti gli omicidi e gli stupri compiuti dagli altri mentre votare il partito “meno peggio” potrebbe togliere un po' di forza a quelli ritenuti peggiori. Ma non è questo il punto della questione né dell'esempio!
Conclusione: ecco spiegati quindi i miei dubbi per le prossime elezioni e la mia titubanza a votare Lega o M5S: ho paura di aiutare dei borseggiatori!
L'esempio di Benjamin Franklin
23 minuti fa
Nessun commento:
Posta un commento