Premessa: altro pezzo (v. Trauma informatico) che avevo scritto qualche giorno fa, quando ero senza ADSL, e che solo oggi ho completato e pubblico retrodatandolo (a ieri per dargli un minimo di visibilità anche se credo di averlo scritto il 5)...
In una delle ultime lezioni del corso di filosofia della morale e giustizia (v. il corso Filosofia della morale e giustizia di Harvard) il professor Sandel introdusse un interessante e dibattuto problema che, almeno negli USA, è fortemente sentito: la responsabilità morale collettiva.
In particolare negli USA ci sono delle leggi a favore di alcune minoranze, considerate ad esempio vittime dello schiavismo di oltre cento anni fa, che si basano proprio su questo principio morale: il professore riportava l'esempio dell'accesso all'università (negli USA molto costosa) dove, nel calcolare il punteggio per il merito (*1), alle minoranze viene concesso un “piccolo” (*2) bonus. Questa pratica, apparentemente corretta, ha però un rovescio della medaglia e il professore presentò il caso reale di una ragazza bianca che, proprio a causa di questo bonus, veniva sorpassata nella classifica da ragazzi appartenenti a minoranze e lei, non avendo una famiglia facoltosa, perdeva così la possibilità di accedere all'università o, comunque, rimaneva personalmente danneggiata. Il professore faceva notare che alla specifica ragazza non poteva essere imputata nessuna colpa e che lei subiva un torto e, quindi, invitava a riflettere sulla giustizia della specifica legge.
Come ebbi modo a suo tempo di osservare nelle ultime lezioni, quelle sui casi più attuali e quindi “spinosi”, il professore lasciava la questione in “sospeso”, senza ciò arrivare a concludere cosa fosse sbagliato o giusto ma limitandosi a presentare i vari aspetti del problema lasciando così liberi gli studenti di riflettere e darsi le proprie risposte.
Stanotte (non so perché!) ci ho riflettuto e credo di aver compreso meglio questa questione morale individuando dei principi da seguire, in mancanza dei quali, anche le leggi ben intenzionate finiscono per comportare delle ingiustizie.
Aggiungo che si tratta di un'evoluzione del mio pensiero: in passato tagliavo nettamente la testa al toro negando completamente il concetto di responsabilità collettiva ereditaria soprattutto se riferite a colpe o ingiustizie avvenute in un passato lontano di molti decenni se non secoli (v. ad esempio Colpa degli eruli o Preferisco MacGyver).
Partirò quindi dall'enunciazione di questi principi per poi analizzarne le conseguenze, capire gli errori delle leggi che non li seguono e suggerirne invece di più corrette.
1. Le colpe non si trasmettono per via ereditaria.
2. I diritti al risarcimento per torti subiti non si trasmettono per via ereditaria.
3. È un dovere della società attuale correggere le storture nel presente causate da ingiustizie del passato compiute dalla società del tempo.
Il primo punto mi pare ovvio anche se l'esempio della legge citato dal professor finiva per violare tale principio punendo una ragazza che personalmente non aveva colpe.
Molto più sottile è il punto due che, eppure, è moralmente legittimato dalla sua simmetria col primo principio enunciato.
La legge americana cercava, giustamente, di applicare il punto tre ma lo faceva nella maniera sbagliata violando il primo principio e non considerando, come vedremo, il secondo.
La conseguenza di questi tre punti è che l'ingiustizia, generata da un torto iniziale, si propaga nella società e nel tempo. Questo non significa che sia però un tratto genetico: l'ingiustizia si trasmette sì nella società ma non automaticamente dal padre ai figli.
È solo una errata semplificazione umana considerare una minoranza come un blocco omogeneo con particolari diritti.
Vediamo di riconsiderare l'intera situazione alla luce di quanto scritto.
Lo schiavismo fu un'ingiustizia compiuta dall'intera società americana del XIX secolo e precedenti.
È ragionevole pensare che la povertà delle minoranze americane di colore sia causata, sebbene indirettamente tramite una catena di povertà e razzismo, proprio dall'originale ingiustizia dello schiavismo.
In altre parole significa che il terzo principio è applicabile ed è quindi un dovere dell'attuale società americana risolvere o almeno cercare di mitigare l'ineguaglianza odierna.
Attenzione però! Il secondo principio ci dice che non si devono aiutare le minoranze in quanto tali ma coloro che ancora subiscono le conseguenze, anche indirette, dell'ingiustizia originaria.
Non è la stessa cosa! I giovani appartenenti sì a minoranze ma di famiglia ricca, o comunque di tenore superiore alla media delle famiglie americane (*3), non devono avere particolari benefici: è una conseguenza del secondo principio. Analogamente anche il giovane appartenente a una minoranza ma figlio di genitori immigrati negli USA negli anni '80, anche se di famiglia povera, non ha diritto a particolari agevolazioni (*4) perché, considerato il terzo principio, la sua condizione di povertà non deriva dallo schiavismo (*5).
È quindi giusto che la legge americana favorisca l'accesso all'università dei giovani “poveri” (per semplificare) appartenenti alle minoranze vittime (nel passato) dello schiavismo ma non lo deve fare, per il primo principio, a scapito di singoli come invece accadeva nell'esempio proposto dal professor Sandel.
Una soluzione potrebbe essere quella di fornire uno specifico bonus economico a tali famiglie: in questo caso infatti tale vantaggio sarebbe pagato dall'intera società (giusto per il terzo principio) e non da singoli (ingiusto per il primo principio).
Bisogna inoltre considerare che comunque l'importanza dell'ingiustizia originaria sul tenore di vita degli appartenenti a minoranze diminuisce nel tempo in quanto altri fattori indipendenti si affiancano a essa: ad esempio la recente crisi economica per non parlare delle singole scelte individuali.
Il problema sarebbe forse stabilire l'entità di questo compenso economico: una base di partenza potrebbe essere la differenza fra la ricchezza media di una famiglia americana e la media delle famiglie di minoranze. Tale differenza andrebbe poi moltiplicata per un coefficiente (minore di 1) per considerare il trascorrere del tempo: idealmente dovrebbe arrivare a zero nell'arco di 50-100 anni.
Si potrebbe obiettare che non è possibile dare una quantificazione economica ai torti subiti da uno schiavo. Verissimo ma qui subentra il secondo principio: lo scopo della legge non sarebbe quello di compensare il torto della schiavitù (perché tale diritto alla compensazione non si trasmette di generazione in generazione) ma, per il terzo principio, riparare all'attuale ingiustizia provocata da essa; ingiustizia che, attualmente, si riduce sostanzialmente a uno squilibrio economico. Ecco perché il bonus economico avrebbe senso.
Conclusione: in realtà la questione sarebbe ancora più complessa: me ne rendo conto ma ho preferito non appesantire questo pezzo con vari distinguo e precisazioni e ho cercato invece di concentrarmi sull'essenziale. Magari in futuro, forse sull'Epitome, potrei approfondire l'argomento...
Nota (*1): forse per ottenere borse di studio o iscrizioni gratuite: non conosco i dettagli...
Nota (*2): fra virgolette solo perché in realtà non ho idea dell'entità e forma del bonus.
Nota (*3): per la precisione neanche gli appartenenti a famiglie povere ma che in passato avessero goduto di ricchezza superiore alla media: questo perché la loro attuale povertà non sarebbe più dipesa dall'ingiustizia dello schiavismo ma da altri fattori. Ovviamente fermo restando quanto specificato nella nota (*4), ovvero che tutti i poveri, in quanto tali, dovrebbero avere diritto ad agevolazioni.
Nota (*4): se non, ovviamente, alle agevolazioni che dovrebbero essere concesse a tutti i poveri.
Nota (*5): si potrebbe obiettare che lo schiavismo ha danneggiato anche coloro che sono rimasti in Africa e i loro discendenti: a mio avviso però tale relazione è troppo incerta e opinabile. Troppi altri elementi sono intervenuti (per esempio il colonialismo europeo) per attribuire la responsabilità all'attuale società americana.
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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