Mi ero dimenticato di dare le mie impressioni su “The catcher in the rye” (il “giovane Holden” credo nella versione italiana) di J. D. Salinger che ho terminato di leggere qualche settimana fa!
È un’opera che avevo sentito spesso nominare e che, indirettamente, pur non sapendone niente immaginavo affascinante. Volutamente (non per risparmiare qualche euro) ho comprato la versione originale perché non mi fidavo di una traduzione.
In realtà ne sono rimasto un po’ perplesso: suppongo che le mie aspettative fossero troppo alte…
È il racconto in prima persona che un adolescente fa di una specie di WE allungato prenatalizio in cui abbandona il collegio (da cui comunque è stato espulso) per vivere qualche giorno da solo grazie a un piccolo gruzzolo di denaro regalatogli da una vecchia zia.
Prevedibilmente passa molte piccole avventure ma io mi aspettavo un climax, un qualcosa di drammatico sul finale, invece niente…
Holden è di buona famiglia (ha più soldi in tasca della media e gli dà poca importanza), lui si ritiene stupido ma in realtà per molti aspetti dimostra di essere intelligente, ha patito molto la morte di un fratello (che lui ritiene intelligentissimo), ne ha un altro di successo che vive in California è che, secondo lui, ha prostituito le sue capacità per scrivere sceneggiature da quattro soldi, e infine una sorellina, per la quale stravede, che è la sua parente di gran lunga preferita.
Holden per la sua età è molto alto ma non è particolarmente forte o coraggioso, però è sufficientemente apprezzato dalle ragazze che ne tollerano le stranezze: e del resto lui non esita a fare regalini e simili.
La madre è rimasta traumatizzata dalla morte del figlio mentre il padre è un avvocato di successo spesso fuori casa.
Chiaro che la trama un po’ più profonda è il conflitto fra quello che la società si aspetta da Holden (che studi e che abbia successo) e la sua volontà di trovare un’altra strada.
Il problema è che neppure lui sa veramente quale sia “l’altra strada”: credo che il suo vagare avanti e indietro per New York ne sia una metafora.
A un altro livello il romanzo denuncia le difficoltà di divenire adulti e, soprattutto, nel non volersi omologare alle aspettative di famiglia, scuola e società: e questo anche se si nasce in una famiglia ricca e si hanno a disposizione molte più possibilità della media.
Insomma tutto sommato, almeno dal mio riassunto della trama, non sembrerebbe un romanzo con chissà quale intuizione o idea innovativa.
Oggi un personaggio con i problemi di Holden non dico che sarebbe la normalità ma quasi.
E infatti è nel contesto storico che si capisce quale sia la novità dirompente di questo libro: mancando specifici riferimenti temporali io non avrei avuto problemi a credere che fosse stato pubblicato negli anni ‘70. Invece no: il libro uscì per la prima volta a puntate nel 1945-1946!
Ecco che si capisce che all’epoca, le difficoltà di Holden dovevano apparire incomprensibili ai più. Non sono un esperto del fenomeno ma credo che a quel tempo, appena finita la guerra, non conformarsi alle aspettative sociali fosse impensabile: solo una generazione dopo si affermarono dei movimenti giovanili di protesta.
In pratica l’opera di Salinger fu in grandissimo anticipo sui tempi!
Ciò che mi lascia insoddisfatto è che Salinger non dà risposte ma si limita a presentare la problematica. Non capisco quindi come mai tante persone ne siano state così influenzate: non vi vedo nessun particolare messaggio che inciti, per esempio, alla protesta o alla ribellione…
Conclusione: un libro interessante e ben scritto ma che, a causa delle mie aspettative, mi ha comunque deluso.
Tassi alcolemici
4 ore fa
In un certo senso un lavoro galileiano: si ferma al come, ancora non affatto chiaro e quindi non procede al perché.
RispondiEliminaSì, io l'ho capito così: non escludo però che sia possibile farne una lettura più profonda che sveli elementi e magari risposte che mi sono sfuggite.
EliminaProverò a chiedere al mio amico chatGPT... ;-)
Signor Vapore Sodo, l'umanità è - come dire!? - antica: rimarrete spesso deluso nell'attesa di novità.
RispondiEliminaProbabilmente - sono ignorante - il primo quadro completo su etologia, figure archetipiche, psicologia, sociologia etc. degli eesseri umani fu la ricca e splendida teologia politeistica dei Greci, diciamo quattro millennio di stagionatura già! :)
Era già completa!
Siamo ancora quelli, se tralasciamo le verniciature della contemporaneità.
Novità? Mah, non penso.
Io ho la fortuna di sapere di essere ignorante perché ho avuto la fortuna di potermi confrontare con uno zio che aveva realmente una cultura immensa (unita a grande intelligenza e a una memoria eidetica). Sono quindi consapevole che la mia è solo una patina superficiale di erudizione! :-/
EliminaRiguardo alla capacità della nostra “cara” umanità di cambiare, beh secondo me dipende.
Se ne consideriamo la natura più profonda allora sono d’accordo con lei che nel tempo cambia poco o nulla. Me ne resi conto al tempo del liceo leggendo Catullo: come erano attuali le sue disgrazie sentimentali con Lesbia! (ne scrissi qui: https://parole-sante.blogspot.com/2013/03/prima-lettera-ai-corinzi.html )
Se però intendiamo a un livello più superficiale l’evoluzione della cultura della società allora già a distanza di generazioni (25 anni x generazione) possono esservi differenze significative.
Per esempio basti pensare a come siano divenute indipendenti le donne nel corso dell’ultimo secolo.
In questo pezzo in particolare mi riferivo ovviamente all’evoluzione superficiale della cultura nel tempo.
La difficoltà di divenire adulti è sicuramente universale, cioè indipendente dall’epoca. La pressione che però il giovane riceve dalla società, le aspettative della famiglia, della scuola etc. invece subiscono fluttuazioni in base alla temperie culturale del periodo.
Semmai si può discutere se nel corso degli anni si è accresciuto l’individualismo o se sono divenute più rigide le aspettative della società (che poi anche qui la situazione non è uniforme: per esempio adesso, da un punto di vista di identificazione sessuale, tutto è considerato lecito; contemporaneamente però è molto più difficile opporsi all’ideologia del profitto e del successo sociale). Io credo che, come spesso accade, ci sia una commistione di fattori ma qui ci sarebbe da scriverci un altro pezzo sopra!