Strabuccino dovette aver fatto qualche rumore senza accorgersene perché in un attimo Pensierino fu lì: l'uomo e la corva si fissarono. Lo sguardo di Strabuccino esprimeva amore incondizionato mentre quello di Pensierino semplice stupore. Ma questo magico attimo durò poco.
Gli occhi di Pensierino si rivoltarono all'indietro, un filo di bava iniziò a colare copioso dal suo becco mentre le penne si arruffavano per la collera.
«Kraaaaaa?!! KRAAAAA!!!» - gracchiò Pensierino.
«Calmati Pensierino! Non volevo prenderti in giro: pensavo d'avvero di essere morto!» - esclamò Strabuccino capendo che l'origine della rabbia di Pensierino proveniva tutta da quella singola e sfortunata incomprensione.
Troppo poco e troppo tardi: ormai Pensierino era diventata una furia e non si riguardava più dal non far soffrire inutilmente Strabuccino che, ancora legato, la vide piombare su di sé come un angelo vendicatore.
Pensierino, memore che la troppa carne le aveva fatto male, puntò direttamente al volto di Strabuccino e iniziò a beccarlo selvaggiamente: la vittima urlava e cercava di sfuggire ai suoi colpi ruotando la testa da una parta all'altra ma era tutto inutile...
«No Pensierino! Basta! Ti prego, mi fai male!» - urlò Strabuccino.
Ma Pensierino aveva sopportato troppo a lungo per avere adesso pietà e così continuò a infierire sul volto insanguinato di Strabuccino.
Quando la rabbia iniziale di Pensierino passò, il volto di Strabuccino era ormai una maschera di sangue: le guance erano a brandelli e quello che rimaneva del naso, quasi completamente strappato, pendeva da una parte.
Ma, se la rabbia era terminata, altrettanto non si poteva dire per la collera: da quel momento in poi Pensierino divenne più metodica...
Prima finì di strappare il naso lasciando scoperti al suo posto i fori nel cranio e un un po' di cartilagine: a ogni faticoso respiro spruzzi di sangue ne gorgogliavano fuori. Ogni singolo respiro era una tortura e Strabuccino rischiava di soffocare nel proprio sangue.
Dopo un po' Pensierino, annoiata dalle laceranti urla di dolore dell'uomo, decise di porvi rimedio.
Prima tagliò via, col suo becco aguzzo, le labbra di Strabuccino: come fossero dei vermi grassocci li risucchiò ingoiandole intere; da buongustaia si leccò il becco soddisfatta. Poi, a uno a uno, con potenti beccate spezzò i denti che ora più che mai, non più nascosti dalle labbra, sembravano sorriderle beffardamente. Infine il premio più ambito fu alla sua portata: la lingua che, sebbene ricoperta di sangue, ancora guizzava da una parte all'altra di quella che, una volta, era stata una bocca ma che adesso era solo un ammasso rivoltante di sangue, denti e lembi di carne.
E finalmente fu silenzio! Adesso ogni beccata non era più seguita da un fastidioso grido ma da un molto più tollerabile muto gorgoglio con annesso schizzetto di sangue.
La collera di Pensierino si era quasi placata ma gli occhi accusatori di Strabuccino ancora la fissavano così, irritata, balzò di nuovo su quello che restava del volto di Strabuccino e, con una singola potente beccata affondò il capino dentro il globo oculare destro di Strabuccino: l'occhio collassò e la massa viscida che lo componeva venne risucchiata dalla corva che la bevve come fosse nettare. Non avendo più appetito decise quindi di “conservare” il secondo occhio: con attenzione infilò il becco fra bulbo oculare e cranio e, lentamente, ne recise tutti i muscoli che lo tenevano al suo posto: infine, con un “plop”, riuscì a estrarlo del tutto...
Fu così che, prima che il nervo ottico si strappasse, Strabuccino riuscì ad avere una fugace e sfocata visione di ciò che restava del suo volto. Poi tutto divenne nero e Strabuccino perse i sensi...
Quando Strabuccino si risvegliò era notte fonda. L'uomo ormai cieco non vedeva niente ma i rumori della notte si sentivano chiaramente.
«
Ma... ho le mani e le gambe libere! Allora Pensierino forse mi ama ancora!» - pensò Strabuccino tutto felice.
«
Ma se mi ama perché mi ha straziato il corpo e le mani così ferocemente?» - e fu allora che Strabuccino, febbricitante per le ferite infette, ebbe un'illuminazione - «
Oh mia povera adorata Pensierino, ora capisco! Sono stato uno scellerato e ho cento volte meritato quello che mi hai fatto! Il mio amore era così cieco che non vedevo le tue sofferenze! il mio amore era così sordo che non sentivo le tue invocazioni d'aiuto!”
«
Bestiolina infelice, tu che eri nata per volare libera nei cieli, eri costretta a vivere in questa buia casa... Come ho fatto a non rendermene conto? Ma ora, benché mi restino pochissime forze, devo redimermi: devo trascinarmi fuori dal letto per andarti ad aprire la porta in maniera che tu possa andartene con la mia benedizione...»
Strabuccino cercò di raccogliere le forze per qualche minuto ma, rendendosi conto che invece di aumentare queste parevano diminuire, ruppe gli indugi e si lasciò rotolare giù dal letto con un muto grido di dolore.
Strabuccino era infatti rimasto incosciente per quasi due giorni e Pensierino era tornata più volte a visitarlo. Ne aveva straziato ulteriormente il corpo, vuoi per fame che per passare il tempo, e ne aveva approfittato per defecargli nelle orbite vuote e in gola.
Strabuccino aveva le gambe rotte in più punti, della mano sinistra rimanevano solo degli ossi scarnificati all'altezza dell'avambraccio mentre, da una vasta e profonda ferita al ventre, perdeva sangue e fetide interiora...
Con straziante lentezza Strabuccino si trascinò fuori dalla porta di camera fino al pianerottolo delle scale: per giungere alla sua dimora era infatti necessario percorrere una lunga scala a chiocciola che saliva dal portone d'ingresso al livello del terreno.
Un po' aiutandosi con il braccio con la mano buona, quella cioè alla quale mancavano solo il mignolo e l'anulare, e un po' lasciandosi scivolare, Strabuccino arrivò ai tre quarti del tragitto quando un pensiero lo fermò: «
Che stupido che sono! Pensierino non vorrà mai abbassarsi a uscire dalla porta! Devo tornare sopra e aprirle una finestra...»
La discesa era stata lenta e dolorosa ma la salita fu dieci volte più lenta e cento volte più straziante. Non potendo sfruttare la gravità a proprio vantaggio, ogni singolo gradino fu come una montagna per Strabuccino: egli, che non poteva far forza con le gambe, poteva aiutarsi unicamente con il braccio destro e col poco che rimaneva del sinistro e così, per ogni cinque scalini che saliva, spesso ne riscivolava indietro di tre o più.
Più volte svenne per la febbre e la fatica: erano infatti giorni che non mangiava. Fortunatamente risalendo trovò da leccare la scia del proprio sangue e, talvolta, dei gustosi pezzetti di intestino che erano fuoriusciti dal suo ventre durante la discesa...
Dopo ore, forse giorni, Strabuccino riuscì a raggiungere la sommità delle scale. Ormai era completamente esausto con un nugolo di mosche che gli sciamava intorno e migliaia di larve che si nutrivano nelle sue ferite infette.
Lentamente strisciò in salotto dove una disgustata Pensierino lo guardava da lontano: l'olfatto sensibile della corva era infatti urtato dagli sgradevoli odori che provenivano dal fetido corpo di Strabuccino.
Con lentezza esasperante Strabuccino arrivò al termosifone situato proprio sotto la finestra: ma come fare per alzarsi ed aprirla? Il cervello di Strabuccino, ridotto ormai a un ammasso di putrida gelatina, funzionava molto lentamente: nonostante ciò Strabuccino ebbe l'idea di costruirsi una specie di strada per arrivare all'agognata vetta. Prese così ad ammucchiare i libri accanto al radiatore in maniera da potersi trascinare sopra di essi fino alla finestra.
Dopo ore di terribili sforzi Strabuccino riuscì a toccare con l'indice della mano destra il vetro della finestra!
Ma la pazienza di Pensierino era finita: vedendo che Strabuccino invece di starsene buono, morto e fermo stava impuzzolentendo tutta la casa, passò all'azione.
L'uomo era prono sui libri, mentre con il braccio buono cercava di raggiungere la maniglia della finestra, e fu così che Pensierino lo colpì dal retro sulle parte intime: prima squarciò quello che rimaneva dei pantaloni del pigiama e, subito dopo, attaccò la triste virilità di Strabuccino e le sue simpatiche noccioline. Pensierino aveva avuto la tentazione di ingoiarle ma il sapore disgustoso la fece desistere e sputò tutto.
Così, Pensierino infilò i genitali mutilati di Strabuccino a forza nel suo ano, spingendoli dentro con potenti pedatine delle sue zampette...
Ma per Strabuccino la sensazione non fu così terribile: ormai era aldilà del dolore e, anzi, trovò la cosa vagamente erotica.
Fu allora che Pensierino, rendendosi conto che il vecchio pervertito sembrava godere dei suoi sforzi, perse definitivamente il controllo e col becco in vanadio spaccò il cranio di Strabuccino sulla nuca e ne inghiottì l'ipofisi. Solo in quel momento Strabuccino morì.
Così Pensierino aprì tutte le finestre per cambiare aria e gettò il cadavere di Strabuccino giù da quella che tanto faticosamente aveva cercato di raggiungere e aprire.
Per calmarsi si fece un tè che sorseggiò lentamente, appollaiata sul davanzale della finestra dove Strabuccino era morto, gustandosi la brezza pomeridiana. Finita la bevanda, non avendo altro da fare in quella casa, se ne volò via per sempre.
Nel frattempo, il cadavere decomposto di Strabuccino si mischiò all'humus del terreno sotto le foglie della sua casa-albero dove era stato gettato. Dopo una notte ingentilita da una costante e delicata pioggerella, al mattino, iniziarono a sbucare dal fertile terreno numerosi funghi. Uno di questi, dall'aspetto particolarmente orrido e contorto, cresceva a vista d'occhio: era Strabuccino!
Non proprio il vecchio Strabuccino ma una nuova versione più saggia: conscia degli errori del suo precedente sé e quindi molto più matura.
A mezzogiorno il nuovo Strabuccino era già grande come un ragazzetto di un metro e mezzo e a sera, rendendosi conto che non sarebbe cresciuto ulteriormente, con un piccolo sforzo si staccò dal terreno e, nudo come un verme, andò a casa a farsi una doccia per togliersi il terriccio dalla pelle.
«
Certo ho imparato una bella lezione in questi giorni! Ma ora ho capito e non commetterò mai più lo stesso errore...» - pensò Strabuccino.
Proprio allora vide sul sentiero un povero corvo che, con un'ala evidentemente ferita, si trascinava per andare a nascondersi in un cespuglio di rovi.
Subito Strabuccino si avvicinò per cercare di aiutare la bestiola in difficoltà: questa tremava tutta e guardava con uno sguardo perplesso il buon Strabuccino che nel frattempo le parlava dolcemente per tranquillizzarla: - «Che corvo carino e buono che sei! Non aver paura, non ti farò del male...»
«Da oggi in poi ti chiamerò Gianlu... ahii!» - si interruppe con un grido di dolore Strabuccino: il corvo infatti, forse impaurito da un movimento troppo brusco, gli aveva improvvisamente beccato la mano.
«
Eh, no! Stavo per rifare lo stesso errore dell'ultima volta ma adesso non ci casco più!!»
Così Strabuccino si allontanò di qualche metro, rimuginò un poco fra sé, e infine, riacchiappando l'uccello incurante delle sue beccate, disse - « Con questo caratterino irascibile devi essere una corva pure tu e quindi devo darti un nome femminile e non maschile... Da oggi in poi ti chiamerò Memorietta e ci vorremo tanto bene!»
«Ahii!» - concluse Strabuccino alla beccata affermativa di Memorietta.