Riscrivo per la seconda volta questo pezzo: avevo iniziato a scriverlo basandomi su uno spunto di qualche giorno fa senza però ricordarmi i dettagli di dove volevo arrivare. A peggiorare la situazione poi, dalla seconda metà in poi, ho avuto delle intuizioni, anche molto significative, ma che mi hanno ulteriormente allontanato dalla (vaga) idea iniziale.
Tutto è partito dalla lettura de “Il secolo breve” di Hobsbwam: il capitolo VI infatti mi ha lasciato a bocca aperta: è intitolato “Le arti: 1914-1945” e io ho pensato “e cosa c’entrano le arti con la storia”?
Che influenza hanno avuto sulle due guerre? Chi aveva gli artisti più bravi aveva un vantaggio militare?
Evidentemente la mia deve essere una domanda stupida perché l’autore non si preoccupa mai di spiegare la relazione fra arte e storia ma sembra dare per scontato che ci sia.
La mia obiezione è che la cultura popolare non mi pare possa influire sulla storia dato che il popolo, anche nelle democrazie, non ha vero potere: le decisioni vengono prese dai potenti indipendentemente da quel che pensa o vuole la popolazione. E del resto, come scrisse Einstein (l’ho citato almeno un paio di volte) bastano due settimane di propaganda sui giornali e la gente comune è pronta per andare a farsi ammazzare per l’interesse di pochi. Vedi guerra in Ucraina e il ribaltamento della realtà che ci è propinato dai media.
Quindi l’arte può cambiare la storia non in quanto influenza la popolazione ma solo in proporzione a quanto influenza i potenti. E qui ci sarebbe da distinguere fra epomiti locali e assoluti ([E] 6.2, 6.3), ma lasciamo perdere.
Questa era la mia posizione di partenza di ieri: da qui in poi avevo continuato a riflettere “ad alta voce” arrivando però a una mezza contraddizione con me stesso che solo in seguito giungevo a spiegare introducendo nuovi concetti. Intervengo quindi da qui in poi partendo dalla versione “aggiornata” del mio pensiero.
Quando è possibile il pensiero maggioritario ([E] 10.6) assoluto? Quando cioè il potere può imporre alla popolazione le proprie idee con assoluta libertà? Quando può far credere che il nero sia bianco e il bianco nero?
Questo è possibile quando manca un’autorità di riferimento, cioè ascoltata da parte della popolazione, non censurata, o almeno munita di canali affidabili di comunicazione, che affermi il contrario.
In queste condizioni anche la propaganda più sfegatata e immorale non potrà dire che il nero è bianco ma, al massimo, potrà suggerire che è grigio chiaro. Può non sembrare molto ma invece fa una grande differenza: resta uno spazio al dubbio che evita di portare al fanatismo tipico del pensiero assoluto. Anche chi crede alla propaganda penserà di avere quasi sicuramente ragione ma non di averla con assoluta certezza. Solo in questo pertugio rimasto vuoto si può innestare la tolleranza, la comprensione e il rispetto per chi la pensi diversamente. Rimane anche spazio per l’autocritica e per il buon senso perché poi, alla fine, il grigio non è un assoluto come il bianco o il nero: cioè se io affermo che una cosa è bianca o nera non ci sono dubbi sul colore: ma se dico che è grigia non intendo niente di altrettanto esatto dato che ne esistono infinite sfumature.
È enormemente più facile per una persona convincersi che il grigio che aveva in mente fosse in realtà un po’ più chiaro piuttosto che ammettere che il nero fosse in realtà bianco.
Tutto questo per arrivare a dire che la persona che pensa in sfumature di grigio non è altrettanto manipolabile e controllabile come quella a cui è possibile far credere che tutto sia bianco o nero.
Per gran parte del XX secolo, in occidente, era presente questo fattore: un punto di riferimento che aveva una sua autorità riconosciuta (sebbene non necessariamente condivisa) e i propri canali di comunicazione: sto parlando dell’ideologia comunista contrapposta al capitalismo e, successivamente, incarnata dall’URSS. Con in più, per un ventennio circa, l’ideologia fascista. E probabilmente fu proprio in contrasto a quest’ultima che dal secondo dopoguerra, per circa una generazione, libertà e giustizia crebbero nell’intero occidente.
In queste condizioni, con popolazioni che pensano in sfumature di grigio, il potere non può semplicemente fare quello che vuole senza preoccuparsi dell’opinione pubblica ma deve convincerla delle proprie ragioni.
Leggendo Hobsbwam si arriva alla conclusione che l’arte popolare, come può essere il cinema hollywoodiano, alla fine coincide con quello che è chiamato il potere morbido: ovvero una capacità di persuasione indiretta in grado di scurire o schiarire, a seconda della bisogna, i diversi grigi nella mente della popolazione.
In questo ambito l’arte può avere un influsso sulla popolazione che sia rilevante nell’indirizzare la storia.
Se invece, come è avvenuto in tutto l’occidente, dopo la caduta dell’URSS manca un riferimento alternativo allora, soprattutto con la forza persuasiva dei nuovi strumenti tecnologici, è possibile manipolare la popolazione completamente: con tutti i media a propri disposizione senza un’alternativa che abbia un’autorità di riferimento riconosciuta che abbia i propri canali di comunicazione, il potere non ha difficoltà a far credere alla maggioranza della popolazione che il nero sia bianco o vice versa. E in questo assolutismo basta un attimo a scatenare il fanatismo quando non l’odio verso la minoranza che la pensa diversamente. Oltretutto non è neppure una situazione simmetrica: solo il pensiero della maggioranza è bianco/nero, ovvero assoluto e quindi arrogante, intollerante e fanatico. Quello della minoranza è infatti grigio perché questa è “immersa” nel pensiero della maggioranza e, di conseguenza, prende in considerazione e rispetta per l’eventuale validità dei suoi contenuti.
Al giorno d’oggi quindi, in occidente il potere morbido è quasi inutile perché lo si può sostituire con la più sfacciata e bugiarda propaganda.
Non bisogna infatti lasciarsi ingannare dall'illusoria libertà di Internet: le reti sociali sono completamente manipolate mentre eventuali voci dissonanti che acquistano troppa visibilità sono facilmente censurate. Manca poi l'entità di riferimento con un'autorità riconosciuta: il dissenso è infatti diviso in mille rivoli spesso anche in contrasto fra loro.
In questo contesto la capacità dell’arte di influenzare la storia è limitata alla sua influenza non sulla popolazione ma sui potenti che, alla fine, prendono le decisioni che contano.
Tornando al mio pensiero, la prima globalizzazione ([E] 12.2), quella culturale, è espressione del potere morbido statunitense: essa è stata l’indispensabile premessa alla seconda globalizzazione ([E] 12.3) economica iniziata negli anni ‘80-’90.
Indispensabile letteralmente perché le politiche liberiste che hanno accompagnato la seconda globalizzazione non sarebbero state accettate da una popolazione che pensava in sfumature di grigio e non era quindi totalmente manipolabile dalla propaganda.
Conclusione: mi sto sempre più convincendo degli errori che la concezione dei cicli storici induce: si accentua troppo l’aspetto dell'ineluttabilità di alcune trasformazioni ma soprattutto non si osservano alcuni elementi salienti e fondamentali della storia, delle novità mai esistite prima, che in alcuni casi possono essere decisivi per comprenderla.
Il figlio della Concetta
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