A che punto siamo? Il covid-19 è ancora pericoloso oggi come a febbraio-marzo?
La domanda è legittima: da una parte i contagi stanno tornando a salire vistosamente ma da un’altra la mortalità sta scendendo forse ancora di più.
E questo non sta accadendo solo in Italia: in Spagna e Francia, per esempio, questa tendenza generalizzata è ancor più evidente…
La domanda da porsi è quindi “Come mai con 1000 nuovi contagiati abbiamo solo 64 persone in terapia intensiva?”.
Ovviamente c’è il fattore del ritardo: le persone gravemente infettate oggi si sono ammalate circa due settimane fa. Il 7 agosto (ho cercato i dati ieri) i nuovi casi erano 552 quindi, nel caso peggiore ci dovremo aspettare circa 128 persone in terapia intensiva fra due settimane.
Se questo rapporto, ovviamente molto approssimativo, fosse corretto allora con 6000 nuovi malati al giorno ci sarebbero 768 malati in terapia intensiva due settimane dopo. Tanti ma decisamente meno del picco di 4068 registrato il 3 aprile (a cui corrispondono i circa 6000 nuovi infetti del 20 marzo).
Insomma la mortalità, strettamente proporzionale al numero di persone in terapia intensiva, sta evidentemente calando. Quali possono essere le ragioni?
1. Il virus sta diventando meno letale. Questa è la tendenza normale dei virus: a parità di contagiosità il virus che uccide o che blocca a letto il proprio ospite si diffonde molto meno di quello che lo lascia attivo cioè puacisintomatico o asintomatico. In realtà alcuni virologi dicono che questo virus cambia lentamente e che quindi è troppo presto per vedere una tendenza di questo tipo. A me, da quel poco che ho visto e capito, sembra invece plausibile…
2. Minore carico virale (mascherine/distanziamento). La gravità con cui si sviluppa una malattia dipende anche dal numero di virus con cui si viene infettati: non è la stessa cosa essere infettati da 1000 virus o da 100 miliardi. In questo senso le mascherine potrebbero contribuire ad abbattere il carico virale e, di conseguenza, la mortalità complessiva del virus.
3. Resistenza immunitaria. Varie ricerche (vedi il precedente Speciale Coronavirus 25) mostrano come circa il 50% delle persone abbia già una resistenza parziale al covid-19 data da precedenti infezioni da altri virus della famiglia coronavirus grazie alla memoria delle cellule T. Questo significa che anche le persone che all’esame sierologico risultano prive di anticorpi contro il covid-19 in realtà potrebbero essere comunque sostanzialmente immuni a esso: ovvero potrebbero forse riprenderlo ma come asintomatici e quindi con scarsa capacità di diffonderlo a loro volta. Indirettamente questo significa che, considerata l’ondata di marzo-aprile, le persone ormai immuni potrebbero essere molte più di quante non si pensi.
4. Vitamina D. La vitamina D, particolarmente abbondante in estate grazie alla luce solare, migliora drasticamente le capacità del sistema immunitario (vedi le moltissime ricerche citate nei precedenti speciali): la conseguenza logica è che chi si ammala adesso presenti la malattia in forme meno gravi.
5. Terapia più efficace. Dopo mesi di tentativi a tentoni si stanno identificando delle terapie efficaci per contrastare la malattia che, ovviamente, ne riducono la mortalità.
6. Giovani più a rischio. Il maggior numero di nuovi malati è fra i giovani che tendenzialmente tengono comportamenti più rischiosi. I giovani sono però anche molto più resistenti alla malattia e quindi la mortalità si abbassa. Semmai il problema è se questi giovani contagiano poi genitori o nonni.
I punti 1, 2, 3 e 5 sarebbero estremamente positivi perché, fermo restando l’uso delle mascherine (punto 2), non dovrebbero peggiorare nei prossimi mesi.
Invece la vitamina D, se non somministrata artificialmente, diminuirà drasticamente in autunno-inverno: e di tutto si parla fuorché di prescriverla a tutti, soprattutto agli anziani che ne sono più carenti. Su questo aspetto tornerò poi.
Come già accennato anche il punto 6 non è particolarmente positivo: se i giovani infettano i più anziani la mortalità risale…
Infine c’è un punto che ho lasciato a parte:
7. Il numero dei campioni fatti. In primavera mi sono lamentato del fatto che gli esami venivano fatti solo a chi aveva dei sintomi molto gravi (c’è un limite di costo ma anche di manodopera al numero di esami che si possono fare) mentre adesso si fanno molto più a tappeto, ad esempio a tutti coloro che ritornano da particolari mete turistiche all’estero. Chiaro che in questa maniera si ha una prospettiva falsata della diffusione della malattia. Confrontare i 1000 nuovi malati di oggi con i 1000 nuovi malati di marzo sarebbe quindi errato: la situazione attuale magari corrisponde a gennaio o febbraio quando gli ipotetici circa 60 malati gravi di covid-19 erano magari stati classificati come polmoniti atipiche…
Per capire la validità di questo punto si dovrebbe analizzare bene i dati disponibili per riuscire a stimare correttamente il numero di infetti attuale e quello di gennaio, febbraio e marzo per capire con quali dati confrontare il numero di morti o di ricoverati in terapia intensiva. Fattibilissimo ma dovrei reperire i dati che sono tutti frammentati. A occhio, ripeto al mio occhio di non virologo, non credo che sia questo il caso. Insomma un po’ di problema di prospettiva c’è ma non tale da annullare totalmente la diminuzioni della mortalità.
Questi sono i fattori in gioco: per sapere l’importanza di ciascuno di essi si dovrebbe essere virologi bravi (non di quelli che hanno la laurea e basta!) e io quindi non mi azzardo a fare alcuna stima.
Resta la tendenza della marcata riduzione della mortalità che fa ben sperare per il futuro.
Questo NON significa che il covid-19 sia superato!
L’apertura delle scuole potrebbe avere effetti drammatici e moltiplicare la diffusione del virus.
Negli USA un’università che aveva riaperto i corsi autunnali li ha sospesi dopo una sola settimana dato che si erano immediatamente sviluppati ben 3 focolai d’infezione.
Oltretutto pare che i bambini, anche se asintomatici, abbiano cariche virali altissime, addirittura superiori a quelle degli adulti. Le misure pensate per la riapertura delle scuole in Italia sono risibili: misurando la febbre si identificherebbe, se va bene, un bambino infetto su 20. L’unica soluzione è quella che ho illustrato in uno speciale precedente: esami rapidi, poco sensibili ma anche poco costosi, e quotidiani a tutti per identificare, non gli infetti, ma solo i potenziali “infettanti”. Da questo punto di vista sembra che negli USA la FDA stia preparando una corsia preferenziale per questo tipo di esame…
Altra mia preoccupazione è che le case farmaceutiche, dopo aver investito pesantemente in ricerca per un vaccino, vogliano poi comunque immetterlo sul mercato che ce ne sia bisogno o meno e indipendentemente dall’efficacia. Dei buoni politici dovrebbero difendere la popolazione da questo pericolo ma, temo, che in Italia manchi questo tipo di buon senso.
Probabilmente prescrivere vitamina D (e magari la semplice esposizione al sole) in autunno e inverno sarebbe molto più efficace e meno costoso di un incerto vaccino ma dubito che verrà fatto visto che alle case farmaceutiche non conviene.
Conclusione: sono pessimista. Il governo italiano mi sembra orientato a prendere scelte sbagliate, magari anche strumentali, e questo è molto preoccupante. La speranza è che adesso che non siamo più in prima linea altri paesi ci diano dei buoni esempi da seguire su come affrontare la malattia in autunno.
Fermo restando che la riapertura della scuola potrebbe far precipitare la situazione nel giro di una o due settimane. Spero che non sia proprio quello che vuole questo governo: lo so, non mi fido per niente di Conte & C.
martedì 25 agosto 2020
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