L’altra settimana ho per caso scoperto che il corso di psicosociologia (Social Psychology) che avevo fatto tanti anni fa era ricominciato e così mi è venuto voglia di seguirlo di nuovo (è gratuito).
Probabilmente si è trattato di uno dei corsi che mi hanno maggiormente influenzato: ho imparato tantissimo che, mi rendo conto, ha influenzato poi pesantemente anche la stesura dell’Epitome.
Al momento ho iniziato la seconda settimana di lezione e mi sono imbattuto in una tematica che non ricordavo perché abbastanza complessa e non priva di sottigliezze: il professore infatti la definisce come la parte più complessa dell’intero corso.
Si tratta della teoria dell’attribuzione del comportamento: ovvero con quali criteri interpretiamo una vicenda, come mai l’attore (ovvero la parte in causa), si è comportato in una certa maniera: è dipeso dalle particolari circostanze, dal suo carattere, da una serie di coincidenze temporali?
L’argomento è importante perché l’interpretazione della causa di un fenomeno determina come decideremo di rispondere a esso: se la Sud Corea spiega lo spostamento di truppe in Nord Corea come una minaccia allora sarà tentata di reagire aggressivamente. È ovvio che questo rischia di provocare una nuova reazione da parte della Corea del Nord e così via.
Ma c’è un altro motivo per cui a questo secondo giro il soggetto ha catturato il mio interesse. Qualche versione fa, non ricordo esattamente quando, ho aggiunto un nuovo sottocapitolo alla mia Epitome intitolato “La tendenza primeva” ([E] 1.5) che, sorpresa, tratta quasi esattamente lo stesso argomento!
Scrivevo: «[pensare corrisponde a] ...dare un senso a ogni evento della nostra realtà quotidiana: questo equivale a cercare sempre di capire, o almeno di spiegarsi, quale sia la causa degli eventi che avvengono, specialmente se negativi.»
Ovviamente affrontai il problema più da un punto di vista filosofico che psicosociale: in pratica non scrissi tanto come l’uomo arrivi alle proprie conclusioni ma che queste, nelle situazioni più complesse, possono essere errate e illusorie e quali fossero le conseguenze di questi errori.
È interessante notare come la mia logica sia affine a quella degli studiosi della materia: in particolare distinguo da cause attribuibili a persone e quelle determinate dal caso o dalla natura (a cui poi do un’interpretazione religiosa).
In conclusione la mia teoria della “tendenza primeva” e quella “ufficiale” della psicosociologia, definita fra il 1950 e il 1970, c’è una notevole complementarità e pochissime incongruenze.
L’idea di oggi è quindi quella di riassumere qui la teoria ufficiale in maniera da poterla poi integrare con più facilità con quanto ho scritto nella mia Epitome.
Quello che riassumerò è quindi il “Meccanismo di attribuzione” ipotizzato da Harold Kelley pubblicato (mi pare, ho dimenticato di appuntarmelo) all’inizio degli anni ‘70.
Prima di tutto un certo evento/comportamento può essere spiegato in termini di:
1. Persona
2. Entità
3. Tempo
Esempio (mio): una macchina sbanda a una curva e finisce fuori strada. Come mai?
Può essere il guidatore (Persona) che ha sbagliato manovra perché, per esempio, distratto; può essere la curva (Entità) particolarmente pericolosa perché in fondo a una discesa e in contropendenza; oppure può essere stata colpa di un capriolo che, proprio mentre passava la macchina (Tempo), è saltato fuori da un cespuglio.
Per decidere quali di questi tre casi è quello determinante le persone NON usano la ragione studiando nei dettagli quello che è successo: sarebbe troppo faticoso e impegnativo! Piuttosto usano un’euristica semplice e veloce.
L’euristica si basa su tre criteri:
1. Consenso → Altre persone si comportano in maniera analoga nella stessa situazione?
2. Particolarità → Situazioni diverse provocano lo stesso comportamento?
3. Consistenza → La stessa situazione si ripete spesso?
Incrociando le risposte a queste tre domande (evidentemente secondo una tabella che però il corso non presenta!) la persona stabilisce se la causa è una persona, un’entità o il tempo.
Tornando al (mio) esempio si considera:
Consenso → “Molte altre persone sono uscite di strada a quella curva?”
Particolarità → “Succede la stessa cosa alle altre curve della stessa strada?”
Consistenza → “Lo stesso guidatore è uscito di strada altre volte a quella curva?”
Beh, in questo caso la risposta al criterio della consistenza sarà sempre “no” (*1) mentre per gli altri due criteri le risposte potrebbero essere diverse: se la risposta al consenso è “no” verrebbe da pensare che la causa sia il singolo individuo; se la risposta è “sì” potrebbe invece trattarsi di una curva effettivamente più pericolosa delle altre. La risposta al criterio di particolarità aiuta a definire meglio la causa: se la risposta è “sì” allora tale curva non è particolarmente pericolosa, se “no” invece la causa sembrerebbe l’entità (ovvero la curva stessa).
Come ho detto immagino che le otto combinazioni risultanti dall’analisi di questi tre criteri siano riassunte in una tabella che, con le inevitabili eccezioni, restituisca la causa dell’evento (persona, entità o tempo).
C’è da dire che numerosi esperimenti hanno sostanzialmente confermato questo meccanismo con però un importante eccezione: il criterio del consenso non sembra essere sempre correttamente applicato (*2) (*3).
A questo fenomeno è collegata la teoria dell’“Errore Fondamentale dell’Attribuzione”: esso porta a sottostimare l’importanza della situazione e a sovrastimare quella della disposizione (che io traduco con carattere dell’individuo).
Un esempio illustra bene questo fenomeno: ai soggetti dell’esperimento viene presentato un articolo al cui autore è stato imposto di difendere una teoria fortemente minoritaria (magari qualcosa di razzista oppure a favore della pedofilia) e poi viene chiesto loro quale credono sia il vero pensiero dell’autore dell’articolo. Ebbene una percentuale statisticamente elevata (non so bene in base a quali criteri (*3)) di soggetti, nonostante gli sia stato detto che l’autore è stato obbligato a difendere la teoria esposta, rimane convinta che l’autore sia effettivamente razzista o pedofilo: ovvero ignora la specificità della situazione e attribuisce tutto alla disposizione (*4).
Infine, per completezza, aggiungo due ulteriori effetti.
A. La salienza di un elemento è perturbante e tende ad attirare l’attenzione su di sé venendo così considerata sproporzionatamente causale.
B. La differenza di attribuzione fra attore e osservatore: in caso di evento negativo l’attore tende a incolpare la situazione mentre l’osservatore l’individuo, cioè l’attore (*5). Se l’evento ha invece esito positivo l’attribuzione invece si ribalta: l’attore se ne prende il merito mentre l’osservatore è più propenso a darlo alla situazione (“sarei stato capace anch’io!”).
L’effetto A è importante perché alla base di alcune forme di discriminazione: chi è diverso dalla norma è più saliente e, quindi, tende a prendersi più facilmente la colpa di ciò che non va.
Conclusione: per non appesantire troppo la struttura di questo pezzo non ho aggiunto le mie obiezioni a questa teoria, ovvero quelli che mi sembrano punti deboli ma, in breve, per spiegare alcuni fenomeni credo che le discriminanti, da cui poi dipendono gli elementi individuati da queste teorie, siano altri. Basandosi sui criteri che ho in mente la maggioranza di queste anomalie dovrebbe sparire…
Nota (*1): tranne casi estremamente inverosimili: per esempio un rivale in amore che nascosto dietro un albero tenta di accecarlo con un puntatore laser!
Nota (*2): e questo, evidentemente per ragioni psicologiche, più dalle popolazioni occidentali che orientali.
Nota (*3): mia ipotesi: probabilmente ai soggetti viene anche detto che i razzisti/pedofili sono il 5% della popolazione ma l’autore viene considerato razzista/pedofilo il 50% o più delle volte!
Nota (*4): incidentalmente mi rendo conto che questo succede spesso anche a me quando, pur dicendolo esplicitamente, faccio l’avvocato del diavolo. E, mi rendo sempre conto adesso, non capisco l’irritazione che il mio interlocutore mi dimostra!
Nota (*5): Per esempio Tizio arriva tardi in ufficio e dà la colpa al traffico; il suo capo invece tende a pensare che è stato Tizio ad alzarsi tardi perché pigro.
L'esempio di Benjamin Franklin
19 minuti fa
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