Mi è difficile scrivere questo pezzo: ho rimandato a lungo e ho preparato appunti ma nonostante tutto ancora non sono sicuro su come procedere.
Oltre a essere molto coinvolto ho l'abitudine di insistere sulla mia prospettiva, di esporre le mie riflessioni, di sezionarmi e analizzarmi: più volte ho dovuto ripetermi che non devo parlare di me ma della mamma!
Così, alla ricerca di una buona ispirazione, ho girato la casa attento a cogliere le sue numerose tracce e, infine, ho deciso di partire dalla seguente foto:
Credo sia stata scattata a pochi giorni dalla mia nascita se non il giorno stesso ed è quindi particolarmente appropriata a questo giorno. È una foto molto bella: da una parte c'è lo sguardo pieno di tenerezza e amore incondizionato di mia madre, dall'altra ci sono io che sembro guardarla serio e imbronciato.
Probabilmente la mia espressione cupa è solo un'illusione ottica eppure tale foto fu presaga del rapporto che ho poi sempre avuto con la mamma: negli anni successivi lei ha sempre proseguito a stravedere per me, anzi so per certo che ha troncato di netto amicizie che duravano da anni soltanto perché io ero stato sfiorato da un commento lievemente negativo; io invece sono sempre stato insofferente a tutte le sue attenzioni e, anzi, le trovavo soffocanti come un maglione di lana pesante indossato in un'afosa giornata estiva.
Se ci capitava di passare del tempo insieme dopo tre giorni si litigava. Il problema non era la mancanza di affetto: ma l'amore finiva sempre affogato nella reciproca incomprensione.
Ovviamente lei mi conosceva bene e, probabilmente, sapeva leggermi meglio di molte altre persone: ma eravamo troppo diversi e, anche se le sue intuizioni talvolta erano corrette, finiva sempre per non capire il filo dei miei pensieri col risultato che il suo intervento o le sue parole facevano peggio che meglio.
Onestamente io non sono la persona più facile da capire e, forse, proprio per questo ho sempre anelato (vanamente!) alla comprensione: sono sempre stato invidioso di chi riusciva ad avere un rapporto di complicità con la propria madre... io invece non le raccontavo mai niente...
Questa incomprensione era particolarmente evidente nei suoi regali che, indipendentemente dal loro costo, mi erano sempre indifferenti. Anche lei lo sapeva e negli ultimi anni ci scherzava regalandomi dei pensierini volutamente assurdi, tipo: una piccola bussola, dei soldatini di plastica, un libro sull'allevamento dei criceti, un coltellino svizzero e, magari, un timbro col mio nome...
Ricordo che anche l'ultima volta che venne a trovarmi in Olanda, all'epoca vivevo in un piccolo appartamento a Leiden, volle farmi dei regali. Avevo accettato la mamma come mia ospite dato che, almeno, i molti mesi di separazione mi rendevano più paziente e comprensivo nei suoi confronti.
Una sera, tornato da lavoro, scoprii che mi aveva portato un piccolo tavolino tondo di legno e una strana sedia (ammesso che non fosse qualcosa d'altro!) bassissima. Mi raccontò che aveva comprato questi regali dall'altra parte della cittadina e che li aveva portati a mano a casa mia: quando era stanca semplicemente si fermava e si sedeva sulla sedia accanto al tavolino, incurante degli sguardi divertiti dei ligi e ordinati olandesi!
Tavolino e sedia mi seguirono nel mio trasloco verso la Spagna. Quando invece decisi di tornare in Italia li lasciai a Madrid. Fu una decisione molto sofferta: nella mia Micra non ci stavano e l'alternativa era affidarmi a una ditta di traslochi internazionali con relativo costo salatissimo. Eppure fui comunque tentato di farmi spennare pur di non abbandonare questi ricordi della mamma (che nel frattempo era morta da poco più di un anno).
Alla fine li regalai a un mio amico non particolarmente entusiasta: lo istruii dicendogli che se in futuro gli avessi chiesto di questi mobili, specificandogli “a cui tengo molto”, mi avrebbe dovuto dire che li conservava sempre con cura. Per sicurezza non gli ho poi mai chiesto cosa ne abbia fatto...
Figlio crudele e senza cuore? Forse... ma a mia discolpa posso aggiungere un altro aneddoto.
Quando mi trasferii dall'Olanda trovai, nascosto in un armadio, un piccolo fagottino di plastica con su scritto “Per quando torno. La mamma”. A occhio conteneva delle ciabatte e poco altro. Lei non ebbe più modo di venirmi a trovare ma quel pacchettino lo portai in Spagna con me e, da là, mi ha seguito in Italia.
Ce l'ho ancora e non l'ho mai aperto: adesso è disperso in un armadio, appena lo trovo pubblicherò anche la sua foto.
Sì, alla mamma piacevano i pensierini e per questo mi riempiva di mille piccole attenzioni.
Vedete la foto?
Sembra un fogliaccio, vero?
Aprendolo ci si accorge che è una piccola busta con scritto “Soldino svizzero.”
E dentro, in effetti, c'è una piccola monetina svizzera...
Questa era la mamma! Un ricordo completamente inutile il cui unico significato era quello di dirmi che mi aveva pensato...
Oppure questo aggeggino che trovai spillato al mio materasso (dov'è tuttora)...
Suppongo che avrebbe dovuto proteggermi o farmi dormire bene...
Non è che la mamma credesse nella magia: semplicemente avrà pensato che si trattasse di un'idea buffa e simpatica e che, comunque, male non faceva: in definitiva un'altra delle sue piccoli attenzioni...
Come si intuisce da questi pochi esempi mia mamma era una persona molto fuori dal comune: aveva un'idea tutta sua della moda, che rimarcava la sua diversità piuttosto che nasconderla. Ecco, la mamma dava nell'occhio, si notava e si faceva notare.
Ogni tanto le venivano delle idee che la maggior parte delle persone avrebbe definito sciocche o assurde (il commercio del pepe, l'acquisto di una piccola quota di un cavallo da corsa...) ma a lei non importava e vi ci si dedicava con impegno.
Ricordo, ad esempio, che per qualche anno si convinse che la gente buttasse nella spazzatura oggetti bellissimi, da “antiquariato”, e per questo, quando passando davanti a un cassonetto scorgeva qualcosa di interessante, non esitava a fermarsi e a portare a casa le sue scoperte: tipo una sedia rotta, un lampadario rotto, un vassoio rotto (o almeno sbrecciato o ammaccato!) e altra roba sempre e comunque rotta...
Sapeva essere anche molto convincente e, se era con un'amica, la coinvolgeva nell'impresa: suppongo che le amiche la trovassero molto divertente per questa sua capacità e coraggio di fare ciò che le pareva; con lei facevano “pazzie” che da sole non avrebbero mai fatto...
Questa specifica passione terminò bruscamente: un giorno vide un tappeto “bellissimo” che rapidamente (forse per paura che i proprietari tornassero a reclamarlo...) caricò in macchina senza guardarlo per bene. Arrivata a casa scoprì però che il tappeto nascondeva al suo interno un'enorme macchia di sangue e, questa volta un po' disgustata, lo riportò al cassonetto dove l'aveva trovato...
Un'altra passione, stavolta più normale, era ad esempio la sua collezione di civette:
Chi la conosceva e voleva farle un pensiero gradito, senza sforzarsi di indovinare i suoi gusti particolari, le regalava una civetta: molte infatti gliele ho regalate io! Comunque alcune di queste civette sono piuttosto interessanti e provengono da ogni parte del mondo...
La mamma era affascinata dalla simbologia della civetta: dal suo mistero, dalla sua magia. Anche lei era misteriosa e un po' magica: aveva infatti un notevole sesto senso e si divertiva a fare i tarocchi. Ah... per non parlare del periodo del “pendolino”: non entro nei dettagli ma era divertente!
Ma più che una maga doveva sentirsi un po' strega: di quelle belle e ammaliatrici però, tipo Circe!
Non è forse un caso la predilezione per il suo gatto nero Eolo: da bambina non aveva mai avuto animali domestici, con mio padre scoprì i cani a cui voleva sì bene ma senza stravedere...
Poi un giorno arrivo il gatto nero e con lui fu subito amore (ricambiato): da lei Eolo si faceva fare di tutto sempre ronfando felice. All'epoca avevamo anche una barboncina, Gaia, che era gelosissima di Eolo e che, quando la mamma lo coccolava, si dava un gran da fare saltellando e guaendo intorno ai piedi della padrona per ottenerne l'attenzione: la mamma però, dopo aver sbaciucchiato il gatto per alcuni minuti, liquidava la povera canina con una pacca veloce sulla testa dicendole “e tu sei la più bella, sei la reginella”...
Aggiungo anche che lei chiamava ironicamente Eolo il suo “bambino buono e ubbidiente” mentre io, evidentemente, ero quello “cattivo” che non le dava retta!
Ecco: adesso di aneddoti da raccontare me ne stanno tornando molti a mente ma credo di aver già reso l'idea...
Ho riletto quanto scritto appuntandomi gli aggettivi con cui l'ho definita: per evitare di darne un'impressione fuorviante aggiungo qualche precisazione.
Aveva un suo senso dell'umorismo ma molto diverso dal mio: più semplice e concreto che spesso sfociava in una risata sguaiata soprattutto se aveva bevuto un po' di vino ed era nella giusta compagnia. Amava fare regali e pensierini non solo a me ma a tutte le persone che le stavano a cuore e, talvolta, anche a quelle appena conosciute se le davano la giusta “sensazione”: io la consideravo generosa, altri semplicemente spendacciona. Difficile spiegare in cosa fosse fuori dal comune: la sua eleganza/stravaganza nel modo di vestire era solo il riflesso esteriore della sua diversità nel modo di sentire e di vedere...
Per finire questa breve panoramica devo aggiungere un particolare importante del suo carattere del quale non ho accennato: era generosa, aveva una sensibilità complicata e non si tirava mai indietro per aiutare parenti e amici MA non era una donna gentile e mite! Aveva un carattere forte e poco diplomatico: non ingoiava a lungo molti rospi e le bastava subire qualche torto (anche non lei direttamente) ed esplodeva facendo grandi scenate: sorprendentemente rimetteva sempre tutti in riga e riceveva anche delle timide scuse!
Voglio infine aggiungere qualche suo modo di dire, parole che ancora mi riecheggiano nella testa nella loro particolare intonazione:
Scuotendo la testa con rassegnazione: «Il mondo è dei furbi» → quando facevo la cosa giusta indipendentemente dalle conseguenze (per me) negative...
Sorridendo furba: «La pulizia sta male solo nel portafoglio» → quando non mi lavavo...
Ti capisco (sospirando) ma...: «La terra è bassa» → quando dovevo tagliare l'erba o mi faceva fatica fare qualcosa...
Sorridendo comprensiva: «Meglio un ciuchino vivo che un dottorino morto» → quando non passavo un esame...
Con entusiasmo: «Le mie sorelle sono bravissime ma le mie nipoti sono eccezionali!» → per farmi sentire in colpa... ...scherzo! Glielo sentii ripetere più volte durante gli ultimi mesi della malattia: non so se l'avesse detto direttamente anche alle mie cugine ma mi pare giusto e carino farglielo sapere adesso!
La mia conclusione è ovvia: adesso, anche nelle estati più torride, ogni tanto un brivido di freddo mi attraversa il cuore, e allora rimpiango di non venire più avvolto dal fastidioso maglione di lana pesante con cui la mamma mi abbracciava.
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