Sono tante le cose per le quali ringraziarti.
Su tutte, una.
Ricordi quanto la nonna, tua madre, ci mettesse tutte in guardia contro “le amiche”? Insisteva a dirci che non dovevamo fidarci di nessun estraneo, mai e poi mai. Ma “le amiche” erano a suo avviso da temere più di ogni iattura (mia madre, infatti, non ne ha mai avuta una: almeno, non da che ho memoria).
Tu invece ti muovevi al centro di un colorato universo femminile. Dal mio angoletto buio e desolato, tutto scuolachiesasport, i primi ricordi che ho di te sono un rutilare di gonne fiorite, orecchini lunghi, occhi bistrati, grandi cappelli di paglia (erano gli anni '70). Gruppi di donne, insieme. Un plurare femminile solidale. Vi ascoltavo ridere e parlare. Avevi sostituito quella madre austera e terribile con un mondo di amichesorelle. Le tue amiche erano tutte interessanti, mai banali. “Mi piace avere amiche dalle quali imparare”, dicevi. L'invidia ti era sconosciuta. Con le tue mani eleganti e intelligenti, dalle dita affusolate artistiche, mi passavi un testimone di ribellione e sorellanza. Una cultura della relazione al femminile, l'unica che -in me- ha attecchito. Me l'hai trasmessa con quel sorriso che ti illuminava gli occhi prima ancora di allargarsi fra le labbra: tenendomi in braccio (un mostricino dai capelli lanosi biondorossicci che si aggrappava alle tue trecce nere), e poi per mano.
Nel deserto accidentato della mia vita sentimentale, gli unici fiori che resistono li ho imparati da te: le mie amiche.
Grazie, zia...
Il figlio della Concetta
11 ore fa
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