Quando abitavo a Leiden, in Olanda, decisi di visitarne tutti i musei. Capitai così anche al Rijksmuseum Volkenkunde (*1), ovvero in un museo di etnologia.
In realtà non ricordo molto di quell'esperienza: il museo era vasto e con pochissimi visitatori e, all'epoca, non ero nemmeno interessato alla materia!
Anche se la mia visita fu frettolosa e superficiale qualcosa colpì comunque la mia curiosità: si trattò del reparto africano con i suoi cimeli provenienti dalla zona del golfo di Guinea.
Di nuovo non saprei descrivere nessun oggetto particolare ma la sensazione complessiva che ne ricavai fu quella di una cultura autonoma rispetto a quella europea, con una propria arte e artigianato ricchi e interessanti. Nella mia ignoranza non sapevo che alla fine del medioevo in Africa esistessero degli stati autonomi, magari tecnologicamente non al passo con gli stati europei, ma dotati di un proprio spirito, di una propria storia, di una propria tradizione. Difficile spiegarlo a parole ma vedendo tutti i piccoli oggetti del museo ne avvertivo chiara la presenza.
Premetto che non sono mai stato in Africa, tantomeno ho visitato quella centrale, ma quando provo a immaginarmela penso sempre a baracche, gippone con paramilitari armati fino ai denti, sabbia, caldo e povertà. Pochi ricchi e un'infinità di poveri. Una copia del nostro mondo occidentale ma molto, molto più povera. In particolare, e probabilmente sbaglio, non riesco a immaginarmi una cultura autonoma ma, anche in questo caso immagino solo una brutta copia, più povera e forse più superficiale, di quella occidentale.
Ecco, guardando la ricercatezza e ricchezza di alcuni monili o anche oggetti di uso quotidiano, ebbi la sensazione che molto fosse andato perso in questi ultimi cinque secoli. Che la cosiddetta “civiltà occidentale” non avesse portato dei significativi miglioramenti nello stile di vita di queste popolazioni ma che, al contrario, li avesse privati di qualcosa sostituendosi alla cultura locale.
In altre parole, i vari reperti mi dettero l'idea di un mondo in equilibrio, con diverse classi sociali non composte esclusivamente di ricchissimi o poverissimi; l'opposto del mondo attuale, tutto squilibrato (vedi l'emigrazione) che, nel tentativo di inseguire gli ideali (cultura) occidentali, ha perso se stesso e non trova la propria centratura.
So di essere stato vago ma non volevo limitarmi a dire che adesso in Africa si vive peggio di cinquecento anni fa: era una sensazione più complessa, una valutazione più articolata.
Comunque, qualche giorno dopo, ebbi modo di parlarne con un amico olandese laureato in storia che però smorzò il mio entusiasmo liquidando con poche parole la mia intuizione giudicandola assurda e infondata.
C'è da dire che forse io avevo semplificato troppo il mio punto di vista e che, parlando fra noi, c'era il problema della lingua...
Adesso però, a distanza di molti anni, ho ritrovato in una lezione del professore Harari (v. Il trisononno di neanderthal) delle considerazione estremamente simili alle mie intuizioni.
Harari, parlando del capitalismo, accenna al fatto che la divisione dei profitti nel corso della storia raramente è stata equa e, anzi, i lavoratori africani adesso sono più poveri di cinquecento anni fa.
Nelle parole di Harari, direttamente dai sottotitoli della sua lezione: «But the profits were distributed in such an uneven way that many African peasants and Indonesian and Chinese laborers return even today home after a very hard work in the factory or the field with less food and less money than their ancestors 500 years ago.»
E questo considerando la vita delle persone solo su una bilancia materiale al netto della cultura (non intesa come conoscenze scientifiche ma come tradizioni) e della felicità...
Conclusione: non saprei che dire. Da una parte mi pare inutile congratularmi con me stesso, dall'altra, scrivere “visitate i musei, anche quelli che non vi interessano, perché imparerete comunque qualcosa” mi sembra eccessivamente ottimistico. Mi rimane solo da fare un'esortazione a pensare con la propria testa, a osservare attentamente e a saper ascoltare le proprie intuizioni...
Nota (*1): che, a orecchio, tradurrei con “Museo del Regno di Arte Popolare”
domenica 23 febbraio 2014
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento