Thomas Sankara? Mai sentito?
Io avevo notato alcune sue citazioni in meme su FB e, soprattutto, era stato introdotto brevemente ma con grande ammirazione, da Ilaria Bifarini ne “I coloni dell’austerity”.
Non ho voluto indagare su Wikipedia ma ho preferito comprare un libro: ho cercato (sigh… su Amazon) e, ovviamente ho trovate numerosi volumi. Alla fine, invece di biografie, ho scelto un libro (in inglese) con i suoi discorsi: ho pensato che da questi avrei potuto ricavare il personaggio in maniera più diretta che tramite rielaborazioni altrui.
Ovviamente consapevole del limite di questa scelta: i discorsi politici spesso sono vuoti, fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Ma Sankara è un personaggio fuori dal comune e quindi, anche dai discorsi politici, emerge la personalità.
Alla fine in realtà il materiale è poco: si tratta di 4 o 5 discorsi di cui solo due ampi mentre gli altri sono molto più brevi. Il primo discorso lungo è del 1983, alla presa del potere (*0) in Burkina Faso, e rivolto quindi alla popolazione locale. Il secondo è invece all’ONU dell’ottobre 1984 e rivolto quindi a politici. Al momento sono a metà di questo secondo discorso.
Provo a riassumere quello che ho capito. Sankara era un comunista ma, soprattutto, un rivoluzionario: sì politicizzato ma anche molto pragmatico. Nel suo discorso alla nazione ci sono accenni a un progetto ben chiaro su come intervenire sul paese e non solo di denuncia dei suoi problemi. Spicca poi la sincerità con cui dice chiaramente quello che pensa e su quello che vuole fare: questo probabilmente gli costò molto caro. Al discorso all’ONU non menziona direttamente né USA né URSS ma la sua critica è evidente quando si dichiara dalla parte del Nicaragua e dell’Afghanistan. Vi rendete conto? Sankara promuove una rivoluzione comunista ma disdegna l’URSS perché si accorge che anch’essa applica una politica imperialista.
Ah! E per non farsi mancare niente difende apertamente anche la popolazione palestinese.
Sankara aveva le idee molto chiare su chi fossero i nemici del Burkina Faso e di tutta l’Africa e aveva una visione ampia e che andava a guardare anche nel medio lungo termine. L’imperialismo occidentale in Africa si era trasformato: le colonie adesso erano divenute indipendenti ma questa era solo apparenza, in realtà erano divenute delle neocolonie. I poteri esteri controllano ancora l’Africa ma lo fanno attraverso degli intermediari politici africani.
Ora, non per vantarmi, ma nella mia Epitome scrivo a proposito delle “democrazie minori” (che potete leggere come neocolonie): «In particolare questo governo democratico di nuova costituzione, che da qui in avanti chiameremo democrazia minore, avrà fra i suoi interlocutori privilegiati, ovviamente dietro le quinte, altri governi occidentali che, magari grazie al proprio potere militare, hanno contribuito a imporre la nuova forma di governo. Per la legge della conservazione (vedi 5.1) l'obiettivo principale di ogni governo delle democrazie minori sarà quello di rimanere in carica e, per farlo, avrà spesso bisogno dell'aiuto delle democrazie occidentali: queste ultime avranno quindi un'importante leva politica per imporre il proprio volere.
I governi occidentali sono anche i principali rappresentanti dei poteri economici delle rispettive nazioni e, per questo, ne difendono gli interessi presso il nuovo governo ottenendo, per esempio, la possibilità di sfruttarne le risorse grazie ad accordi commerciali a essi particolarmente favorevoli.
Qualunque governo venga poi eletto in una democrazia minore subirà fortemente l'influenza esterna: in altre parole sarà una criptocrazia esterna (v. 12.6).
[…]
Ma, come spiegato in questo e nei capitoli precedenti, la democrazia è un mito e, specialmente nei paesi con scarsa cultura democratica, qualunque governo vada al potere, magari non subito ma col tempo, sarà sempre tendenzialmente molto vicino ai parapoteri esteri e disposto quindi ad ascoltarne le richieste e a difenderne gli interessi a scapito di quelli del proprio popolo.»
Dice invece Sankara nel suo discorso alla nazione del 1983: «Nel 1960 il colonialismo francese – assalito su tutti i fronti, sconfitto a Dien Bien Phu e resistendo a fatica in Algeria – imparò le lezioni da queste sconfitte e fu costretto a concedere al nostro paese l’indipendenza e l’integrità territoriale. Questo rese felice la nostra gente, che non era rimasta inoperosa, ma al contrario stava sviluppando varie forme di resistenza e di lotta. Questa mossa dell’imperialismo francese costituì una vittoria per la gente contro le forze straniere di oppressione e sfruttamento. Dal punto di vista delle masse popolari, fu una riforma democratica, ma da quello dell’imperialismo fu semplicemente una trasformazione delle forme di dominazione e oppressione della nostra gente.
[…]
La paura che la lotta delle masse potesse radicalizzarsi e portare a una soluzione genuinamente rivoluzionaria era stata la ragione della scelta dell’imperialismo: da allora [l’imperialismo] avrebbe mantenuto la presa sul nostro paese e perpetuato lo sfruttamento della nostra gente usando intermediari burkinabé. Nativi burkinabé divennero gli agenti della dominazione e dello sfruttamento straniero. L’intera organizzazione della società neocoloniale non sarebbe stata altro che una semplice operazione di sostituzione da una forma a un’altra.» (*1)
Insomma io inserisco questo fenomeno nel contesto generale della mia teoria ma il concetto, al di là dei termini, è lo stesso espresso da Sankara.
In realtà i circa vent’anni di sfruttamento neocoloniale del Burkina Faso ricordano nelle loro dinamiche gli ultimi vent’anni dell’Italia. I meccanismi di sfruttamento del paese e di impoverimento sono molto simili: chiaro che le differenze ci sono e anche notevoli: l’Italia era uno dei paesi più ricchi del mondo mentre il Burkina Faso uno dei più poveri. Però qualcosa di molto simile sta avvenendo e, anzi, è ormai quasi completamente avvenuto.
Sarebbe stato interessante scoprire dove Sankara sarebbe riuscito a portare la sua nazione ma nel 1987, dopo soli quattro anni di governo, fu assassinato in una congiura militare (*2).
Io credo che avremmo avuto un’Africa molto più moderna e ricca: molto migliore dell’attuale. Sankara infatti era un pragmatico lungimirante che pensava in grande e molto probabilmente sarebbe stato di esempio alle nazioni vicine.
Conclusione: mi pare di poter dire che Sankara fu un rivoluzionario che sinceramente lottava per un futuro migliore per la propria patria e, forse, proprio la sua onestà ne segnò la fine: si era fatto troppi nemici potenti e, soprattutto, il suo esempio sarebbe stato pericolosissimo se adottato dagli altri paesi dell’Africa centrale e non solo. Comunque testo interessantissimo che finirò nei prossimi giorni (si tratta di appena un centinaio di pagine).
Nota (*0): “presa del potere” è forse fuorviante. Nel maggio del 1983 Sankara era divenuto primo ministro ma subito incarcerato a causa del suo riformismo: fu liberato poi a furore di popolo nell’agosto dello stesso anno.
Nota (*1): da me tradotto da “We are heirs of the world’s revolutions” di Thomas Sankara, (E.) Pathfinder, 2020, pag. 31-32.
Nota (*2): ma, secondo la Bifarini, il mandante fu la Francia perché sembra volesse disfarsi del Franco dell’Africa Centrale (gestito dalla Francia, con gli stessi e ulteriori difetti dell’euro). Credo che la Bifarini abbia ragione.
giovedì 6 maggio 2021
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