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mercoledì 6 maggio 2020

Triste insegnamento bridgistico

Lunedì sono andato a trovare mio padre: per carattere né io né lui siamo per abbracci o altre effusioni affettive che, infatti, non ci sono state.
Nel pomeriggio aveva fissato di giocare a bridge con degli amici: io ero curioso di vedere come funzionava il sistema in linea e sono rimasto un po’ a guardare.
Devo premettere che mio padre è stato un giocatore di bridge molto forte e anche adesso, a 82 anni, è un ottimo giocatore.
Io invece non ho mai neppure provato a imparare tale gioco: le carte mi ispirano un’innata antipatia e non mi attirano. Però, avendo passato una vita a sentir parlare di tale gioco, un’idea abbastanza precisa me la sono fatta.

In particolare la partita, giocata da quattro persone a coppie, è diviso in due fasi: la prima è quella di licitazione. Usando un linguaggio in codice, valore e seme di una carta, i giocatori cercano di comunicare al compagno le caratteristiche della propria mano. Ci sono due vincoli: le varie licite devono andare a crescere, non posso cioè usare come codice una carta di valore più basso di quella precedentemente dichiarata (volendo si può “passare”) e, dopo tre “passo” consecutivi, l’ultimo giocatore che ha parlato deve giocare proprio il codice, ovvero realizzare il numero di prese nel seme indicato. Inizialmente non c’è quindi una relazione fra quanto dichiarato e quanto si ha effettivamente in mano ma progressivamente, almeno nell’ultima dichiarazione utile, sì. I vari codici usati sono detti “sistemi” e, ovviamente, ne esistono moltissimi: curiosamente questi sistemi non sono segreti e un giocatore può sempre chiedere all’avversario il significato di ciò che ha dichiarato. (Suppongo sia un sistema per limitare gli imbrogli: ovvero comunicazioni fatte con smorfie, starnuti e simili!)
Nella seconda parte del gioco il giocatore che ha vinto la licita dovrà cercare di fare il numero di prese specificate nel contratto per un determinato seme (il valore e seme dell’ultimo codice usato) mentre la coppia avversaria cercherà di impedirglielo. Questa parte del gioco per i giocatori esperti è piuttosto meccanica e infatti il babbo la gioca senza esitazioni.

Nella mano che ho visto giocare il babbo aveva molte picche fra cui asso e re (era quindi forte a picche). C’è stato un paio di giri di dichiarazioni e mio padre si è trovato nella situazione di dover decidere cosa fare: giocare lui a picche oppure passare. La compagna di mio padre, che sa giocare a bridge, diceva che doveva passare; mio padre però, dopo averci pensato qualche secondo, ha deciso di giocare per le picche. L’avversario, che pensava che non riuscisse a fare le prese indicate, ha poi raddoppiato la posta: i punti fatti o persi sarebbero stati moltiplicati per due.

Alla fine mio padre NON è riuscito a fare le prese del contratto e quindi, invece di guadagnare punti, ne ha persi 300.

Sul momento ho pensato: “evidentemente il babbo qui ha sbagliato”, poi essendomi già annoiato abbastanza sono uscito per tornarmene a casa.
Durante il tragitto ci ho ripensato e sono arrivato a un’interessante conclusione: il bridge non è come gli scacchi un gioca a informazione completa: questo implica che la correttezza di una mossa (di una dichiarazione) non la si può giudicare dal risultato finale della partita ma va valutata statisticamente.
È possibilissimo che, con le stesse carte in mano e con le stesse dichiarazioni da parte degli altri giocatori, il babbo avrebbe vinto 8 volte su 10. In tal caso il suo gioco, indipendentemente dal risultato finale di quella singola partita, sarebbe stato corretto.
Curiosamente poi, ripensandoci, mi sono ricordato che il babbo non era amareggiato per aver fatto un errore ma, forse, provava solo un superficiale disappunto perché le cose non erano andate come sperato: dico superficiale perché mi sembrava già nella forma mentale di affrontare la mano successiva senza condizionamenti emotivi come, immagino, sia normale per i bravi giocatori.

Ripensandoci mi pare che la fase di licitazione del bridge sia affine a un classico problema informatico: quello di minimizzare l’entropia nell’informazione. Almeno questo è quello che mi sembra di ricordare dal corso di Teoria dell’Informazione e della Trasmissione (TIT per gli amici!).
Ovvero il sistema di gioco ideale dovrebbe massimizzare l’informazione trasmessa da ciascun codice pesata per la probabilità che si verifichi una certa classe di mani. Poi, chiaro, le regole specifiche del bridge complicano il tutto però, se ne sapessi di più del gioco, mi divertirei a ragionarci sopra…

Conclusione: comunque il succo di questo pezzo, il suo insegnamento generale cioè, è che alcune situazioni non si possono giudicare col senno di poi (ma, al limite, con la statistica dove e quando sia possibile farlo). E in effetti si tratta della maggioranza: l’influenza del caso è sempre predominante nella vita. Anche giocando al meglio le cose possono andare male.
Non so: forse è per questo che le carte, con la loro casualità, non mi piacciono e ho preferito un gioco, come gli scacchi, dove l'elemento della fortuna è assente...

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