Stamani ho voglia di raccontare come sta evolvendo la trama di “Forse che sì, forse che no” di D’Annunzio.
Suppongo che non sia di grande interesse per nessuno ma mi va di farlo…
SCIUPATRAMA
Per semplicità riparto dal principio. La storia inizia presentandoci due personaggi, una coppia di amanti: Paolo, un avventuriero e ora aviatore, e Isabella, ragazza di buona famiglia ma non ricchissima.
[Questa scena iniziale mi colpì molto (v. Forse bo) perché D’Annunzio riesce a descrivere delle emozioni forti con grande abilità e, direi, sensazioni nelle quali posso riconoscermi.]
La scena successiva è completamente diversa: Paolo e Isabella stanno visitando una reggia abbandonata e qui D’Annunzio descrive delle emozioni che talvolta intuisco ma che, generalmente, fatico a comprendere (v. Genio incompreso).
A metà della visita nella reggia sopraggiungono due amici della coppia. Immagino volutamente D’Annunzio non spiega chi siano. In realtà si tratta dei fratelli minori di Isabella: Vania e l’adolescente (bellissimo) Aldo.
[All’epoca rimasi confuso anche dal fatto che non capivo chi avesse guidato la loro macchina (descritta come troppo lenta per competere con quella di Paolo): non penso che a inizio secolo XX le donne guidassero mentre Paolo è appunto un adolescente.
Ho scoperto poi quel che doveva essere stato subito ovvio a un lettore del 1910: la famiglia di Isabella, nonostante non sia ricchissima, ha diversi camerieri e un autista. Come Jane Austin anche D’Annunzio non si preoccupa di dargli un nome: sono semplicemente figure di sfondo irrilevanti e disumanizzate.]
Il capitolo successivo presenta un cambiamento completo di prospettiva: stavolta seguiamo Vania che si intrufola nell’hangar di Mario, anche lui avventuriero e aviatore, l’amico fraterno di Paolo che però quest’ultimo, non si sa bene perché, non ha mai voluto far conoscere ai tre fratelli.
Vania si innamora immediatamente di Mario e gli dona una rosa del suo serto che lui promette di portare più in alto nel cielo di dove nessuno abbia mai volato prima.
[Bisogna infatti ricordare che l’aviazione era all’epoca agli esordi e gli aerei erano dei prodotti semi artigianali. Paolo e Mario sono poi impegnati nel tentativo di battere dei primati: l’ascensione maggiore, la velocità e simili…]
Mario parte, osa troppo e si schianta morendo sul colpo.
[Nel complesso ho trovato questa parte un po’ noiosa e che descrive logiche e sentimenti non più attuali almeno nel loro sviluppo.]
La scena si sposta in una camera d’albergo con i tre fratelli turbati e Vania che finge di vestire vestita. La cameriera vorrebbe infatti spogliarla per la notte ma ella non vuole: ha infatti il piano segreto di aspettare che tutti stiano dormendo per andarsene da sola alla veglia del “suo fidanzato morto”. Passata la mezzanotte esce silenziosamente dalla camera, poi scende in strada e… si fa accompagnare dall’autista alla veglia funebre!
[Di nuovo qui mi aspettavo qualcosa di diverso: non sembra così avventurosa e/o pericolosa questa fuga visto che si fa accompagnare in auto…]
Arrivata nella tenda dove la salma è vegliata da Aldo lei gli spiega di essere la sua “fidanzata segreta”. I due condividono insieme la propria sofferenza.
La seconda parte del libro si svolge evidentemente un mese o qualche settimana dopo in un paese di campagna toscano. Viene presentata la sorellina minore di Isabella: la piccola Lunella (è il soprannome).
[Qui si vede che D’Annunzio è un poeta: per divertire la sorellina Vania improvvisa per lei delle filastrocche; a sua volta la sorellina ritaglia nella carta delle figure di animali:
«O Lunella, mia Lunella,
oggi di che ti sovviene?
Che dài tu alla sorella
che ti fa la cantilena?
Che le dài per la sua pena?
Qual de' sogni tuoi le porti,
che ti nevicano dal cuore?
Oh raccontami le tue storie
con le forbici tue lucenti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!»
Oppure quando la bambina insiste perché Vania le canti una canzoncina:
«O Lunella, o tirannella,
aquiletta senz'artiglio,
se tu sémini il bianco
io raccoglierò il vermiglio.
Se tu sei come il giglio,
sarò come l'amaranto.
Accompagnami il mio canto
coi tuoi bianchi sogni lenti,
coi tuoi torvi occhi assorti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!»
«Tirannella, tirannella,
fammi un'ala per volare,
ch'io m'involi da Volterra,
dalle Balze fino al mare!
Ma se l'ala non puoi fare,
fammi un altro incantamento
con le tue dita di fata,
per la pallida contrada
ch'io somigli ai dolci Morti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!»
Cioè, mi pare evidente che D’Annunzio qui abbia pensato pochi attimi per scrivere queste poesie visto che le fa improvvisare a una ragazza che non dovrebbe avere particolari talenti letterari, ma a me non sarebbero venute così piacevoli e simpatiche neppure a pensarci per mesi o anni: sono semplicemente al di là delle mie capacità!]
Si scopre che il padre ha finito i soldi con una nuova moglie e che praticamente i ragazzi hanno solo la casa, la servitù e l’autista.
Vania è ancora addolorata per la perdita dell’amante ma anche il fratello Aldo è turbato dal fatto che la sorella maggiore Isabella è da giorni lontana da sola con Paolo.
Entrambi fantasticano di uccidersi ma nessuno dei due rivela all’altro la propria motivazione.
I due fanno poi una gita in campagna (accompagnati dall’autista) dove vi è uno strapiombo dove hanno pensato di uccidersi. Vania racconta ad Aldo di aver ricevuto una lettera dove la sorella Isabella li informa che intende fidanzarsi con Paolo. Grande sconforto dei due: Paolo poi spiega che se Isabella sposa Aldo essi perderanno la casa e saranno costretti andarsene e, peggio, a lavorare per vivere.
[Ancora non mi è quindi chiaro se Aldo è innamorato della sorella maggiore o se, semplicemente, è preoccupato che si sposi]
Ci si sposta poi sulla costa Toscana dove Isabella e Paolo sono insieme. Emerge più chiaramente il carattere di Isabella: è una ammaliatrice: sensuale, fantasiosa ma anche calcolatrice.
Isabella racconta a Paolo che ha scritto ai fratelli che si fidanzano insieme: lei non vuole però sposarlo, è solo per salvare le apparenze e, quando verrà il momento, lasciarsi più facilmente.
Isabella gli dice anche che Vania, secondo lei, è innamorata di lui. Paolo non le racconta della “storia” fra Vania e il defunto Mario perché ha promesso di non farlo. Isabella non dice però niente riguardo al fratello Aldo.
E qui è dove più o meno sono arrivato: l’azione è lenta, non accadono molte cose, perché l’autore si concentra nella descrizione delle sensazioni (con grande abilità) piuttosto che delle vicende.
Nel complesso mi sembra si stiano gettando le basi per una sorta di tragedia.
Paolo è completamente innamorato di Isabella tanto da avere sensi di colpa verso la memoria dell’amico scomparso: lo sta dimenticando troppo velocemente.
Aldo sembrerebbe innamorato di Isabella. Vania sembrerebbe innamorata del defunto Mario ma magari Isabella ha visto giusto e, senza rendersene ancora conto, è innamorata anch’ella di Paolo.
Se le cose stanno così un possibile finale tragico potrebbe essere:
Aldo si uccide pensando che Isabella si sposi; Isabella si uccide sentendosi in colpa; Paolo si uccide per seguire Isabella; Vania si uccide perché si rende conto di aver sempre amato Paolo.
Oppure anche Paolo muore in un incidente aereo; Isabella scopre di averlo amato più intensamente di quanto pensasse e si uccide; Vania e Aldo come sopra…
Oppure (mi è venuto in mente adesso) Isabella si stufa di Paolo e lo lascia: egli si uccide schiantandosi con l'aereo; Vania come sopra; Aldo, che aveva capito di essere più affine a Vania, si uccide; Isabella si suicida rendendosi conto di aver anch'ella sempre amato il fratello.
Non so: da come D’Annunzio sta costruendo la storia non mi pare che possa finire bene e gli incastri sono tali che mi fanno pensare a delle morti multiple.
Nel complesso il libro mi piace abbastanza: apprezzo alcune delle immagini di D’Annunzio anche se non tutte sono attuali per la sensibilità moderna.
Conclusione: vedremo...
alla prima stazione
1 ora fa
D'Annunzio esteta e superuomo dei suoi tempi; difficile pensare che essi non possano aver influenzato le sue opere.
RispondiEliminaAnch’io pensavo qualcosa del genere.
RispondiEliminaAl momento è ancora una sensazione che non riesco ad afferrare completamente: un clima, un potenziale, che nel romanzo che sto leggendo è appena di sfondo.
Un’Italia che nel 1910 è in progressiva crescita fra le prime nazioni del mondo e non sta affondando nelle sue retrovie.
Tu dirai “e che c’entra questo?”.
Beh, secondo una mia teoria il potenziale umano può esprimersi solo nel giusto ambiente: e in genere una società in crescita dà più possibilità alla propria popolazione.
In un simile contesto l’idea di un “superuomo”, che superi ameno alcuni dei limiti umani, può essere un legittimo sogno. Io, invece, nel mio piccolo, in questa epoca di decadenza, non ho speranze e vedo solo degenerazione intorno a me. L’unico superuomo che riesco a immaginarmi è una perversione dell’ideale di Nietzsche: un mostro creato magari da un eugenetica impropria e moralmente storpiato da un’ideologia basata unicamente sul profitto.