Oggi sono un po’ rintronato: ho finito il primo sottocapitolo del nuovo capitolo sull’Italia ma ora non mi ricordo più come volevo proseguire! Vabbè, domani o stasera ci ragiono e vedo di iniziare il 16.2…
Comunque, a parte il precedente accenno all’Epitome, volevo scrivere d’altro.
È da stamani che mi è tornato in mente un vecchio aneddoto: potrei averne già scritto ma sicuramente le considerazioni odierne sono nuove e poi comunque, se non me ne ricordo io, sicuramente non se lo ricordano neppure i miei lettori (*1)!
La vicenda avvenne quando avevo sui vent’anni, parecchi/troppi anni fa: mio padre aveva organizzato un’escursione all’Abetone con dei suoi amici e io mi aggregai con un paio dei miei.
La gita in sé fu piacevole anche se stancante tanto che uno dei miei amici, soprannominato il Topo, mandò a quel paese un amico del mio babbo che, comunque, facendo l’arbitro di bridge, c’era così abituato che fece tranquillamente finta di nulla…
Per tornare alle macchine dovevamo prendere la funivia che ci avrebbe riportato al parcheggio. In tutto eravamo una quindicina, forse più, di persone: noi eravamo in 6 e probabilmente c’erano altri due o tre gruppi.
C’eravamo quindi sistemati un po’ pigiati all’interno della cabina che sarebbe dovuta partire da un momento all’altro quando un fulmine cadde su uno dei pali di sostegno, piuttosto vicino. La cabina oscillò violentemente e tutti scapparono fuori alla massima velocità.
Beh, tutti tranne me: io ero sul fondo della cabina e, a occhio, il palo di sostegno e il cavo mi erano parsi integro: e francamente il panico mi parve eccessivo. Ricordo che, per sottolineare che non ero scappato via come un vile ovino, con voce annoiata chiesi a mio padre se dovevo portare fuori dalla cabina anche gli zaini (che erano stati abbandonati nella fuga precipitosa)…
Non è che il lampo e il boato del fulmine non mi avessero fatto paura: solamente che dopo mezzo secondo, constatando che la cabina non era cascata, mi ero subito tranquillizzato.
La riflessione “nuova” di stamani è se il non uscire rapidamente come gli altri fosse stata la decisione migliore: se, cioè, la mia valutazione di cessato pericolo fosse stata corretta o, magari, nel dubbio, sarebbe stato meglio precipitarsi fuori come gli altri…
A logica a una funivia un fulmine non dovrebbe fare né caldo né freddo: semplicemente farà da parafulmine facendolo scaricare a terra. Ma sul momento non credo (non ricordo) di aver fatto questa riflessione: più prosaicamente mi ero limitato a osservare che il palo di sostegno più vicino era in ordine, certo il cavo oscillava molto ma si stava già fermando…
Eppure… bo: non essendo un esperto né di fulmini né di funivie probabilmente sarei dovuto uscire rapidamente anch’io…
Comunque il Topo, grazie all’improvvisa emozione, tornò di buon umore: lo ricordo bene perché ci feci caso trovando il fatto divertente.
La funivia non era crollata ma comunque il fulmine aveva messo fuori uso l’impianto elettrico: così il gestore, che aveva lassù la sua macchina, disse che poteva portare giù con sé cinque persone: a quel punto intervenne mio padre che suggerì che le cinque persone avessero tutte la macchina in maniera da poter tornare su a prendere le altre. Me lo ricordo perché mi sembrò un’ottima idea: in questa maniera non si perse troppo tempo…
Vabbè, mi sembrava più interessante: comunque, indipendentemente dalla correttezza o meno della mia decisione, credo si possa affermare con una certa sicurezza che non mi faccio prendere dal panico!
Conclusione: in realtà ho una teoria più generale sulla mia tipologia di carattere e sul suo valore evolutivo ma, ormai, ne scriverò (forse) in un altro pezzo...
Nota (*1): e c’è anche un detto degli scacchisti russi: “Le vecchie mosse di apertura, che però non si ricordano, sembrano nuove”.
Se tutto è antisemitismo
18 minuti fa
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