Sulla questione israelo-palestinese sono già stati scritti fiumi di parole e, da parte mia, l'interesse è sempre stato scarso. Per questo prima di oggi non avevo mai affrontato questo argomento spinoso.
Eppure le notizie drammatiche di questi giorni mi spingono, per quel poco che può valere, a scrivere qualcosa al riguardo.
Non starò a riesprimere l'ovvio, come lo sdegno per il massacro ingiustificato né giustificabile di civili che avviene ormai quotidianamente a Gaza, né tenterò un'analisi storica, per la quale mi mancano le conoscenze, né tenterò di riassumere ciò che sta avvenendo inquadrandolo in una logica unitaria né elencherò i torti e le ragioni. Piuttosto mi limiterò a tre argomenti: il motivo del mio scarso interesse, una considerazione strategica di fondo e una considerazione di politica attuale.
Il motivo del mio scarso interesse: fin da quando ero bambino, diciamo dalla scuola media in poi, ho ricordi dello strano conflitto israelo-palestinese. Strano perché anomalo: da una parte uno Stato pesantemente armato e dall'altra una popolazione armata per lo più di fionde e sassi.
Fin da subito mi è stato evidente che fino a quando la politica USA, tutta sbilanciata a favore di Israele, non fosse cambiata, la situazione non avrebbe potuto evolversi. In pratica di anno in anno le notizie si ripetevano: Israele abusava del suo sacrosanto diritto a difendersi dai terroristi con un eccesso di forza che colpiva, il più delle volte, civili innocenti. Più o meno questo è il mio solito pensiero quando leggo una notizia proveniente da quella regione.
Essendo una situazione “bloccata” il mio interesse è venuto da tempo meno.
Una considerazione strategica di fondo: come promesso non tento di spiegare dove stia la ragione in questo conflitto però voglio evidenziare, senza darle connotazioni morali, la follia della strategia politico-militare di Israele. Per parlare di strategia bisogna almeno inquadrare la situazione politica della regione.
Da una parte c'è lo Stato di Israele dall'altra la popolazione palestinese. Israele ha il totale appoggio degli USA. La popolazione degli stati arabi sarebbe fortemente a favore dei palestinesi ma, miracolo della “democrazia”, i loro governi al di là di qualche dichiarazione seguono fedelmente le indicazioni statunitensi. Poi c'erano altri stati con governi non certo filo-americani che appoggiavano i palestinesi ma non avevano, né hanno, la forza per opporsi direttamente a Israele e, figuriamoci, agli USA: mi riferisco a Libia, Siria, Iraq e Iran. A livello globale, con la caduta dell'URSS, è poi venuto meno l'elemento che poteva controbilanciare lo strapotere USA nella regione.
In questa situazione politica Israele ha, in pratica, la possibilità di fare quello che vuole: ha tutte le carte in mano e può scegliere la strategia che preferisce. Fra le varie opzioni c'è quella dell'uso, anzi dell'abuso, della forza: nel breve, forse medio periodo, nessuno glielo impedisce.
Ma nel lungo periodo a cosa porterà questa strategia se non a perpetuare l'odio fra israeliani e arabi?
E se, nel lungo periodo, i rapporti di forza cambiassero imprevedibilmente? Attualmente i terroristi palestinesi sono praticamente inoffensivi ma, per quanto improbabile, esiste sempre la possibilità che prima o poi riescano a fare un attentato clamoroso: se per vie traverse riuscissero a ottenere armi chimiche, biologiche o nucleari? La probabilità per quanto bassa non potrà mai essere nulla fin quando dall'altra parte c'è la ferma volontà di colpire.
Quindi, parlo dall'esclusivo punto di vista di Israele, se un giorno un attacco palestinese (o arabo) provocasse migliaia e migliaia di morti israeliani sarebbe valsa la pena di non aver voluto cercare un accordo per la pace? Secondo me la risposta è ovviamente no. Questa mi pare una straordinaria mancanza di lungimiranza politica da parte di Israele che adesso appare sostenibile ma che alla lunga sarà autolesionistica. I motivi di questa politica sono molteplici ma il principale, secondo me, è che nell'attuale gestione della situazione tutti ci guadagnano (fuorché i palestinesi) e il guadagno immediato fa perdere di vista il risultato a lungo termine.
Una considerazione attuale: ma perché proprio adesso questa escalation di violenza senza precedenti? Nel pezzo La fine della democrazia scrissi come la democrazia, in Italia ma anche nel resto del mondo, stia diventando ogni giorno sempre più fittizia. La mia conclusione fu:
«La democrazia è ormai una farsa il cui unico scopo è quello di legittimare un governo che faccia quello che vogliono i poteri forti tenendo al contempo tranquilla la popolazione dandole un'illusoria sensazione di controllo.»
Tornando al tema di questo pezzo credo che nel passato Israele temesse maggiormente l'opinione pubblica estera: forse adesso c'è invece la consapevolezza che l'opinione pubblica è manipolabile con tale facilità (vedi il paradosso italiano) che l'indignazione provocata in gran parte della popolazione mondiale non trova sbocchi politici e, sostanzialmente, può essere ignorata.
Alle tre precedenti osservazioni ne aggiungo una quarta che mi è venuta in mente mentre scrivevo. Quale scopo si propone di raggiungere Israele con questa ondata di violenza?
Il fatto che si colpiscano deliberatamente obiettivi civili mi fa ipotizzare che questo possa essere il preludio a una nuova fase del conflitto: generare un'ondata di profughi palestinesi da far uscire dal paese, tramite un corridoio umanitario, magari in Libano. Rendere cioè i territori palestinesi così inabitabili da convincere gli abitanti ad andarsene e, contemporaneamente, forzare i paesi confinanti ad accoglierli per motivi umanitari. I territori abbandonati verrebbero poi occupati da Israele. Fantapolitica? Forse, ma vedremo...
L'esempio di Benjamin Franklin
3 ore fa
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