Riflessione fatta ieri in autobus. Proprio mentre stavo scendendo ho visto, anzi ho intuito, la seguente vicenda: una signora di mezz’età aveva lasciato il proprio posto a sedere a un anziano accanto a una ragazzina che invece, armata di telefonino e auricolare l’aveva completamente ignorato. Ho avuto la sensazione che la signora avesse fatto un qualche commento pungente alla ragazza e questa da parte sua, con sicumera tipicamente giovanile, si era limitata a darle un'occhiataccia irritata, inarcando un sopracciglio, e guardandola dal basso in alto. Ma come detto stavo scendendo dall’autobus e quindi potrei anche essermi immaginato tutto.
Comunque ho iniziato a riflettere sull’episodio, immaginandomi di fare da arbitro tra la signora e la ragazzina.
Sarebbe facile scaricare tutta la colpa sulla ragazza e sulla scarsa educazione che, evidentemente, non ha ricevuto dai genitori. Eppure, se io fossi stato al posto della signora, la mia reazione spontanea al comportamento della ragazza sarebbe stata di indifferenza.
Da una parte, quasi filosoficamente, credo che si debba fare ciò che è giusto indipendentemente da quello che fanno gli altri ma, in secondo luogo, e questa credo sia la ragione più profonda della mia indifferenza, sono ormai da anni giunto alla conclusione che non si debba giudicare il comportamento altrui.
Raramente infatti siamo a conoscenza di tutte le informazioni necessarie per valutare correttamente e, la maggior parte delle volte, rischieremmo di essere presuntuosi cercando di insistere a giudicare gli altri.
Credo che questa sia una lezione che dovrebbe venire con l’età, essere cioè più longanimi verso il prossimo, anche se talvolta (e accade anche a me) al contrario si diventa troppo sicuri delle proprie idee e convinzioni e quindi, paradossalmente, complessivamente meno tolleranti.
Eppure l’aver dato nel passato molti giudizi errati ci dovrebbe aver messo in guardia dalla presunta veridicità delle nostre opinioni: l’aver giudicato male molte volte dovrebbe essere un ammonimento a usare maggiore cautela nel futuro. Ma raramente è così…
E qui viene la seconda parte della mia riflessione: perché l’uomo con l’età, invece di divenire più comprensivo, tende a irrigidirsi nelle proprie convinzioni quando proprio l’esperienza degli anni dovrebbe avergli insegnato a fare il contrario?
Io credo che sia il risultato di diversi effetti psicologici.
Il primo mi pare sia una generalizzazione di quello detto di “confirmation bias” (*1): indipendentemente dalla nostra opinione originaria, quando si viene a sapere qualcosa su una persona, ci ricordiamo tutti i dubbi che potevamo avere avuto su di essa che confermano la nuova informazione e, contemporaneamente, dimentichiamo i nostri giudizi che magari si sono dimostrati incorretti.
In altre parole tante volte giudichiamo male ma, nel tempo, ci convinciamo del contrario, ovvero di aver giudicato bene!
Questo, invece di renderci più scettici, ci rende erroneamente più sicuri del nostro giudizio.
Col tempo poi molte sicurezze svaniscono col risultato che l’uomo tende ad abbracciare più fortemente quelle che gli rimangono e, fra queste, più forte si afferra la certezza nel proprio giudizio.
Infine c’è la sopravvalutazione delle proprie conoscenze. L’esperimento che dimostra il fenomeno è piuttosto carino: vengono proposte delle domande con risposta numerica (come, ad esempio, un anno) e si richiede all’intervistato di rispondere dando un intervallo, grande a piacere, in maniera da rispondere erroneamente, al massimo, a una domanda. Logicamente si potrebbe rispondere dando intervalli amplissimi e non “sbagliare” così nessuna risposta ma invece si tende a sopravvalutare l’esattezza delle nostre convinzioni finendo così per fornire intervalli troppo stretti e sbagliando diverse risposte!
In altre parole la nostra tendenza al presumere di sapere è molto forte e questo ci porta a voler dare giudizi anche quando non abbiamo tutte le informazioni per farlo.
Recentemente (beh! Ormai circa quattro anni fa!), all’epoca dei mondiali del 2014, avevo fatto delle previsioni che si erano poi rivelate sostanzialmente sbagliate. Analizzandone il motivo mi ero reso conto che io, come non esperto di calcio, di alcune nazionali non sapevo assolutamente niente: sì, magari sapevo che 4 o 5 avevano buoni giocatori e che dovevano quindi essere a loro volta discrete ma, se non si conosce la forza relativa delle altre squadre, com’è possibile trarre conclusioni attendibili?
Per poter fare una previsione credibile si dovrebbe aver visto per ogni squadra almeno un paio di amichevoli precedenti all’inizio del mondiale…
Proprio per questo motivo all’ultimo mondiale mi sono astenuto dal fare previsioni: l’unica che avevo fatto (che però era più un’attestazione di simpatia) era che l’Islanda sarebbe andata meglio del previsto: sfortunatamente era finita nel girone forse più difficile venendo così eliminata subito…
Insomma dare giudizi è una tentazione molto forte alla quale non sempre sappiamo resistere. Eppure il detto socratico di “sapere di non sapere” si dovrebbe applicare anche alle nostre convinzioni.
Conclusioni: in realtà personalmente un po’ sto migliorando da questo punto di vista perché, come detto, mi viene naturale ma anch’io dovrei applicarmi di più. Ma questo è un altro dilemma interessante: è giusto forzarci a seguire un comportamento che non ci viene naturale o anche questa sarebbe una forma di presunzione di sapere (erroneamente) cosa sia meglio per noi stessi?
Nota (*1): non ricordo se questo sia il nome corretto, se ne avessi scritto al tempo del corso di psicosociologia ed, eventualmente, come l’avessi tradotto in italiano...
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