Riparto oggi a scrivere il mio quarto pezzo sulle Operette morali del Leopardi.
L'ultima volta, raggiunte le due pagine di lunghezza, avevo immediatamente troncato il pezzo ma, ancora nello stesso capitolo che stavo affrontando, c'era uno spunto molto interessante.
Nel dialogo fra la Natura e l'Anima, la prima spiega alla seconda che la “grandezza” non garantisce automaticamente nessun successo. In particolare, secondo la Natura/Leopardi, è necessaria anche una buona dose di fortuna: «[Avrai successo] eccetto se dalla malignità della fortuna, o dalla soprabbondanza [altrove spiega che provocano invidia e quindi odio] medesima delle tue facoltà, non sarai stata perpetuamente impedita di mostrare agli uomini alcun proporzionato segno del tuo valore: di che non sono mancati per verità molti esempi, noti a me sola ed al fato.»
Al riguardo rimando al mio vecchio pezzo 4 aneddoti e una domanda nel quale evidenzio il ruolo non marginale della fortuna nella vita (*1).
Per la cronaca la conclusione del dialogo è che l'Anima implora la Natura di renderla stupida e dalla vita breve! È buffo come a scuola sorvolassero sull'ironia del Leopardi. Il problema è che il senso dell'umorismo, almeno in Italia, è quasi sempre sottovalutato se non, addirittura, considerato un elemento di disturbo. E poi, per capire l'umorismo, ci vuole una sensibilità particolare che non è raggiungibile con il semplice studio dei testi. L'umorismo entra in risonanza con l'umorismo: per capirlo bisogna averlo, non lo si può spiegare. Nella fattispecie il Leopardi è divertito da questa apparente contraddizione della vita.
Un altro chiodo fisso del Leopardi, oltre ai capricci della fortuna, è l'invidia degli uomini. Il grande uomo raramente è riconosciuto dai contemporanei ma, paradossalmente, quei pochi che sono in grado di apprezzarne la grandezza, per invidia, cercano di ostacolarlo per quanto loro possibile.
L'autore si riferisce agli scrittori che aspirano alla gloria e, quindi, probabilmente a se stesso: non escludo però che il Leopardi suscitasse queste reazioni perché nei rapporti umani (*3), forse troppo conscio della propria abilità, fosse sprezzante...
Comunque un qualcosa di vero c'è: non è facile riconoscere o ammettere la grandezza degli altri, soprattutto di persone che conosciamo bene piuttosto che di quelle distanti (*4). Credo che il motivo sia inconscio: sublimando chi ci sta vicino, e con il quale ci confrontiamo quotidianamente o quasi, automaticamente diminuiamo troppo noi stessi e questo al nostro ego raramente va giù...
Da parte mia, conscio di questo riflesso istintivo, mi sforzo di vedere il meglio nelle capacità altrui: sarebbe interessante fare un elenco (*5) di “grandi” (o, meglio, provvisti di grandi doti) ai quali ho fatto privatamente o pubblicamente i miei complimenti...
In generale comunque cerco di incoraggiare i miei interlocutori: so che non avranno difficoltà a trovare decine di persone sprezzanti ma ben pochi riconosceranno e loderanno le loro qualità.
In un altro racconto mi sono imbattuto in una parola che non conosco e che non mi è riuscito trovare su internet: il “cerigone”. Sicuramente è un animale ma non riesco a intuire quale...
La frase da cui proviene è: «...perdonando agli sciaguari, alle scimmie, a' formichieri, a' cerigoni, alle aquile, a' pappagalli, e a cento altre qualità di animali terrestri e volatili...».
Qualche ipotesi?
Non so quanto possa essere interessante per il lettore ma, come ho scritto altre volte, le coincidenze non mancano mai di stupirmi. La coincidenza in cui mi sono imbattuto stavolta riguarda l'efemera: un simpatico insettino che, come dice l'etimologia del suo nome, vive un giorno solo.
Per quarant'anni non l'ho mai preso in considerazione poi me lo sono ritrovato in Teen Wolf (*2), l'ho inserito in Anki, ne ho parlato a proposito ad amici, l'ho ritrovato in una epistola di una conoscente e infine nel Leopardi: «...insetti chiamati efimeri, dei quali si dice che i più vecchi non passano l'età di un giorno...»
L'amore, almeno nelle Operette morali, non trova grande spazio. Nel divertito pessimismo del Leopardi l'amore non è il rimedio ai dolori della vita. Al massimo è un inganno che temporaneamente ottunde i sensi degli uomini.
Di conseguenza anche la donna non è per niente idealizzata. Di seguito un paio di paragrafi che, per quanto estratti dal loro contesto, lasciano intuire la visione dell'autore: «Certo che quando mi era presente ella mi pareva una donna; lontana, mi pareva e mi pare una dea.» o anche «Io non so vedere che colpa [le donne] s'abbiano in questo, d'esser fatte di carne e sangue, piuttosto che di ambrosia e nettare.»
Incidentalmente, dal dialogo fra l'Islandese e la Natura, si evince che il Leopardi vede la vanità della vita come intrinseca alla natura stessa: anche l'esistenza degli animali, la loro continua lotta per la sopravvivenza, è vana. Ovviamente lo scrive con umorismo: l'Islandese viene divorato da due leoni affamati e macilenti che, grazie a lui, «...si tennero in vita per quel giorno.»
Conclusione: altra puntata amorfa. Mi chiedo se sia meglio cambiare stile: concentrarmi su un unico spunto interessante e approfondirlo per bene piuttosto che fare “raccolte di idee” come questa...
Nota (*1): Non per mettermi in competizione con Leopardi ma io c'ero arrivato prima anche se l'ho scritto dopo!
Nota (*2): In realtà in Teen Wolf il protagonista si imbatte nell'aggettivo “effimero”; io sospettavo fosse un errore di doppiaggio ma non era così... Però queste ricerche mi portarono alla scoperta dell'efemera...
Nota (*3): Vedi parte finale della precedente puntata OM 3...
Nota (*4): Vedi anche il detto biblico nemo propheta in patria sua...
Nota (*5): Un compagno di classe delle medie per la sua empatia e spirito (l'ho perso di vista ma le ultime che ho saputo di lui lo davano come DJ radiofonico), un amico “playboy” per la facilità con cui è in grado di interpretare le donne, il Dr. Harari (ha scritto un'opera storica fondamentale), l'autore satirico del sito Fed-Ex, e sicuramente molti altri che adesso mi sfuggono...
mercoledì 19 febbraio 2014
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