Ho un dilemma. Oggi ho riletto l'introduzione del 1886 e onestamente, dopo la lettura del libro, mi è parsa estremamente chiara. Inoltre dà un rapido sguardo all'intero libro che era ciò che avevo in mente di fare io...
Mi è quindi venuta la tentazione di commentare dettagliatamente questa introduzione, divisa in sette brevi capitoli, e poi, nei prossimi episodi di questa serie limitarmi a estrarre dal libro i passaggi che mi sembrano più importanti o interessanti. Tutto sommato credo che in questa maniera verrà fuori un lavoro più completo: la controindicazione è che, per la noia dei miei lettori, questa serie avrà un pezzo in più!
Come ho scritto, la prefazione Tentativo di un'autocritica è divisa in sette capitoli: procediamo quindi con ordine.
Nel primo capitolo Nietzsche si lamenta di aver affrontato questioni estremamente complesse e rivoluzionarie quando ancora non era pronto per farlo. Non solo: la giovinezza e l'inesperienza gli hanno fatto scegliere un linguaggio e uno stile non adatti. Eppure ribadisce l'importanza della novità della propria intuizione: ovvero del valore del pessimismo che si concretizza massimamente nell'antica tragedia greca; al contrario la successiva serenità ellenica è già sintomo di una civiltà ormai in decadenza; Nietzsche vede l'origine di questo cambiamento di prospettiva nell'ottimismo socratico da cui fa derivare la fiducia nella capacità della scienza di risolvere qualsiasi problema. Quale sia effettivamente il valore del pessimismo lo spiega poi nel libro vero e proprio.
Dello stile del libro anch'io mi sono già lamentato e non aggiungo altro. Sull'importanza che Nietzsche attribuisce a Socrate rimando alle mie considerazioni in Los tres tenores dove considero quest'ultimo la pietra fondamentale su cui si è costruito l'edificio filosofico successivo.
Nel secondo capitolo Nietzsche sottolinea un'altra novità del suo pensiero (sebbene in questo libro rimanga ancora allo stato embrionale) ovvero la scienza percepita da un punto di vista artistico. E di nuovo si lamenta di quanto fosse giovane e impreparato quando scrisse la sua opera...
Confermo che nel libro di scienza si accenna appena: la si considera un'illusione che inganna l'uomo dandogli false speranze, l'estrema conseguenza della filosofia di Socrate. Ma come ho scritto in FNHM 4/? il problema fondamentale di Nascita della tragedia è la forzatura nel voler far derivare ogni teoria dall'esperienza artistica più profonda (connubio elemento apollineo e dionisiaco) della tragedia. Questo intorbida le acque e rende più oscure le idee che pure vi si percepiscono e che da questa radice si diramano.
Riguardo alla difficoltà di lettura Nietzsche scrive «Costruito sopra mille esperienze personali acerbe e immature che tutte rasentavano la soglia della comunicabilità, e messo sul terreno dell'arte, esso era forse un libro per artisti dotati anche di facoltà analitiche e retrospettive, cioè per artisti d'eccezione, pieno di innovazioni psicologiche e segreti estetici, con una metafisica estetica per sfondo; ...»
Di nuovo questa è esattamente l'impressione che ne ho ricavato io come ho scritto in FNHM 4/?.
Locuzioni come “metafisica estetica” possono sembrare assurde e prive di logica: sicuramente anch'io l'avrei pensata così qualche anno fa...
In FNHM 1/?, volutamente senza aggiungere alcuna spiegazione, avevo portato all'attenzione il mio pezzo Donne, discriminazione e arte. L'essenza di tale pezzo era l'intuizione dell'importanza dell'estetica nella visione della realtà: nello specifico mi soffermavo sulla donna ma lasciavo intuire che il concetto era ben più ampio («Quando [l'uomo primitivo] in un panorama ha smesso di vedervi solo eventuali pericoli o la prossima meta da raggiungere ma vi ha percepito un ideale di libertà e, genericamente, di bellezza.»).
È un'intuizione profonda eppure, se ci riflettiamo, è evidente anche dall'esperienza quotidiana: l'idea di compiere sempre scelte razionali è solo un'illusione, non solo per le piccole decisioni ma anche per le grandi. Basta pensare alle elezioni: l'italiano media fa una scelta ponderata e razionale? No! Si basa su impressioni, intuizioni e sensazioni che, in ultima analisi, non sono altro che valutazioni estetiche dove bello si confonde con buono, vero e giusto...
Il terzo capitolo è tutta un'invettiva, dalla quale comunque traspare amore e orgoglio, contro la propria opera con l'aggiunta di un'interessante considerazione finale sullo stile che avrebbe potuto/dovuto adottare...
Ricopio la parte iniziale dell'autocritica dell'autore: «Ripeto, oggi esso è per me un libro impossibile, e lo trovo mal scritto, pesante, penoso, frenetico e confuso nelle immagini, sentimentale, sdolcinato qua e là fino all'infemminimento, diseguale nel ritmo, senza volontà di nitidezza logica, molto persuaso e perciò dispensando sé stesso dal dimostrare...» e prosegue così per un'altra pagina e mezzo!
Di nuovo confrontare con l'autocritica che mi sono fatto per un particolare mio modo di scrivere simile a quello di Nietzsche: «Talvolta anch'io scrivo usando questo stile ma lo faccio con parsimonia, in genere se scrivo di notte, quando sono molto stanco e lascio correre le idee senza inibizioni. Non mi piace abusarne perché mi vergogno dell'esaltazione (**1) che talvolta, almeno a me, pare trasparire evidente. Preferisco essere più convenzionalmente chiaro, usando frasi semplici e non ambigue, pianificando attentamente i concetti che voglio esprimere e cercando di usare, per quanto mi è possibile, uno stile neutro e imparziale.» e nella nota scrivo: «Nota (**1): beh, è una mistura di emozioni diverse, con di volta in volta sfumature cangianti, ma tutte un po' troppo sopra le righe, leggermente oltre l'oggettivo e pieno controllo razionale.»
Interessante è anche l'osservazione di Nietzsche «Che peccato che io non abbia osato dire come poeta ciò che allora avevo da dire: forse l'avrei potuto!». In altre parole Nietzsche afferma che le immagini espresse dalla sua prosa avrebbero potute facilmente essere tradotte in poesia ottenendo forse un risultato migliore. Anch'io ho fortemente percepito questo aspetto dell'autore-artista, anzi poeta, che disegna immagini invece di illustrare concetti...
Il quarto capitolo è forse quello più critico e accenna a una debolezza di fondo di questa opera: certo non arriva a rinnegarla ma si rende conto di aver azzardato molto con un'intuizione senza basi solide. Nietzsche scrive infatti «Forse parlerei ora con più prudenza e meno eloquenza di un problema psicologico così profondo, qual è l'origine della tragedia presso i greci». In altre parole, lo chiarisce nel seguito del capitolo, Nietzsche mette in discussione l'equivalenza fra “grandi uomini = tragedia” e “ uomini minori = degenerazione tragedia”.
Si tratta infatti del problema che anch'io, a modo mio, avevo sintetizzato come «Ho la sensazione che Nietzsche abbia fatto uno sforzo enorme per forzare le sue idee filosofiche facendole derivare da un principio estremamente artificioso: la fusione nella tragedia greca dell'elemento apollineo con quello dionisiaco.
L'equazione è relativamente semplice: i più grandi uomini = gli antichi greci = antica tragedia → degenerazione della tragedia = degenerazione dei greci → passano molti secoli → rinascita dell'antica tragedia sotto forma di dramma = dramma di Wagner = rinascita del popolo tedesco.». È chiaro che questa lunga equazione perde di significato se si mina l'equivalenza che ne sta alla base...
Il quinto capitolo parla invece di tutta una serie di considerazioni che nel libro non ci sono ma che, comunque, sono le logiche conseguenze delle basi gettate. Nietzsche in pratica spiega che la direzione in cui si è poi evoluta la sua filosofia era già indicata in questa opera anche se, a quel tempo, vi aveva mosso solo pochi passi. In particolare Nietzsche pensa che sia proprio l'estetica e non la morale il fondamento della metafisica (ma nel libro l'unico accenno a questo concetto è dato dalla frase «...l'esistenza del mondo è giustificata unicamente come fenomeno estetico»).
Da cui deriva che lo stesso Dio ha creato la realtà come sua emanazione estetica e che quindi non ha senso parlare di bene e di male perché l'artista quando realizza un'opera non se ne preoccupa. Da cui, a sua volta, deriva l'inutilità della distinzione fra bene e male e quindi della morale stessa. Da cui deriva ancora la falsità del cristianesimo visto che esso è «la più vasta simbolizzazione del tema morale che l'umanità abbia udito finora». Infine, attraverso una lunga serie di passaggi, Nietzsche arriva alla conclusione che la morale, e quindi il cristianesimo, è contro la vita (preferendo a quella terrena quella futura nell'aldilà) e che per questo, istintivamente, essendo egli un paladino della vita, creò questa sua “contro-dottrina” “puramente artistica e anticristiana” che battezzò come dionisiaca.
Ma tutte queste idee nel libro non ci sono! Cioè c'è solo la premessa iniziale, ovvero che “la realtà = fenomeno estetico”. È buffo come Nietzsche tragga tutte queste conclusioni dal vago accenno presente in Nascita della tragedia. Ma dopotutto anch'io sono simile: quante volte rimando i miei lettori a frasi tratte da vecchi pezzi nei quali vedo già le larve di altre idee o problematiche? Deve sembrare un po' assurdo e forzato: come presentarsi a un eschimese (*1) e, facendogli vedere una ghianda, spiegargli che da essa può sorgere un'enorme quercia millenaria. Vero ma difficile da credere...
Nel sesto capitolo, di nuovo, Nietzsche si lamenta di come ha scritto il libro e in particolare della terminologia usata tratta da Kant e Schopenhauer quando però l'essenza delle problematiche che gli stavano a cuore erano ben diverse: come cercare di scrivere un libro di fisica usando la terminologia musicale o viceversa!
Però, dopo questa critica, ce n'è una seconda che, si percepisce chiaramente, ben più amara e sincera: Nietzsche riconosce di essersi illuso con la musica tedesca, che non ha niente a che vedere con la tragedia antica e che, in definitiva è solo romanticismo.
Come ho spiegato in FNHM 4/? lo scopo di fondo di questa opera di Nietzsche era quello di impressionare e godere dell'approvazione paterna di Wagner. Mi pare evidente dalla cocente delusione che traspare dalle parole di Nietzsche che la loro amicizia sia finita male: probabilmente, dopo l'approvazione iniziale, Wagner non lo ha seguito nei successivi sviluppi del suo pensiero e questo ha portato a un raffreddamento dei loro rapporti...
Ho dato un'occhiata su wikipedia (versione italiana: magari quella inglese o tedesca dicono qualcosa di più al riguardo) ma non ho trovato niente: solo un'allusione al fatto che, già nel 1880, Nietzsche accenna con una certa ironia a una biografia di Wagner...
Il settimo capitolo non sono sicuro di averlo capito: è colpa della traduzione però! Non si capisce quali siano domande retoriche e quale il vero pensiero di Nietzsche e quali le citazioni di Così parlò Zarathustra...
Ah... rileggendo attentamente credo di aver capito: ho notato delle piccole virgolette all'interno di altre!
Allora la domanda retorica che si chiede l'autore è: ma in fin dei conti Nascita della tragedia non è un libro romantico? Se così fosse si tratterebbe di un'illusione inebriante sì ma che alla fine non può sostenere a lungo un uomo che, esaurito l'impeto iniziale, dovrà ripiegare su più consuete filosofie (tipo cristianesimo).
A questa domanda Nietzsche risponde di no. Certo può comunque succedere (anzi è probabile) ma non è automatico o necessario. Il pericolo di chi vive nel pessimismo è che prima potrebbe cercare un conforto metafisico per poi ricadere nel cristianesimo. La discriminante è la sottostimata ironia: in questo caso l'ironia non serve per avere una visione ottimistica della vita ma per sopportarne la visione pessimistica!
Volevo qui citare un mio pezzo dove accennavo all'importanza dell'ironia ma non riesco a ritrovarlo.
Mi limito quindi a ricordare quanto l'ironia sia connaturata con KGB essendone parte integrante e fondamentale della personalità: al riguardo rimando a KGB le Origini: l'ironico...
Ah, aggiungo anche che in questa opera, a differenza di Al di là del bene e del male, non ho percepito il minimo accenno di ironia: forse era la ferma certezza giovanile nelle proprie idee a non ritenerne necessario il conforto?
In conclusione ancora non ho scritto del contenuto di Nascita della tragedia: certo, ormai si dovrebbero intuire quali siano le sue idee principali, ma in definitiva la prefazione di Nietzsche è una critica a posteriori e infatti, da qualche parte, scrive che avrebbe potuto essere una postfazione...
È interessante però notare che, ancora nel 1886, Nietzsche non avesse visto tutti i limiti della sua opera: alcuni sì, magari parzialmente, ma un paio di grosse incongruenze gli sono sfuggite. Magari nel prossimo pezzo della serie punterò il dito proprio su di esse!
Nota (*1): un eschimese, per capirci, tutto igloo e pesca, senza televisione né internet!
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