Ormai diverse settimane fa ho finito di leggere “Forse che sì, forse che no” di D’Annunzio.
Il libro, se se ne apprezzano i lirismi, è leggibile: si capisce subito che l’autore è un poeta che si diverte a scrivere un romanzo.
Questo per me è il pregio e il difetto: l’inizio mi era decisamente piaciuto perché descrive delle emozioni forti con le quali anch’io, uno scarsamente sensibile INTP, riesco a relazionarmi. Le mie aspettative erano quindi cresciute troppo e il resto del libro mi ha annoiato dato che le diverse sfumature di emozioni seguenti erano per me troppo sottili e, spesso, cozzavano con la logica. Ora non voglio entrare nei particolari ma Isa, la protagonista, verso metà libro sembra essere fredda e calcolatrice ma invece da quel momento in poi diventa di tutto e di più. Non so, magari D’Annunzio è stato abilissimo, nel seguire e dipingere i sottili mutamenti delle sue emozioni ma, se così fosse, io non sono riuscito a stargli dietro nel comprenderle. E così anche per Vania. Forse solo Paolo, in cui sospetto l’autore un po’ si riconosca, ha una certa stolida e insensibile coerenza.
Le mie previsioni (v. Forse forse) sul finale non sono state rispettate ma l’autore non mi ha piacevolmente sorpreso: semplicemente una protagonista ha iniziato a comportarsi in maniera illogica o comunque non consequenziale a come aveva agito fino a quel momento (*1).
SCIUPATRAMA:
Vania non riesce a conquistare l’amore di Paolo, deperisce e poi si suicida. Questo ci poteva anche stare. Prima di farlo però denuncia a Paolo l’amore incestuoso fra Isa e Aldo.
Contemporaneamente quindi Paolo molla Isa che inutilmente cerca di spiegargli che fra lei e Aldo non c’era stato niente.
E, qui mi torna poco, Isa impazzisce (di Aldo si sa solo che si è ammalato ma non la sua sorte finale). Paolo vorrebbe confortarla ma, anche su suggerimento del medico curante, evita di rivederla. Paolo decide quindi di tentare la sorte e di attraversare in volo il Tirreno per raggiungere dalla Toscana la Sardegna: è convinto che il suo fato si compirà e che raggiungerà il defunto amico Mario a cui, secondo un fachiro indiano, il suo destino era legato. Invece, con sua stessa sorpresa, il motore dell’aereo non cede e riesce ad atterrare in Sardegna. Contemporaneamente si è liberato anche dei vincoli che lo legavano a Isa, si è come purificato ed è pronto a voltare pagina.
FINE SCIUPATRAMA.
Personalmente la pazzia di Isa e la malattia di Aldo fanno pensare troppo a una punizione divina del loro peccato mentre Mario, che in fin dei conti non ne sapeva niente, viene perdonato e può proseguire la sua vita. Non so, per i miei gusti, qui c’è puzzo di Provvidenza e/o moralismo. Non mi piace poi come Paolo si getti tutto alle spalle, come sembri tutto sommato ben felice di non dover tentare di aiutare Isa (che è caduta nelle grinfie del padre e della matrigna). Tutto il suo turbamento, si capisce, era apparente: è una persona superficiale ed egoista...
Alla fine il romanzo non ha nessun messaggio significativo: anche l’unico protagonista che sopravvive non ha subito un’evoluzione, non ha capito i suoi errori, è semplicemente rimasto lo stesso di prima ma ha svoltato pagina e superato il proprio turbamento per il destino della sua ex amata.
Ah! la frase “forse che sì, forse che no” viene ripetuta un paio di volte dai personaggi ma senza prendere un significato particolarmente profondo: o almeno non l’ho notato io!
Conclusione: con i romanzi di D’Annunzio credo di aver chiuso: mi pare di avere il “Piacere”, quindi forse potrei leggere quello ma non ne sono molto invogliato. Più probabile che dia un’occhiata a qualche sua poesia anche se, qui per limiti miei personali, difficilmente sarò in grado di apprezzarle….
Nota (*1): Mi sa che D’Annunzio era tutto F e poca T: fatemi controllare al volo cosa ne pensano in rete. Nì/sì: lo danno come ESFP…
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