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lunedì 5 novembre 2018

Sfere rotte

Oggi volevo scrivere un pezzo con una semplice dimostrazione matematica che richiedeva però una “breve” premessa che ne spiegasse l'origine. Poi però la premessa mi ha coinvolto sempre più e mi sono divertito a raccontare vecchi aneddoti dei tempi del liceo...
Insomma alla fine ho tirato fuori un pezzo molto lungo e con la parte matematica piuttosto noiosa (e non so quanto comprensibile oltreché quanto corretta!).

Premessa: in quarta liceo scientifico iniziai a studiare chimica... L'allora professore era proprio un chimico/fisico (attualmente è il magnifico rettore dell'università di Firenze!) e quindi spiegava la materia con notevole competenza ed entusiasmo riuscendo a renderla veramente interessante. Per questo, diversamente dal solito, studiai e mi impegnai leggiucchiando il libro di testo e facendo gli esercizi per casa: a metà anno il professore propose a me e a una mia compagna di classe di partecipare a una competizione di chimica nazionale (anche se ci spiegò che gli studenti di alcuni istituti tecnici avrebbero sicuramente conosciuto più chimica di noi). Io ne ero segretamente entusiasta e progettavo di studiare libri più avanzati, facendomi consigliare dal professore ovviamente, in maniera da essere più preparato e fare bella figura: e all'epoca ero sveglio, con tutti i neuroni scoppiettanti e arzilli, con una memoria marmorea (*1), sono quindi convinto che sarei andato benissimo...
Dopo poche settimane si scoprì però che ogni scuola poteva mandare solo due allievi e, siccome anche un'altra classe partecipava con uno studente, il professore fu costretto a scegliere fra me e la mia compagna di classe: così fece estrarre a sorte il partecipante a un nostro compagno di classe (me ne ricordo ancora: l'infame TC...) e ovviamente non toccò a me.
Ci rimasi molto male e per i mesi successivi, forse per rigetto, ignorai completamente tale materia. Verso fine anno il professore mi interrogò e notai che mi faceva domande un po' più complicate del solito. Ricordo che in una ero particolarmente incerto e, per prendere tempo, gli dissi che non potevo rispondere perché non sapevo delle caratteristiche chimiche dei due composti; il professore spiegò a tutta la classe che avevo fatto un'osservazione molto intelligente e poi mi disse qual era l'informazione che non conoscevo: io ero ancora piuttosto confuso, soprattutto anche perché il professore mi incalzava per rispondere, alla fine tirai abbastanza a caso ma indovinai. Risultato: risposi bene a tutte le 4/5 domande che mi aveva fatto.
Mentre tornavo a sedere sentii il professore che incoraggiava la compagna di classe andata al concorso dicendolo che “il fatto che avessi risposto bene a queste domande non significava che avrei risposto correttamente alle altre...”. Capii quindi che mi aveva interrogato sulle domande che la mia compagna aveva sbagliato al concorso nazionale.
Fu una grande soddisfazione l'aver risposto esattamente a tutte nonostante che da mesi avessi abbandonato la materia!

L'anno successivo, in quinta, ebbi molti “conflitti” con la professoressa di matematica: sarebbe divertente raccontare qualche esempio ma non voglio dilungarmi troppo. Comunque verso metà anno la professoressa mi propose di partecipare a un concorso di matematica organizzato dall'università di Firenze. All'epoca a matematica andavo bene ma non mi entusiasmava assolutamente: suppongo che la professoressa mi avesse chiesto di parteciparvi nella speranza che andassi male (sì, avevamo un rapporto di antagonismo!).
In verità credo che non avrei avuto voglia e interesse a parteciparvi se non fosse stato per la sensazione di “furto” che ancora mi bruciava per non aver potuto partecipare al concorso di chimica.
Comunque accettai di prendervi parte e, anzi, mi esercitai un poco con gli esercizi dell'anno passato. Al concorso trovai poi i quattro esercizi proposti molto facili e finii con almeno mezz'ora di anticipo: per tradizione (v. anche KGB le Origini: Me. Rit. Ano.) aspettai che qualcuno consegnasse prima di farlo a mia volta (accadde circa un quarto d'ora dopo che avevo finito ma dallo sguardo imbarazzato dello studente non credo che avesse completato tutto, penso che semplicemente si fosse stufato di aspettare la fine del tempo).
Paradossalmente ciò che mi fregò fu che gli esercizi furono troppo facili col risultato che per stabilire il vincitore non si usò un criterio basato unicamente sulle soluzioni proposte ma anche “estetico”, basato cioè sulla precisione e chiarezza dell'esposizione.
Ovviamente io non avrei avuto problemi a fare uno o due esercizi in più (considerato il tempo che mi era avanzato) ma alla precisione non avevo assolutamente prestato attenzione. In particolare l'esercizio più determinante per il risultato finale fu il seguente:
“Che cosa dà l'intersezione delle superfici di due sfere?” espresso in maniera più matematica/geometrica di quanto io ricordi!
Io lo liquidai con qualche scarabocchio (disegnando delle sfere che più che altro sembravano delle patate deformi) spiegando che, mi era “ovvio”, fosse una circonferenza. Si trattava di un esercizio stupido perché evidentemente si richiedeva una piccola dimostrazione ma alle superiori le dimostrazioni non si fanno e gli studenti “bravi” si basano sull'intuito. Era ingenuo aspettarsi quindi delle risposte “matematiche”: al massimo si sarebbe premiato lo studente con l'insegnante che in classe fosse riuscito a far capire che la matematica non è “intuito” ma “rigore formale”.
Comunque ricordo che alla premiazione andai già di cattivo umore: la professoressa aveva gongolato perché, dal fatto che non le avessero detto come ero arrivato, aveva concluso che non avevo vinto.
Comunque mi misi in un posto isolato e ascoltai il discorso del professore sugli esercizi e sulla difficile decisione di come stabilire una classifica dato che, in molti, avevano fatto tutto bene.
Alla fine vinse un ragazzo seduto non lontano da me: credo fosse accompagnato dalla sua professoressa, tutta radiosa, e da una fidanzatina carina che non perse occasione per sbaciucchiarlo e accarezzarlo, lui tutto rileccato e precisino (*2). Ricordo che, contrariamente al mio solito, l'invidiai pure un po': io ero il suo opposto, completamente trasandato, letteralmente sudicio e guardato con malcelato disgusto dalle ragazze!
Alla fine scoprii che mi avevano classificato come ottavo e mi dettero anche una medaglia che però credo di aver buttato via per l'irritazione (*3)...
Curiosamente tale esercizio mi è sempre rimasto sullo stomaco e oggi voglio provare a liberarmene cercando di darne una dimostrazione a “modino”...

Come affronterei l'esercizio adesso (nel senso di a circa 25 anni dagli esami di matematica dell'università!): “Che cosa dà l'intersezione delle superfici di due sfere?”
Definisco una sfera, S, di raggio R e centro C e una più piccola, s, di raggio r e centro c.
Chiamo P uno degli infiniti punti di intersezione delle superfici di S e s. Traccio la retta che unisce C e c.
Considero quindi il piano identificato da Cc e un generico P e vi traccio il triangolo con lati R, r e Cc: l'altezza di P sul lato Cc sarà pari ad h (non ci interessa il valore esatto) e il punto di incontro su Cc come O.
Ora, per qualsiasi punto P, sebbene su piani diversi, i lati dei rispettivi triangoli R, r e Cc saranno sempre uguali e, quindi, anche le varie distanze PO, tutte pari ad h.
Aggiungiamo (servirà poi) che, per il teorema di Pitagora, le distanze CO saranno tutte pari a D mentre le cO saranno pari a d, con D+d=Cc.
Abbiamo quindi dimostrato che tutti i punti P si trovano a distanza h dal punto O: se i punti P fossero sullo stesso piano allora avremmo già finito perché la definizione di circonferenza è proprio quella di “luogo geometrico” composto dagli infiniti punti a distanza r (o nel nostro caso h!) dal centro (nel nostro caso O) che giacciono sullo stesso piano.
Ma per quel che ne sappiamo l'intersezione delle superfici di S e s potrebbe anche essere un percorso irregolare sulla superficie di una sfera di centro O e raggio h...
Dobbiamo quindi dimostrare che tutti i punti P stanno sullo stesso piano (perpendicolare alla distanza (retta) dei centri C e c).

Consideriamo, per assurdo, che esista un PI (Oopps! Vedo che in HTML l'indice "i" è divenuto una "I" maiuscola! Lo stesso vale per OI: ovviamente fate conto che si tratti di un piccolo indice...) su un piano diverso da quello perpendicolare alla retta Cc e passante per P.
Comunque, per quanto precedentemente dimostrato e come ipotesi di partenza, avremo che PIc=r e che la proiezione di PI su Cc nel punto OI avrà lunghezza h.
Ora OI non può coincidere con O a causa della nostra ipotesi di partenza (altrimenti PI sarebbe sullo stesso piano degli altri P e invece abbiamo ipotizzato che non sia così) e quindi il segmento OOI (che appartiene al piano identificato dai punti P, C e c) è diverso da zero.
Per il teorema di Pitagora sappiamo che il lato COI del triangolo C, OI e PI sarà D (vedi parte precedente) ma, contemporaneamente, COI è pari a CO + OOI con CO=D e OOI > 0: si è arrivati quindi all'assurdo che D>D e se ne ricava che PI deve appartenere allo stesso piano degli altri P.

In seconda lettura mi accorgo che forse si poteva risolvere più facilmente: se consideriamo, ad esempio, tutti i triangoli formati dai vertici P, C e O si ha che l'angolo fra CO e PO è retto per costruzione (e l'altezza del triangolo PCc): questo significa che tutti i vertici P stanno sul medesimo piano ortogonale alla retta Cc.
Più semplice, no?

Se tutti i punti P giacciono sullo stesso piano e sono tutti a distanza h dal punto O allora essi appartengono a una circonferenza, di centro O e raggio h. Mi sovviene adesso che il fatto che tutti i punti P appartengano a una circonferenza non implica che la definiscano completamente: in altre parole la circonferenza da essi disegnata potrebbe avere dei buchi! Suppongo che si possa dimostrare che non è così sfruttando qualche proprietà di continuità/infinito numero di punti: qualcosa tipo che prendendo un ε piccolo a piacere sulla circonferenza si potrebbe comunque trovare un punto P sull'intersezione fra le superfici delle sfere tale che la sua proiezioni sulla circonferenza è < di ε o roba del genere, etc... ma per il momento mi accontento di quanto ho dimostrato!

Ecco, aggiungo un grafico:
Attenzione! Non bisogna farsi ingannare dalla prospettiva: i segmenti che partano dal punto PI sono effettivamente lunghi r (PIc) e h (PIOI) anche se non sembra perché si trovano su un piano diverso...

Anzi mi scuso per come ho pastrocchiato questa dimostrazione ma non avevo mai provato a lavorare su più piani diversi: suppongo che partendo da casi più semplici (come piano + sfera) avrei potuto trovare dei teoremi che mi avrebbero semplificato la dimostrazione odierna...
Ad esempio solo dopo un po' mi sono reso conto di non dovermi far ingannare dalla prospettiva 2D (su singolo piano) dei miei disegni e che invece avrei dovuto sfruttare i triangoli per “spostarmi” da piano a piano (visto che tre punti individuano univocamente un piano...) e questo ha inciso negativamente sulla chiarezza della mia dimostrazione (vedi la variante in “seconda lettura”); ah, e sono consapevole di aver fatto un po' di confusione con P che a volte identifica un solo punto a volte gli infiniti punti dell'intersezione delle superfici di S e s: vabbè, a parte i matematici che storceranno il naso, credo che i miei lettori capiranno dal contesto cosa intendevo di volta in volta!

Conclusione: vedrò di aggiungere un paio di disegnini per mostrare la geometria di quanto ho descritto a parole. Aggiungo anche che, se lo scopo dei due concorsi era quello di invogliare gli studenti allo studio della chimica e della matematica, per me ebbero l'effetto opposto: peccato però perché sicuramente sarei riuscito meglio in uno di quei due campi che nella squallida informatica...

Nota (*1): “marmorea” nel senso che quello che leggevo/sentivo era come fosse inciso nel marmo!
Nota (*2): ricordo anche che il professore lo elogiò dicendogli che non ci sarebbe stato bisogno di usare dei teoremi di geometria semi sconosciuti! Cosa che io interpretai un po' come barare: se era un concorso per studenti delle superiori si dovevano usare e conoscere solo gli strumenti a nostra disposizione ovvero studiati in classe.
Curiosamente però il vincitore aveva solo fatto quello che, sull'onda dell'entusiasmo, avrei fatto anch'io partecipando al concorso di chimica! Anche se, ripensandoci, per il concorso di chimica dovevo riequilibrare il vantaggio degli studenti provenienti dagli istituti tecnici... uhm...
Nota (*3): oltretutto quando qualche giorno dopo, in classe, la professoressa mi chiese com'era andata non ebbi neppure la prontezza di risponderle che avevo fatto tutto bene “ma...” e le borbottai semplicemente “ottavo”...

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