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giovedì 19 maggio 2016

Bacche e shopping

Per evitare futuri imbarazzi devo iniziare con una premessa.
Io mi considero una persona molto creativa: la semplice varietà dei pezzi pubblicati su questo viario, mi pare, lo dimostra ampiamente. Anzi, non mi vanto della mia fantasia ma solo per modestia!

Eppure un amico che mi conosce bene mi ha ripreso un paio di volte accusandomi di aver “rubato” un'idea da altre fonti. A dire il vero le sue argomentazioni non mi hanno mai convinto del tutto ma comunque mi hanno dato materiale su cui riflettere.

Sono giunto alla conclusione, particolarmente palese leggendo i pezzi di questo viario, che quando leggo una teoria che condivido tendo a farla mia o, almeno, la integro così profondamente con ciò in cui già credo che mi diventa poi difficile individuare dove inizia e dove finisce quello che era il pensiero altrui...
Ad esempio ormai, sulla libertà di pensiero, non so più distinguere chiaramente la posizioni originale di John Stuart Mill dalla mia, lo stesso vale per le varie teorie sui miti, etc: probabilmente qualcosa di analogo mi accadrà fra qualche anno con Kant (*1)(*2).

Ho scritto questa lunga premessa perché sono particolarmente dubbioso di essere l'ideatore originale della seguente teoria. In genere non ho dubbi (magari sbagliandomi) ma in questo caso direi che c'è un buon 20% di probabilità che la provenienza della seguente idea non sia completamente mia.

La teoria non è niente di particolarmente profondo e, anzi, sarebbe forse più corretto chiamarla intuizione visto che non è basata su dati certi ma solo su osservazioni superficiali.
L'intuizione/teoria vuole dare una risposta alla domanda “Come mai le donne, a differenza degli uomini, amano fare shopping con le amiche?”
Uso il termine inglese shopping perché non mi viene in mente un equivalente italiano ugualmente espressivo: per shopping non intendo infatti il semplice “fare la spesa” quanto il vagare di negozio in negozio controllando attentamente il contenuto delle vetrine.
La mia (forse) teoria è che questo specifico comportamento femminile abbia origini ancestrali: quando l'umanità era formata da piccole tribù di cacciatori/raccoglitori, le donne andavano per boschi e praterie alla ricerca di bacche, frutta, radici e funghi. È ovvio però che non girovagavano a casaccio senza meta ma si dovevano ricordare esattamente i luoghi dove potevano trovare detto cibo: quando li raggiungevano prendevano quello che potevano e valutavano quando sarebbe stato il momento di ripassarci. E ovviamente camminavano sempre con gli occhi aperti pronte a scoprire nuove opportunità nella forma di nuove zone di raccolta.
E che differenza c'è fra il controllare i prezzi di una vetrina e il verificare la maturazione delle bacche di un cespuglio? O fra lo scorgere l'insegna di un nuovo negozio e il notare i fiori di un ciliegio nascosto da altra vegetazione?
Credo quindi che alle donne piaccia fare shopping perché viene loro istintivo e naturale. Parimenti gli uomini lo trovano frustrante perché non hanno lo stesso istinto e quindi considerano il “girare a vuoto” da negozio a negozio solo uno spreco di tempo...

Una teoria forse faceta ma che dà una giustificazione estremamente plausibile a una diversità di comportamento non facilmente spiegabile altrimenti.

Conclusione: ma non sarà una teoria un po' maschilista? Dipende: è maschilista supporre preferenze biologiche nel comportamento di uomini e donne?

Nota (*1): da questo punto di vista è particolarmente utile confrontare insieme i pezzi Abbasso le bugie bianche e Bugie a fin di bene scritto circa 5 anni prima, di cui non ricordavo neppure l'esistenza, e basato interamente sul mio pensiero visto che di Kant non sapevo niente!
Nel primo pezzo l'argomentazione di Kant è che le bugie sono sbagliate di per sé indipendentemente dalle conseguenze; nel pezzo di cinque anni fa invece la mia argomentazione principale è che l'uomo non ha né il diritto né le capacità per manipolare un'altra persona. Usando le parole di Kant l'uomo deve essere sempre considerato come un fine e mai come un mezzo. E questo è un altro dei capisaldi della morale kantiana.
Credo che, dopotutto, sia normale combinare insieme pensieri molto simili fra loro: e a quel punto diventa tutta “roba mia”! Ad esempio la distinzione fra il dovere kantiano e il dovere di KGB è praticamente inesistente: perché sforzarsi di ricordare sottili distinzioni nella forma d'espressione in cui tali concetti sono espressi?

Nota (*2): In realtà questa mia flessibilità e adattabilità mentale è qualcosa di cui sono molto contento: non ci vedo niente di sbagliato a cambiare opinione o, più correttamente, a evolverla considerando altre idee e punti di vista. Come ho scritto altrove è lo stesso approccio che mi rende vulnerabile nelle discussioni: cerco veramente di capire il punto di vista del mio antagonista per, eventualmente, accettarne alcuni punti ma, in tale tentativo, perdo temporaneamente il contatto con le mie idee!

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