Avevo iniziato questo pezzo prima della censura di Blogger e, proprio per questo, ho deciso eccezionalmente di terminarlo e pubblicarlo qui. È però solo un’eccezione.
Dato il caldo non è forse il momento migliore per scrivere un pezzo impegnativo ma voglio comunque provarci: voglio preparare una specie di bozza per quello che diventerà un nuovo sottocapitolo per [E] 22 “Miscellanea”. Intanto inizio a buttare giù delle idee, poi continuerò a pensarci e a raffinarle.
L’argomento è la trasformazione genetica dell’uomo negli ultimi duemila anni circa.
Le basi da cui parto sono almeno tre: i dati sulla diminuzione del QI, il libro “From where we came to where we are going” (o come si chiamava!) di Reich e “Guida per il raccoglitore-cacciatore del XXI secolo” di Heather Heying e Bret Weinstein. E probabilmente altri che al momento non mi vengono in mente.
Il punto di partenza è che ricerche sulle caste sociali indiane hanno dimostrato delle differenze genetiche (Reich). Insomma partendo dal DNA di un indiano è talvolta possibile identificare la sua casta di origine. Questo significa semplicemente che le persone appartenenti alla stessa casta hanno del materiale genetico comune ed esclusivo.
Il sistema attuale delle caste si è codificato un poco più di mille anni fa e sarà a questo intervallo di tempo che farò riferimento.
L’altro elemento viene da Heather Heying e Bret Weinstein che spiegano come la caratteristica precipua dell’essere umano sia adattarsi all’ambiente grazie alla flessibilità della cultura e al lungo periodo di maturazione dei giovani (che hanno modo di imparare conoscenze che non sono istintuali). Cultura che, oltretutto, viene vista come un fattore epigenetico ovvero capace di influenzare l’espressione dei geni nella popolazione.
Il terzo elemento è quello della diminuzione dell’intelligenza: qui non posso citare una fonte precisa… Si tratta di informazioni che ho accumulato nel corso degli anni da più parti: talvolta ne ho scritto anche qui sul ghiribizzo.
Secondo questi dati l’intelligenza media dopo essere cresciuta per tutto il XX secolo sta calando negli ultimi trent’anni: non sono sicuro che questo dato sia significativo perché di certo non può essere una trasformazione genetica (senza considerare l’eventuale influsso dell’immigrazione). Personalmente propendo per inquinamento, alimentazione e magari qualche farmaco che abbia un’azione deprimente sullo sviluppo del sistema nervoso centrale di feti e bambini. Di nuovo quindi hanno forse ragione Heying e Weinstein a considerare la cultura, quindi la società, un fattore epigenetico: l’intelligenza dei bambini nati oggi sarebbe uguale a quella dei bambini nati 50 anni fa ma altri fattori evidentemente la deprimono. Senza poi considerare che il QI è molto dipendente dall’istruzione scolastica e dalla sua diffusione: questo è quasi certamente dietro alla crescita dell’intelligenza per i primi ¾ del XX secolo.
Ma, mi pare proprio l’anno scorso, mi imbattei in un dato più interessante: la diminuzione della capacità cranica nell’uomo. Questo fenomeno è comune agli animali da allevamento ed è associato a una maggiore docilità, mancanza di iniziativa e minore intelligenza. Caratteristica oltretutto riscontrabile nei cani rispetto ai lupi.
Mettiamo ora tutto insieme. Qual è la caratteristica delle società umane degli ultimi due millenni? Ho in mente l’Europa: chiaramente altre zone della terra hanno avuto un’evoluzione storica diversa ma con la globalizzazione tutto va a coincidere e a uniformarsi.
Beh, la caratteristica evidente è stato il passaggio da città a regni e adesso a stati con il lungo intermezzo dell’impero romano; contemporaneamente un progressivo aumento della popolazione.
Questo mi porta a due considerazioni su possibili tendenze. Ipotesi/intuizioni mie personali e che quindi, ne sono consapevole, potrebbero essere completamente errate.
Comunque ecco la prima.
Harari e la psicosociologia ci dicono poi che, da un punto di visto evolutivo, la capacità umana media di rapportarsi ai propri simili tramite conoscenza diretta si attesta alle circa 300 unità. Possiamo pensare a 300 persone conosciute direttamente come a una grande tribù o un piccolo villaggio: questa è la dimensione della società in cui l’uomo è vissuto per gran parte della sua storia (anzi preistoria!), diciamo degli ultimi 300.000 anni.
Vivere in una società dove tutti conoscono tutti implica che la reputazione personale e della propria famiglia è fondamentale. Le virtù e soprattutto i vizi e difetti dei singoli sono risaputi da tutti.
A chi metteva gli altri nei guai o si approfittava della società poteva andare bene una volta se nessuno si accorgeva di niente ma, presto o tardi, sarebbe stato identificato e punito magari anche solo con indifferenza e ostilità, più spesso con esilio (per esempio l’atimia presso gli antichi greci) o peggio.
Quanto sono ancora importanti questi valori in epoca romana! E ancora nel medioevo, almeno fra la nobiltà, cosa non si faceva per salvaguardare il proprio nome e quello della propria famiglia! Il nome e l’onore erano nettamente più importante della vita.
Ma la società evolveva, la popolazione cresceva e le città iniziavano ad avere ben più di 300 abitanti. In una città poteva benissimo non essere nota a tutti la cattiva fama di una singola persona. Questo equivale a dire che alcuni vizi sociali, abitudini e attitudini che favorivano il singolo a scapito del resto della popolazione, potevano passare inosservati. Probabilmente non se questi comportamenti erano sistematici e frequenti ma la furbizia occasionale poteva farla franca.
Se i miei ricordi scolastici non mi ingannano il prototipo dell’uomo nuovo, ovvero dell’uomo che sfrutta la propria astuzia e furbizia a danno degli altri è l’Ulisse di Omero Il poeta constata il successo dei suoi metodi ma il giudizio morale è negativo: Ulisse dovrà fare penitenza per placare Poseidone andando a edificare un tempio in suo onore là dove un remo verrà confuso dai locali per un ventilabro (ovvero lontano dal mare). Eppure l’astuzia di Ulisse viene già allora premiata dall’autorità: Agamennone favorisce Ulisse su l’alto e valoroso Aiace alla spartizione del bottino.
Insomma con la crescita delle città una furbizia tenuta a freno e non abusata diviene utile e apprezzata.
Personalmente ritengo che anche la giustizia umana e la religione abbiano avuto un loro ruolo importante nella diffusione di questo fenomeno.
La legge giustifica tutto ciò che non la infrange: il furbo che riesce ad approfittarsi della legge a proprio vantaggio non è un criminale ma, anzi, è tutelato proprio dalla legge che ha aggirato.
La religione cristiana invece, col sacramento della confessione, perdona i comportamenti immorali della popolazione. Se Dio perdona anche l’uomo ha meno giustificazioni per punire. La furbizia, vista come un peccato minore e che non viola esplicitamente la legge del tempo, si vede regolarmente perdonata. Quando poi si eccede una piccola donazione alla Chiesa rimette a posto la coscienza turbata. E i vicini del furbo che possono dire? “certo XXX talvolta è scorretto nel contrattare, e tempo fa ha fregato YYY, ma guarda che donazione ha fatto alla Chiesa e come il vescovo lo tieni in alta considerazione...”
Recentemente, con la rivoluzione industriale e con la grande urbanizzazione, le campagne dove fino a pochi secoli fa viveva comunque il grosso della popolazione (e dove quindi la morale individuale era ancora importante), si sono svuotate.
Nelle città con milioni di abitanti (ma ne bastano molti meno) il singolo cittadino è divenuto completamente anonimo: nessuno sa niente di nessuno. Qui la furbizia e altre qualità deleterie del singolo possono passare facilmente inosservate. Chi sa, per esempio, con assoluta certezza quali cittadini sono stati multati per evasione fiscale? Nessuno. E quindi non vi è una condanna morale che vada a punire il singolo che, semplicemente, se la cava pagando una multa.
Nella moderna società occidentale il furbo prospera: viene premiato e fa soldi e carriera molto più facilmente dell’individuo onesto.
Ovviamente un secolo di urbanizzazione non è sufficiente per modificare geneticamente una popolazione ma, a mio avviso, basta e avanza per moltiplicare la percentuale di furbi rispetto al resto della popolazione. Anzi la cultura è tale che anche chi non fosse geneticamente predisposto a imbrogliare il prossimo, o meglio la molto più anonima “società”, è spinto a farlo. Ecco, magari di nuovo la cultura/società è un meccanismo epigenetico che, in questo caso, fa emergere i comportamenti che premiano il singolo a discapito della comunità.
Una società funziona bene e prospera se tutti fanno il proprio dovere ma quando chi segue le regole inizia a essere considerato uno sciocco, ovvero quando il numero di furbi è significativo e questi vengono ammirati invece che guardati con disprezzo, ecco allora che il meccanismo inizia a funzionare male e infine si inceppa.
Se in una barca a remi un singolo furbo voga con scarso vigore magari passerà inosservato ma se lo fanno in troppi la barca cesserà di muoversi.
Qual è questa percentuale chiave, questa soglia che se oltrepassata inceppa il meccanismo sociale? Non saprei e probabilmente dipende da molti fattori che la rendono variabile e non assoluta. Ho la sensazione però che in occidente non ne siamo troppo lontani, forse solo un paio di generazioni. Del resto nel profittismo, l’ideologia che sta divenendo dominante, il bene assoluto è il denaro: come viene accumulato non è troppo importante; le qualità umane sono irrilevanti; il fine giustifica i mezzi, compresa ovviamente, la furbizia...
La seconda tendenza è invece “l’effetto pecora”.
La società impone all’individuo regole sempre più complesse e articolate. Chi le infrange (e non lo fa con l’astuzia del furbo) viene punito.
Soprattutto è mal tollerata la libertà e l’indipendenza del singolo: queste persone, esattamente come le pecore ribelli che non seguono il gregge, vengono eliminate.
Nel corso della storia quante sono state le rivolte e quante le rivoluzioni? Non lo so: ma di certo le prime sono state molto più numerose delle seconde!
Le rivolte sono rivoluzioni che non hanno avuto successo: e cosa succede ai rivoltosi? In genere vengono uccisi… e quindi non hanno figli o, se ne avevano avuti, magari pochi di questi sopravviveranno per raggiungere l’età adulta.
Io credo che da quando la società è divenuta sufficientemente complessa, diciamo un duemila anni (in occidente, di più altrove come in Cina o meno come in Africa, con l’eccezione dell’Egitto e, direi, del nord Africa in genere).
Duemila anni sono più che sufficienti per innescare una sorta di selezione, che qui è difficile dire se naturale o artificiale, che ha favorito l'acquiescenza al potere. Pensandoci meglio direi naturale perché chi reprimeva le rivolte non aveva in mente di fare in modo che sopravvivessero i geni degli individui più prudenti, pavidi e più disposti a subire qualsiasi ingiustizia in cambio del quieto vivere. Credo.
E proprio come per le pecore e gli altri animali di allevamento selezionati per la loro docilità ecco che anche il cranio umano ha iniziato a farsi più piccolo. Ora la dimensione del cranio non indica da sola l’intelligenza anche se varie ricerche scientifiche sembrano dimostrare una certa correlazione fra volume cerebrale e IQ. Il punto è invece che negli ultimi duemila anni (circa) vi è stata una selezione naturale/artificiale degli individui più mansueti e portati a fidarsi ciecamente dell’autorità.
Mettendo insieme queste due tendenze abbiamo la popolazione occidentale sempre più simile a un gregge ben felice di ruminare la propria erba in tranquillità senza preoccuparsi di eventuali ingiustizie. Fra questi ovini, sempre più spesso, compaiono pecore furbe (ma non intelligenti) che si approfittano dell’ottusa docilità delle loro colleghe per avvantaggiarsene.
L’esemplare più evidente di “pecora furba” è probabilmente il politico: a causa dell’influsso dei media le sue uniche abilità saranno concentrate nell’apparenza più superficiale: a partire dall’aspetto fisico piacevole, una parlantina inconcludente ma capace di ottundere l’ascoltatore, un umorismo vano e frivolo, la capacità di mentire senza pudore o imbarazzo. La loro furbizia non avrà niente a che vedere con l’intelligenza né con la preparazione ma sarà essenzialmente una disponibilità a piegarsi a qualsiasi compromesso, un cinismo peloso, una sopravvalutazione delle proprie capacità spacciata per sicurezza di sé, un enorme egoismo unito spesso a un narcisismo patologico che sono poi il combustibile che alimenta la loro sete di potere. Persone che se nate in una piccola comunità di poche centinaia di persone sarebbero state considerate degenerate e, probabilmente, ben presto allontanate dalla società e ripudiate con orrore e vergogna dai loro stessi famigliari.
Chiaramente una società di questo genere, ovvero formate da pecore ottuse e guidata da furbastri che mirano solo al proprio interesse, non può prosperare ma andrà invece verso la propria distruzione.
Una popolazione ottusa, passiva, acquiescente, priva di spirito critico e di scarso civismo seguirà docilmente il politico furbo, che guarda unicamente al proprio vantaggio infischiandosene del bene comune, perché non sarà in grado di riconoscerne i difetti che poi, ormai, culturalmente, non saranno più nemmeno considerati tali.
È facile pensare a dei politici che corrispondono al profilo che ho descritto: avevo fatto dei nomi espliciti ma lasciamo stare, rimaniamo nell’astratto per non turbare con sgradevoli concretezze qualche mio belante lettore ottuso (*1)...
Beh, ho un po’ divagato: è che tutto è interconnesso: a un fattore ne sono collegati molti altri che si sommano insieme influenzandosi vicendevolmente. Questo aspetto della natura umana è solo uno dei tanti fattori che aiutano a comprendere il mondo moderno.
Probabilmente quando inserirò questi concetti nel nuovo sottocapitolo vi aggiungerò molti riferimenti a numerose altre parti della mia opera.
Conclusione: incidentalmente riflettevo che un problema che mi pare di intuire nell’uomo comune è quello di non riuscire a considerare l’interazione di molti fattori fra di loro. Spesso ci si concentra su uno, massimo due elementi, quando invece sarebbero una decina. È un po’ il problema della linearità del linguaggio che esprime bene una sequenza di idee ma non quando sono fra loro parallele.
Mi viene in mente un video che ho visto l’altra settimana…
Ecco, facciamo finta che sia “materiale bonus” per questo pezzo pubblicato eccezionalmente: una specie di “corto” come ai vecchi tempi: copierò quanto scritto sul relativo quadernone su questo argomento.
No, non trovo l’annotazione che mi pareva di aver scritto: probabilmente volevo farlo ma poi mi è passato di mente. Vado quindi a memoria: il video riguardava l’intelligenza dei corvi e, in genere, degli uccelli. Inizialmente gli scienziati legarono l’intelligenza alla corteccia cerebrale (potrebbe essere un’altra parte del cervello, come sarà chiaro nel prosieguo non è questo il punto!): più corteccia corrispondeva a maggiore intelligenza. Nei mammiferi questo è più o meno vero per ogni specie animale. Gli uccelli però mancano completamente di tale parte del cervello! Per questo gli scienziati li ritenevano sostanzialmente stupidi e incapaci di intelligenza superiore. In realtà gli studi sui corvi hanno dimostrato che questi uccelli hanno un’intelligenza comparabile a quella di un bambino di sette anni! Usano strumenti e possono costruirli, combinarli e modificarli. Applicano le loro soluzioni senza bisogno che gli venga insegnato come fare. Eppure il loro cervello è piccolissimo…
Studiando più attentamente il loro cervello si sono scoperte altre differenze con i mammiferi meno evidenti ma ugualmente importanti. I loro neuroni sono più piccoli ma anche molto più fitti (a parità di volume hanno più neuroni); i collegamenti fra neuroni sono molto più numerosi e la loro disposizione è meno sequenziale (come nei mammiferi) e più “tridimensionale”, in ogni direzione cioè.
Ecco questo ultimo elemento mi è tornato in mente scrivendo del linguaggio sequenziale. Forse è la natura del cervello umano: la disposizione sequenziale dei neuroni che porta gli uomini a costruire lunghe catene di cause ed effetti che però prendono in considerazione pochi elementi. Il pensiero umano lo immagino simile a una catena mentre quello dei corvi magari è più simile a una ragnatela.
Insomma, la conclusione forse è che i mie pezzi sono più adatti ai corvi che agli uomini! ;-)
Nota (*1): sebbene, un vantaggio di un ghiribizzo criptico e complicato come questo è che filtra via i lettori meno dotati. Chi arriva in fondo a un mio pezzo sarà probabilmente una persona con capacità superiori alla media. Non lo scrivo per adulare ma perché è vero: ed è anche la migliore spiegazione del perché io abbia avuto pochissimi lettori!