I capitoli finali di “On becoming a person” di Rogers stanno diventando più interessanti. Chiaro che non poteva metterli all’inizio dell’opera perché tutti, più o meno, si basano sulla sua idea di seduta terapeutica. Quindi prima doveva spiegare il funzionamento di quest’ultima per poi rendere facilmente accessibili gli altri concetti che da questa si sviluppano.
Il titolo del capitolo in questione è “Dealing With Breakdowns in Communication – Interpersonal and Intergroup” e, in effetti, l’argomento è proprio questo!
In realtà io non sono completamente d’accordo con quanto viene spiegato ma prima cercherò di riassumere il punto di vista di Rogers e, a seguire, presenterò la mia critica/perplessità.
La comunicazione fra due persone o due gruppi talvolta non funziona: essi si parlano ma non si capiscano, poi magari si irritano e si arrabbiano e alla fine litigano. Se c’è un osservatore neutrale spesso questo riassume la situazione con “parlavano di cose diverse” o roba del genere.
Il motivo è che dopo aver ascoltato una persona (o letto un testo etc.) si ha la tendenza a valutare e a esprimere giudizi come “sono d’accordo” o “sono contrario”; l’altro a sua volte reagisce al giudizio con un proprio giudizio opposto e così via in una spirale d’incomprensione.
In realtà, quello che manca secondo Rogers, è la vera comprensione che a me [KGB] sembra possa sintetizzarsi con “mettersi nei panni dell’altro”. Al riguardo Rogers suggerisce il seguente esercizio.
Ogni persona, prima di dire la propria idea, deve riassumere ciò che il proprio interlocutore ha appena detto e tale sintesi deve essere approvata da questi. Cioè A fa il suo discorso iniziale ma B, prima di rispondergli, deve riassumere con parole proprie ciò che ha detto A e A deve dirsi soddisfatto da tale sintesi: solo a questo punto B potrà esprimere il proprio pensiero.
L’idea dell’esercizio è che così facendo B comprende bene il sistema di riferimento, ovvero il punto di vista, di A.
Il vero nocciolo del problema, mi rendo conto adesso, è che non basta capire le parole che ci vengono dette e analizzarle come tali ma vanno invece inserite nel contesto del pensiero complessivo del nostro interlocutore.
Questo metodo secondo Rogers può essere applicato a ogni livello, sia da singoli, gruppi o perfino istituzioni come stati. Disinnescando l’incomprensione le divergenze che restano sono puramente razionali e diviene più facile trovare un punto d’accordo.
Semmai, se l’argomento ha accenti emotivi particolarmente caldi, la presenza di un arbitro neutro potrebbe facilitare notevolmente il processo di comprensione (credo che qui Rogers avesse in mente i consulenti matrimoniali).
La mia critica è che, anche quando la comprensione avviene correttamente, vi sarà poi comunque un giudizio: altrimenti che comunicazione sarebbe?
Ma probabilmente questo Rogers lo dà per scontato: lui pone semplicemente l’accento su ciò che deve accadere prima e che io, basandomi su me stesso, do abbastanza per automatico anche se probabilmente non è così.
Sì, in genere direi che cerco di capire il contesto del pensiero altrui, ovvero le premesse su cui si basa, e di ricordarmi che è solo a causa di queste che arriva a conclusioni diverse dalle mie. Questo anche perché, probabilmente troppo ottimisticamente, do per scontato che il pensiero altrui sia sostanzialmente razionale anche se spesso non è il caso.
Riassumendo: prima si deve capire il contesto del nostro interlocutore e solo alla luce di questo interpretare il messaggio che ci viene passato. Se ci riusciamo allora le affermazioni di giudizio nette come “hai sbagliato” hanno meno senso perché se hai afferrato la prospettiva altrui allora hai capito anche perché tali affermazioni gli suonino valide e corrette. Anche se si rimane in disaccordo saremo quindi più costruttivi nella nostra critica: non attaccheremo l’altra persona ma solo il suo eventuale argomento debole o premessa fallace: sarà più un produttivo “io la vedo così” piuttosto che uno sterile “non è come dici tu”. Nel complesso questo ci porterà più facilmente a una sintesi di compromesso.
Conclusione: credo che questo capitolo di Rogers mi sia piaciuto perché dà una validità teorica a un mio modo di approcciarmi alla comunicazione con gli altri che applicavo istintivamente/logicamente ma sul quale non avevo informazioni utili della sua correttezza.
lunedì 4 marzo 2024
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Si ma 2+2=4 comunque la giri.
RispondiEliminaSe Tizio dice che 2+2=7 non c'è verso di "dialogare".
A meno che Tizio cominci introducendo una diversa matematica, che non cominci da "uno è un numero, due è il successivo di uno".
Una diversa matematica ipoteticamente potrebbe essere internamente coerente ma non avere senso all'esterno.
Quindi ci si potrebbe trovare comunque in condizioni di non dialogare, anche in questa improbabilissima ipotesi.
Gli esempi che ho fatto sono abbastanza lapalissiani.
Se tizio dice che un certo evento si è verificato e invece non si è verificato nemmeno ad anni di distanza, tanto più se il tizio premette le sue competenze e il suo metodo "scientifico" alle sue affermazioni, il tizio è folle oppure mente sapendo di mentire.
Se tizio, considerando la disputa tra Mario e Luigi, accusa Mario delle colpe che sono palesemente le colpe di Luigi, quando dico palesemente intendo che uno ha vent'anni e l'altro sessanta, uno abita al mare e uno in montagna, cose innegabili, ancora, tizio è folle oppure mente.
A questo punto si apre un altro capitolo, cioè perché si dovrebbe dialogare con qualcuno che è folle oppure mente.
Nel caso in oggetto, perché personaggi che propalano cose folli o menzogne vengono collocati in TV a fare le loro prediche.
L'unica risposta a cui posso pensare è che CONVENGA avere a che fare coi folli e i bugiardi perché c'è un grande mercato per lo sciroppo miracoloso tra gente ineducata o diseducata.
Episodi storici di "pifferai magici" non si contano.
Se poi il soggetto che pensa è ineducato o diseducato e nel suo mondo c'è posto per il "pifferaio magico" e per lo sciroppo miracoloso, è tutto "normale", allora diciamo che il dialogo è sempre possibile perché è indifferente se 2+2=4 oppure 2+2=7, in quel mondo non importa oppure non si percepisce la differenza. Tizio può dire qualsiasi cosa e non importa se sia folle o falsa, l'importante è che piaccia.
Vabbè, rispondo a questo vecchio commento.
EliminaCredo che qui Anonimo si riferisse a dei precedenti scambi di parere in particolare sulla guerra in Ucraina. Quello che prende fischi per fiaschi ero io, lui quello che invece si basava sulle informazioni corrette.
Inutile ritornare sull’argomento di quali siano i fatti veri e quelli falsi.
Qualche giorno dopo a questo suo commento infatti gli risposi indirettamente col pezzo Criteri di propaganda dove propongo dei criteri per rendersi conto se l’informazione con cui veniamo in contatto è corretta o no.
Mi sembrava logico infatti spostare il problema dalla veridicità dei singoli fatti all’euristica con cui si accumulano. Inutile dire che le “mie” fonti soddisfano i criteri che presento: quindi, se i criteri sono completi e non errati, allora le “mie” fonti sono attendibili e le informazioni che forniscono sostanzialmente corrette.