Finalmente mi sono ricordato delle Operette Morali!
Come per la precedente puntata (v. OM 5) mi ero completamente scordato di questa serie!
Il problema sarà ricordarsi il significato delle mie note e cosa mi aveva colpito dei diversi passaggi: vabbè, proviamo a ripartire e ad affrontare un problema alla volta...
La prima nota è facile: è un'osservazione che ho trovato divertente: «...gli scritti più vicini alla perfezione, hanno questa proprietà, che ordinariamente alla seconda lettura piacciano più che alla prima.»
Cosa vi ho trovato di buffo? Beh, per capirlo i miei lettori dovrebbero rileggersi una seconda volta tutti i miei pezzi!
Siamo ancora nel capitolo dove il Leopardi spiega le difficoltà che un autore incontra per raggiungere la fama. In particolare afferma che, non solo alcuni scritti meritevoli vengono dimenticati, ma che, al contrario, alcuni molto rinomati sono sopravvalutati: «Similmente dico, che chiunque leggesse accuratamente o la Gerusalemme o il Furioso, ignorando in tutto o in parte la loro celebrità; proverebbe nella lettura molto minor diletto che gli altri non fanno.»
Ovviamente all'epoca del Leopardi i Promessi sposi del Manzoni non erano ancora entrati nel “mito”. Rileggendo OM 5 mi accorgo che la lingua continua a battermi dove il dente duole!
Poi c'è un'interessante considerazione sulle “verità nuove” e come queste riescano a imporsi. Per certi versi vi vedo un parallelismo e complementarità col mio “classico” pezzo Epoca (e volendo Corollario all'epoca).
L'idea del Leopardi è che nessuna idea veramente rivoluzionaria, ovvero in anticipo sui tempi, ha qualche possibilità di affermarsi: non solo la gente comune non la capirà ma non lo faranno nemmeno i “saggi”. Solo col passare del tempo (se l'opera non è completamente dimenticata prima!) gli uomini inizieranno ad apprezzarla e, principalmente, solo per abitudine a essa: «[La novità sarà apprezzata]... ma solo in corso di tempo, mediante la consuetudine e l'esempio: assuefacendosi gli uomini al credere come ad ogni altra cosa; anzi credendo generalmente per assuefazione, non per certezza di prove concepita nell'animo: tanto che in fine essa verità, cominciata a insegnare ai fanciulli, fu accettata comunemente, ricordata con maraviglia l'ignoranza della medesima, e derise le sentenze diverse o negli antenati o nei presenti.»
Vero temo: tristemente vero. Lo sanno bene i nostri politici del PD±L che una bugia, ripetuta abbastanza a lungo, diventa una verità...
Sullo stesso tema rincara la dose aggiungendo: «Né anche gl'intelletti acuti ed esercitati, sentono facilmente tutta l'efficacia delle ragioni che dimostrano simili verità inaudite...»
Anche su questo aspetto concordo e ne sono da tempo consapevole come comunque avevo già spiegato in OM 5
Il Leopardi fa poi una divertente metafora sul genio che procede verso il nuovo camminando rapidamente, e talvolta correndo, mentre il resto dell'umanità procede indifferente col proprio lento passo: «...laddove gli spiriti sommi e singolari, che si danno alla speculazione di quest'universo sensibile all'uomo o intelligibile, ed al rintracciamento del vero, camminano, anzi talora corrono, velocemente, e quasi senza misura alcuna. E non per questo è possibile che il mondo, in vederli procedere così spediti, affretti il cammino tanto, che giunga con loro o poco più tardi di loro, colà dove essi per ultimo si rimangono. Anzi non esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o a quel termine, se non solamente in ispazio di uno o di più secoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.»
A occhio questo viario sarà pienamente apprezzato solo fra due o tre secoli... (*1)
Quando iniziai a scrivere questa serie di pezzi già pregustavo di scrivere un interessantissimo commento ad alcune considerazioni di Leopardi su Socrate. Finalmente sono arrivato a questo fatidico punto ma, fatalmente, proprio come temevo nella mia premessa, non ricordo più che cosa vi avessi trovato di tanto stimolante...
Intanto ricopio il passaggio “incriminato”: «Socrate nato con animo assai gentile, e però con disposizione grandissima ad amare; ma sciagurato oltremodo nella forma del corpo; verosimilmente fino nella giovinezza disperò di potere essere amato con altro amore che quello dell'amicizia, poco atto a soddisfare un cuore delicato e fervido, che spesso senta verso gli altri un affetto molto più dolce».
Beh, rileggendo questo brano viene spontaneo chiedersi quanto il Leopardi attribuisca di sé stesso a Socrate. Che delusione: in pratica ho scritto sei pezzi per arrivare a questo punto e adesso sono rimasto con un pugno di mosche!
Sempre in questo lungo capitolo c'è una riflessione pessimistica sulla costante decadenza del genere umano attraverso le ere e per questo: «... per questa via, come per altre mille, si può conoscere che oggidì l'uso, il maneggio, e la potestà delle cose, stanno quasi totalmente nelle mani della mediocrità.»
Mi diverte pensare quanto il Leopardi avrebbe apprezzato la teoria secondo la quale l'intelligenza media sta calando: vedi Idiocracy...
Concludo il pezzo odierno con una bellissimo quanto criptico paragrafo che non voglio commentare ma che spero possa servire da stimolo per la lettura delle Operette morali: «Laonde, in quanto ai costumi, parlando della vecchiezza a comparazione delle altre età, si può dire che ella fosse nei primi tempi, come al buono il migliore; nei corrotti, come al cattivo il pessimo; nei seguenti e peggiori, al contrario.»
Mi piace perché riassume in poche righe gran parte del capitolo: immagino che se io l'avessi scritto a scuola la professoressa me l'avrebbe riempito di freghi blu spiegando che non si capisce niente!
Io credo che il Leopardi si sia volutamente espresso in questa forma contorta, un po' per virtuosismo stilistico, ma soprattutto divertendosi a sfidare i lettori a interpretare la sua “equazione”...
Nota (*1): è una battuta: se non le avessi bandite ci avrei messo una faccina per rimarcare l'intento ironico...
L'esempio di Benjamin Franklin
8 ore fa
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