Ieri leggevo un esperto di geopolitica che seguo (v. anche Mani sporche): aveva scritto un articolo (QUESTO) molto interessante sulla nascita del commercio sul suo canale Telegram.
Io però ne avevo ricevuto una strana sensazione, come se qualcosa non mi tornasse: mi ero infatti reso conto che parlare di “commercio” riferendosi ai primissimi scambi umani mi sembrava essere fuorviante. Scrivo “sembra” perché magari a livello tecnico è correttissimo parlare comunque di “commercio”, non so…
Il fatto è che vi è una profonda differenza fra lo scambio del baratto, dove le parti ricercano l’utile reciproco per la propria sopravvivenza, e il commercio dove almeno una parte è interessata al profitto e non alla propria sopravvivenza immediata.
Soprattutto in una società primitiva, che lotta per la propria stessa esistenza, mi sembra strano parlare di commercio…
Ma niente: la mia era una sensazione estemporanea nata dalla lettura dell’articolo: mi sembrava interessante sottolinearla (gli ho lasciato un commento ma ancora non mi ha risposto: in genere lo fa il 50% delle volte) ma io stesso non riuscivo a definirla meglio.
Stanotte sono stato di nuovo (*1) tormentato da un dormiveglia in cui continuamente ritornavo sullo stesso pensiero: la sopravvivenza delle colonie medioevali norvegesi della Groenlandia di cui avevo letto al mattino (in “Collasso” di Diamond).
Stavolta questa parziale insonnia è stata più produttiva (*1) perché mi ha permesso di ricollegare a qualcosa di più concreto la strana sensazione sul commercio di cui ho scritto poc'anzi.
Senza voler scendere nei dettagli le colonie in Groenlandia, in pratica due piccoli villaggi con fattorie intorno, avevano numerosi e gravi problemi: primo fra tutti il clima ostile per il freddo, la scarsità di alberi, fenomeni di erosione del suolo (in pratica il suolo fertile e coltivabile, per varie ragioni, tendeva a scomparire portato via dall’acqua e dal vento), la grande distanza dalla madrepatria e, in seguito, il sopraggiungere della popolazione ostile degli inuit.
Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, le colonie sopravvissero per almeno cinque secoli mantenendo i contatti col resto dell’Europa. Intorno al 1000 la popolazione si convertì al cristianesimo e dall’Europa venne mandato il primo vescovo della Groenlandia: furono costruite una decina di chiese e una piccola, ma non troppo, cattedrale nell’insediamento più grande.
Chiaramente le risorse necessarie per le chiese furono notevoli e, probabilmente, assorbirono la maggior parte dei proventi dell’unico prodotto a cui l’Europa era interessata: le zanne di tricheco (ed eventualmente pelli d’orso bianco). Addirittura abbiamo la ricevuta di quanto donato (in zanne di tricheco convertite poi in argento) dalla Groenlandia per una crociata (non ricordo quale) in Terra Santa!
Diamond spiega anche come la popolazione locale si sentisse europea, addirittura seguendone la moda nel vestire oppure specifiche usanze nei funerali. Questo anche perché i vescovi non erano locali ma venivano tutti dalla Norvegia dove avevano studiato.
Ma veniamo al punto: per la propria sopravvivenza le colonie in Groenlandia necessitavano di prodotti difficilissimi o impossibili da procurarsi sul posto: forse il più importante era il ferro necessario non solo per le armi ma anche per costruire strumenti utili ad aumentare la produttività del lavoro.
Il “commercio” della Groenlandia avrebbe quindi dovuto essere di natura mista: da una parte i mercanti norvegesi chiaramente ricercavano il profitto rappresentato dalle zanne di tricheco ma i coloni avrebbero dovuto cercare in cambio merce utile direttamente alla propria sopravvivenza e non candelabri in bronzo o campane per le chiese!
È evidente che le colonie, almeno nel periodo in cui si susseguirono sei o sette vescovi (non ricordo esattamente quanti e quando), dovettero passare un periodo di relativa prosperità con un surplus notevole trasformato però in “chiese”. Questo perché il vescovo, di cultura europea, percepiva già il commercio nella sua essenza moderna (denaro per oggetti) e non nella sua natura primitiva di scambio necessario alla sopravvivenza.
Mi chiedo se, durante il secolo (o giù di lì) di maggiore benessere, le risorse fossero state allocate alla realizzazione di una terza colonia, magari più a sud, più vicina quindi alle fonti di legna e con un clima (relativamente!) più caldo, allora forse la storia della Groenlandia sarebbe potuta essere diversa. Io credo di sì: legno significa possibilità di costruire navi (e non rimanere isolati) e di estrarre e lavorare il ferro…
Invece quando la temperatura raffreddò sensibilmente le colonie groenlandesi rimasero isolate e furono incapaci di produrre cibo sufficiente col risultato che la popolazione morì di stenti.
Secondo me quindi fu la cultura dei vescovi, inadeguata per l’ambiente, e che soprattutto vedeva il commercio non strettamente legato alla sopravvivenza, che provocò la fine della colonizzazione norvegese della Groenlandia.
Conclusione: ancora non sono arrivato a leggere le conclusioni di Diamond, vedremo!
Nota (*1): Mi era accaduto qualcosa di questo genere qualche notte fa ma all’epoca ero rimasto “bloccato” su pensieri più improduttivi incentrati su un libro di fantascienza che sto leggendo...
Io vorrei i tre giorni di sonno!
5 ore fa
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