Non dovrei scrivere a tarda ora come sto facendo proprio adesso. L'umore è cupo e divago più del solito. Però sono stato fuori e sono rientrato solo da pochi minuti a casa.
Mentre ero in macchina i miei pensieri divagavano ma mi è rimasta impressa una catena di ricordi che mi pare interessante perché molto indicativa di aspetti nascosti del mio carattere.
Provo ha ricostruirla...
Pensavo alla serie Big Bang Theory: da quando ne accennai a inizio luglio nel corto Gran botto sono diventato un super appassionato.
Confermo che il mio personaggio preferito è Sheldon: un ragazzo tanto geniale in ogni campo della scienza quanto inetto nei rapporti umani. Non so cosa ne pensi il pubblico (credo che comunque sia fra i personaggi più amati) ma mi piace perché un po' mi rivedo in lui.
Mentre guidavo, ho ripensato a vari episodi ridacchiando per le battute che rivedevo con l'occhio della memoria.
Il personaggio di Sheldon rispetta tutti gli stereotipi del genio un po' matto compresa l'infanzia difficile: in una puntata viene infatti accennato di sfuggita che gli altri bambini picchiavano, o comunque tiranneggiavano, il piccolo Sheldon quando questi andava alle elementari in Texas...
Ecco, ed è qui che ho notato una sostanziale differenza fra il piccolo KGB e il piccolo Sheldon. Né da bambino né al liceo, nonostante la mia stranezza, sono mai stato importunato dai miei coetanei.
Ci ho riflettuto e credo che non sia stato un caso e che, anzi, abbia a che fare con la frattura della mia percezione di me (v. il precedente pezzo Conosci te stesso).
Partiamo dai fatti: alle elementari, nonostante fossi il secondo bambino più basso della mia classe, ero di gran lunga il più forte (v. KGB le Origini: prudente e forzuto). Sicuramente nessuno si azzardava a farmi dispetti e, anzi, avendo l'animo del cavaliere, se vedevo qualche bambino subire un torto correvo ad aiutarlo.
Dalle medie in poi la situazione diventa più interessante.
In prima media decisi che ero troppo grande per fare “la lotta”: non entro nei dettagli ma decisi che, essendo cresciuti, si rischiava di farsi male.
Inoltre in seconda media cambiai scuola: da una parte i miei nuovi compagni di classe non conoscevano la mia forza dall'altra, per vari motivi (v., ad esempio, KGB le Origini: risa distratte), mi chiusi sempre più in me stesso. In teoria stavo diventando un bersaglio facile.
Ma anche allora non successe niente. La mia classe era particolarmente piena di bravi ragazzi e io, per qualche motivo che mi sfugge, pur senza amici ero piuttosto ben voluto.
Ricordo che solo in terza un ripetente si azzardò a fare il prepotente con me ma, prima che potessi pensare cosa fare, intervennero quattro o cinque compagni di classe a “proteggermi” dicendogli di lasciarmi in pace: peccato!
Al liceo, in teoria, la situazione sarebbe dovuta nuovamente peggiorare: infatti in quel periodo mangiavo pochissimo ed ero letteralmente pelle e ossa, contemporaneamente alcuni ragazzi praticavano sport e iniziavano ad avere lo sviluppo fisico che porta alla piena maturità.
Probabilmente non ero più il più forte della classe ma ancora una volta, mi chiedo se fosse un caso, ero sempre particolarmente (e stranamente direi) ben voluto dai miei compagni.
I ragazzi delle altre classi però non mi conoscevano e a volte, in effetti, mi capitò di essere provocato.
La situazione tipica era la seguente: io ero da solo e l'“altro” in un piccolo gruppetto di quattro-cinque persone con, magari, un paio di ragazzine. Lo smargiasso, probabilmente per farsi bello, mi lanciava qualche provocazione. Probabilmente altri ragazzini, all'apparenza deboli e minuti come me, avrebbero cercato di allontanarsi a tutta velocità con la coda fra le gambe.
Io invece gli attacchi verbali non sapevo come gestirli: sapevo che mi prendevano in giro o che cercavano di offendermi ma non sapevo come replicare; immagino che il più delle volte semplicemente mi fermassi e, con aria perplessa, chiedessi “Come? Cosa?”. A quel punto lo smargiasso, rilanciava, magari faceva un passo verso di me e aggiungeva qualche insulto. Io rimanevo indifferente e lo guardavo senza replicare, forse con l'aria confusa ma sicuramente non impaurita. In effetti, sebbene non sapessi cosa rispondere alle varie provocazioni, ero certo che non avrei tollerato un contatto fisico: se fossi stato aggredito fisicamente avrei reagito con la massima violenza. L'idea non mi impauriva anzi mi allettava. Guarda caso gli smargiassi non si azzardarono mai a toccarmi: evidentemente fiutavano che ero pericoloso e si accontentavano della loro vittoria verbale...
Comunque anche questi episodi furono estremamente rari né mai mi turbarono minimamente: non ricordo di essere mai stato in ansia per la paura di essere infastidito da qualche compagno di scuola...
Il lettore malizioso potrebbe argomentare che questa è la mia visione della realtà: che gli smargiassi non “fiutavano” un bel niente e che mi lasciavano in pace solo perché si erano divertiti abbastanza con me...
Ebbene ho la riprova, sebbene indiretta, che la mia percezione della situazione fosse corretta.
Come ho detto andavo in difficoltà quando ero io a essere direttamente attaccato: non sapevo come comportarmi ed ero incerto su quando una mia reazione violenta sarebbe stata giustificata; si creava una situazione di stallo che veniva disinnescata dallo stesso smargiasso che mi congedava con “un vai pure” o simili...
Ben diversa era però la situazione se non ero io la “vittima”: in quel caso la mia tolleranza verso la prepotenza altrui era molto più bassa e, paradossalmente, ero molto più pronto ad agire di quando ero io quello provocato.
Un esempio che ricordo con particolare diletto. L'aneddoto si svolge in Inghilterra ma l'età era più o meno questa...
Quel particolare anno c'erano tre ragazzini (italiani) che facevano i prepotenti e anch'io, alla mia strana maniera, avevo già avuto dei confronti inconcludenti con loro...
Un giorno, mentre eravamo in coda alla mensa, arriva il ragazzo più alto del terribile trio e si mette a dar noia a un ragazzino tedesco davanti a me. A un certo punto gli prende il braccio e glielo torce: a quel punto intervengo io: afferro l'italiano per la collottola e lo tiro verso di me per abbassare la sua testa al mio livello (era molto più alto di me). Quando siamo faccia a faccia (tipo i calciatori che si mettono fronte contro fronte col petto in fuori!) gli ringhio a voce bassa “lascialo in pace.” Non ricordo cosa mi risponde l'italiano ma ricordo chiaramente la sua pupilla che diventa enorme: all'epoca non lo sapevo ma è un segno di paura. A quel punto arriva anche il cuoco inglese che ci dice di separarci ma io lo tengo ancora fermo per qualche secondo finché quello non mi dice “va bene” e solo allora lo lascio senza aggiungere niente.
Ricordo che nei giorni seguenti ero vagamente preoccupato che il trio cercasse di vendicarsi ma, con mio stupore, mi accorsi che erano loro ad evitarmi, non molestavano più nessuno e anzi il capo dei tre mi trattava con assoluto rispetto.
Questa la dice lunga sugli smargiassi: chi è coraggioso non minaccia chi è più debole e lo spilungone non doveva certo brillare per coraggio! E poi probabilmente l'effetto psicologico di essere umiliato davanti a tutta la fila di ragazzi/e in attesa alla mensa dovette scoraggiarlo molto...
Vabbè, è tardissimo: dico solo che mi è capitato un altro paio di episodi analoghi in cui sono intervenuto a favore di terzi. Ritengo quindi di poter supporre con cognizione di causa cosa sarebbe successo in caso di “scontro” con un qualche smargiasso a scuola.
Anzi forse è un peccato che non sia mai successo nulla: probabilmente sarei stato molto più apprezzato dai miei coetanei e, perché no, dalle ragazze...
Conclusione: devo proprio decidermi a scrivere un pezzo sul mio segreto lato violento!
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