Qualche settimana fa, parlando con un mio amico, gli raccontavo dei libri che stavo leggendo e, arrivato a Karl Popper, feci presente le mie usuali critiche (v. il corto Fuffatore): parecchia fuffa, sopravvalutato, evidentemente "sapeva vendersi bene" e simili…
Con mia sorpresa l’amico reagì negativamente a questi miei commenti: da quel che mi parve di capire la sua obiezione era qualcosa del tipo “Se Popper è un filosofo così famoso allora non può essere un fuffatore come dici tu”. Un argomento essenzialmente basato sull’auctoritas (v. Auctoritates, auctoritas e bifidus actiregularis)…
Il mio approccio, a un me alternativo, sarebbe stato: “Ah, davvero? Interessante: perché?”
Sarei stato curioso di scoprire il modo di ragionare dell’amico e, solo in seguito, in base alle sue argomentazioni mi sarei chiesto come conciliare l’evidente antinomia fra l’opinione dell’amico e la reputazione del filosofo.
Come potete immaginarvi feci finta di niente e passai al libro successivo: non mi va di fare discussioni faticose su questioni dove ho già le idee chiare e che, sostanzialmente, sono di principio.
Oggi ho ripreso “Miseria dello storicismo” e, appena iniziato il capitoletto intitolato “La teoria olistica degli esperimenti sociali”, mi sono detto che era un esempio di ovvietà paludata da profonda riflessione.
Perché quindi non farne un pezzo per dare almeno l’idea ai miei lettori di cosa intendo quando scrivo di trovare Popper superficiale o addirittura banale?
Nel primo paragrafo Popper spiega quale sarà l’obiettivo del capitolo: demolire la tesi del pensiero olistico secondo cui «gli esperimenti sociali, per essere realistici, devono avere il carattere di tentativi utopistici di rimodellare la società intera.» (*1)
Ovvero, date le interrelazioni esistenti fra i singoli aspetti di una società, è impossibile modificarne solo una parte ma si deve applicare un approccio complessivo, cioè olistico.
A me pare evidente che questo aspetto dell’approccio olistico sia assurdo: la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la sua impraticabilità. È ovvio che i cambiamenti devono essere graduali. E comunque, assumendo che in linea teorica fosse possibile sperimentare su tutta una società, come sarebbe poi possibile valutare l’efficacia del nostro intervento? Avevo in mente le ricerche mediche che di solito sperimentano su due gruppi di pazienti: a uno viene dato il farmaco che si vuole sperimentare e all’altro invece un placebo. Solo confrontando i diversi risultati ottenuti da questi due gruppi è possibile determinare quanto un farmaco sia effettivamente statisticamente efficace.
Questo il mio pensiero basato su due secondi di riflessione (*2). Subito ho aggiunto il mio scolio: «[KGB] Ora P. dimostrerà che una cazzata è una cazzata».
Questo a pagina 93. Le successive tre pagine le ho commentate con «Banalità». Per dare un esempio: nella fisica gli esperimenti sono in condizioni super controllate per essere sicuri del risultato, oppure l’ingegnere non costruisce dal nulla un aereo ma prima ne sviluppa le singole parti e ha tutta una teoria basata su una lunga sperimentazione alle proprie spalle.
Poi però da pagina 97, già mentre leggevo, il pezzo che avevo in mente di scrivere ha iniziato a cambiare forma: Popper continuava a evidenziare banalità ma che però avevano il pregio di essere applicabili alla situazione socio-politica attuale.
Sono delle ovvietà che io da tempo vado ripetendo e che, forse, quasi do per scontate tanto mi appaiono scontate. Popper invece, che su queste banalità ha basato il suo intero libro, si sofferma su questi concetti approfondendoli a un livello che a me pare addirittura superfluo.
Ma ecco qua: «Tutti abbiamo la debolezza di voler avere sempre ragione, e questa debolezza sembra particolarmente diffusa tra gli uomini politici, sia professionisti che dilettanti.» (*3)
Questo comportamento è spiegato in psicosociologia: il suo scopo è quello di proteggere la nostra autostima.
Ricordo che ne scrissi quando spiegai che difficilmente i politici che hanno gestito malamente la pandemia ammetteranno di aver fatto degli errori perché, in questo caso, non solo la loro autostima ma probabilmente anche la carriera sarebbe messa a rischio. Più facile convincersi di essere stati degli statisti geniali che ammettere di essere politicastri incapaci.
Il bravo politico, consapevole che solo chi non fa non sbaglia dovrebbe osservare criticamente il proprio operato alla ricerca di eventuali errori in maniera da poterli correggere e non ripetere: «Tenersi pronti a scorgere questi sbagli, trovarli, metterli bene in vista, analizzarli e imparare da essi, ecco cosa dovrebbe fare uno scienziato politico e anche un politico che abbia in giusta considerazione il metodo scientifico.» (*3)
Mi pare evidente che in Italia, ma lo stesso sostanzialmente vale per l’intero occidente in decadenza, di “scienziati politici” non ne abbiamo. I nostri politici che ci hanno guidato attraverso la pandemia confondevano il “metodo scientifico” con le indicazioni che gli arrivavano dalle lobbi del farmaco, prendevano per veritieri dei semplici comunicati stampa e ignoravano invece i risultati di molteplici ricerche scientifiche…
«Il metodo scientifico nella politica significa che alla grande arte con cui ci autopersuadiamo di non aver fatto sbagli – o facciamo finta di non vederli, o li nascondiamo, o ne diamo colpa ad altri – sostituiamo l’altra assai più grande di accettare la responsabilità dei nostri sbagli, di cercare di trarne una lezione e di mettere in atto le conoscenze così acquisite in modo da evitare gli stessi sbagli in avvenire.» (*3)
Quante volte ho scritto parole di questo tenore? Quante volte ho scritto della corsa allo scaricabarile delle responsabilità? Dei disastri trasformati in successi grazie ai media compiacenti?
Finalmente a pagina 98 Popper propone, a modo suo, la mia obiezione sulla difficoltà di riconoscere le diverse relazioni causali quando troppe variabili fossero in gioco: «Poiché tanti atti sono eseguiti contemporaneamente, è impossibile dire di un qualunque risultato da quale delle misure derivi [...]» (*4)
Con mio stupore, verso la fine della stessa pagina 98, ho trovato un concetto interessante e al quale non avevo mai pensato prima!
«Il pianificatore olistico dimentica che è facile centralizzare il potere, ma impossibile centralizzare tutte quelle cognizioni che sono distribuite fra molte menti individuali, e la cui centralizzazione sarebbe necessaria per esercitare saggiamente il potere centralizzato» (*4).
In questo caso il mio scolio è stato: «Vero e interessante (!)». Il punto esclamativo fra parentesi era per evidenziare la mia sorpresa.
Ma a pagina 99 in alto una nota spiegava che questo concetto che mi era così piaciuto non è originale di Popper che cita invece “Collectivist Economic Planning” di un certo Hayek!
Il mio commento a margine: «A ecco: non era farina di P.!! Ah! Ah!». Mi aveva divertito il fatto che un po’ a malincuore avevo attribuito a Popper il giusto merito per però scoprire subito dopo che non era suo…
Comunque mentre leggevo queste pagine mi sono reso conto che dal 2020 abbiamo vissuto un grande esperimento olistico: la gestione della pandemia che ha stravolto la società occidentale e le sue abitudini.
Diventano quindi applicabili le obiezioni che Popper rivolge a questo tipo di gestione della società.
Per esempio è un dato di fatto che la società, le persone in generale, non amano i cambiamenti e quindi tendono a opporsi alle novità. Per questo «il pianificatore olistico è costretto a cercar di semplificare i suoi problemi eliminando le differenze individuali; per mezzo dell’educazione e della propaganda egli deve cercar di dominare gli interessi e le credenze e ottenere che siano stereotipizzati. Ma questo tentativo di esercitare il potere sulle menti […] è evidentemente incompatibile col libero pensiero, e specialmente con il pensiero critico.» (*5)
A me ricorda il pensiero maggioritario ([E] 10.6), no? Evidentemente Popper non sapeva che il “pensiero critico” è fatto esclusivamente di bufale e che i buoni cittadini devono essere protetti da esso grazie alla censura!
Pagina 100 inizia con una bel paragrafo: ma di nuovo non è il pensiero di Popper ma una citazione: «Il Tawney conclude una discussione su Lutero e il suo tempo con le parole: “Scettica riguardo all’esistenza dei liocorni e delle salamandre, l’epoca del Machiavelli e di Enrico VIII dette esca alla sua credulità adorando quel mostro rarissimo, il Principe timorato di Dio”. Qui al posto delle parole “liocorni e salamandre” sostituisci due nomi moderni che evidentemente vi corrispondano, e alla frase “Principe timorato di Dio” sostituisci “la benevola autorità pianificatrice”; e avrai una descrizione della credulità del nostro tempo.» (*6)
Questo concetto non suona nuovo, vero?
E infatti pochi giorni fa, in Vecchi e nuovi tempi, citavo il seguente passaggio di De La Boétie: «È davvero pietoso ricordare quanti stratagemmi abbiano messo in atto i sovrani di un tempo per impiantare la loro tirannia, di quali mezzucci si siano serviti trovandosi davanti una plebaglia fatta apposta per loro, incapace di evitare qualsiasi trabocchetto che le venisse teso, ingannata con estrema facilità e tanto più sottomessa quanto più il tiranno si prendeva gioco di lei.» (*7) (*8)
In altre parole sbaglia Popper a parlare di “credulità del nostro tempo” perché è la “credulità di ogni tempo”.
Aggiungo una considerazione più generale: Popper, come si intuisce dal titolo di questa sua opera, non crede che sia possibile trovare regole e leggi che possano spiegare la storia e la società. Il suo principale argomento è che ogni epoca e società ha le proprie peculiarità che non possono essere generalizzate.
Come sapete nella mia Epitome il capitolo 5 è intitolato “Le leggi del potere” che invece hanno proprio lo scopo di dare una chiave di lettura alla storia e di aiutare a decifrare la società moderna: il motivo è che le mie leggi sono assolute, non legate cioè a uno specifico tempo e società, perché si basano sui limiti psicologici umani che variano solo in molte migliaia di anni.
Questo è il motivo per cui Popper si confonde e non riconosce una legge generale confondendola con un accidente del proprio tempo: dal mio punto di vista è invece automatico considerarla il frutto di vari limiti umani e, quindi, caratteristica universale di qualsiasi società umana.
A fine pagina 100 invece ci sarebbero un paio di paragrafi interessanti perché anch’essi attuali, stavolta per la guerra in Ucraina. Solamente non ho più voglia di copiare un’altra lunga citazione quindi mi limito a sintetizzare il concetto.
L’uomo è facilmente motivato quando lo si costringe a qualcosa dicendogli che è contro l’ingiustizia, lo sfruttamento, la povertà, la disoccupazione etc. In tutte le guerre i soldati combattono convincendosi di essere dalla parte del bene e della giustizia…
Scrive quindi Popper (alla fine è un passaggio breve…): «Forse ciò potrà spiegare in parte come mai nei paesi democratici che si difendono contro l’aggressione, le necessarie misure di vasta portata […] vengono sufficientemente appoggiate senza la soppressione della critica pubblica, mentre nei paesi che si preparano ad un attacco, o che sono impegnati in una guerra aggressiva, la critica pubblica generalmente dev’essere soppressa affinché si possa ottenere il favore del pubblico presentandogli l’attacco come difesa.» (*9)
E infatti ormai l’occidente è in decadenza e la nostra democrazia è parimenti degenerata: ecco perché la UE (con quale autorità?) ha prontamente censurato i canali russi. Ecco perché ci dicono che la Russia è l'aggressore omettendo di menzionare gli otto anni in cui, in barba agli accordi di Minsk, l'Ucraina ha bombardato le regioni del Donbass. La menzogna è infatti credibile solo quando è da sola: se vi si affianca la verità i suoi limiti risultano evidenti.
A pagina 101 si conclude ripetendo per l’ennesima volta come gli esperimenti di fisica siano fondamentalmente diversi da quelli sociali. Grazie Popper per avermelo fatto notare.
Conclusione: mi è venuto un pezzo particolarmente lungo ma mi pare che nel complesso sia interessante: Popper ha scritto sì le solite ovvietà ma che, guarda caso, sono ovvietà che illustrano bene le meschinità della nostra società. Paradossale, forse tragico, come Popper scrisse queste pagine in indiretta opposizione al modello comunista e a difesa della democrazia occidentale: oggi le stesse parole denunciano invece proprio i limiti della degenerazione di quella società che originalmente aveva inteso difendere...
Nota (*1): tratto da «Miseria dello storicismo» di Karl Popper, (E) Feltrinelli, 2019, trad. Carlo Montaleone, pag. 93.
Nota (*2): mi sono basati due secondi anche perché più o meno è tutto il libro che Popper gioca con questi concetti e, quindi, avevo già le idee piuttosto chiare…
Nota (*3): ibidem, pag. 97.
Nota (*4): ibidem, pag. 98.
Nota (*5): ibidem, pag. 99.
Nota (*6): ibidem, pag. 100.
Nota (*7): tratto da “Discorso della servitù volontaria” di Étienne De La Boétie, stampato da Amazon Italia Logistica, trad. Luigi Geninazzi e Pietro Fanfani, pag 100.
Nota (*8): Allarme serendipità: entrambe le citazioni si trovano a pagina 100 dei rispettivi volumi!
Nota (*1): tratto da «Miseria dello storicismo» di Karl Popper, (E) Feltrinelli, 2019, trad. Carlo Montaleone, pag. 100.
Il ritorno del gladiatore
7 ore fa
Ho citato questa pagina.
RispondiEliminaHo visto: troppo gentile!
RispondiEliminaLa censura è sempre segno di fragilità delle posizioni dei cesori: se distaccati dalla realtà, se vacui, ottusi nei loro fanatismi ideologici, cercano in ogni modo di amputare le dita, non accorgendosi della luna sopra di essi.
RispondiEliminaSulla censura sfondi una porta aperta: ho pure la vignetta per "censura"!
EliminaPiù in generale io mi rifaccio alla teoria di Mill:
https://parole-sante.blogspot.com/2012/10/liberta-dopinione-12.html
e
https://parole-sante.blogspot.com/2012/11/liberta-dopinione-22.html