Oggi voglio presentare un libro scritto da un amico: “Lecce Homo” di Peter Genito, Robin Edizioni srl, 2016.
Personalmente mi piace molto leggere i lavori di persone che conosco sia per comprendere aspetti più celati della loro personalità ma anche perché, “filosoficamente” (v. Patria e invidia), amo incoraggiare e magari aiutare o consigliare chi si impegna in qualcosa fuori dalla norma.
Siccome non mi riesce mentire talvolta può essere anche difficile trovare degli aspetti positivi da lodare e, di contro, riuscire a fornire una sintesi costruttiva, che non demoralizzi l’autore, dei difetti riscontrati.
Fortunatamente non è questo il caso di oggi!
Basti dire che ho letto le 150 pagine del romanzo in appena due giorni perché mi aveva avvinto ed ero genuinamente curioso di scoprire come terminava.
Attenzione sciupatrama! Da qui in poi potrei descrivere aspetti del libro che potrebbero guastare o ridurre il piacere della sua lettura!
Prima di tutto, nonostante il sottotitolo “Un difficile caso per il commissario Mazzotta”, non si tratta di un giallo: io, da non esperto di narrativa, lo definirei come un dramma famigliare/psicologico.
Adesso sono contento di averlo fatto ma, onestamente, non avrei iniziato a leggerlo se l’avessi saputo prima!
Non sono neppure un esperto di gialli ma, in genere, la trama di quelli che ho letto si basa su un mistero che viene faticosamente risolto dal protagonista di turno grazie a indizi, logica e strane coincidenze. In “Lecce homo” invece il commissario Mazzotta compare solo all’inizio e alla fine del libro: delle indagini vere e proprie non viene praticamente raccontato niente.
Però la struttura della trama è stata ben congegnata: facendoci entrare nella testa del fratello della vittima, piena di paure, rimorsi e addirittura allucinazioni, si viene portati a credere che egli sia effettivamente l’assassino. Resta da scoprire quale sia stato il suo movente: questo sembra emergere lentamente nella descrizione del rapporto fra i due fratelli (ripercorso attraverso vari lampi temporali) e, soprattutto, del loro diverso approccio alla vita.
Non ci sono mai stati scontri fra i due ma da entrambe le parti sono nate piccole gelosie ingigantite però dai legami affettivi: ecco quindi l'origine nevrotica dovuta al conflitto irrisolto di amore/odio che porta alla genesi del senso di colpa che affligge il fratello della vittima e che si manifesterà con vere e proprie allucinazioni.
Il lettore è quindi curioso di scoprire cosa abbia guastato la relazione fra i due tanto da spingere un fratello a uccidere l’altro ma in effetti, non è così: forse il messaggio più originale dell’opera è che vi può essere senso di colpa anche in assenza di colpa. Che ci si può sentire colpevoli anche di ciò che non si è fatto perché lo si sarebbe voluto fare o, almeno, si sperava che potesse accadere.
Questo aspetto è probabilmente all'origine del titolo, al di là del simaptico gioco di parole: fra i vari temi del romanzo vi è infatti anche una denuncia degli aspetti più meschini, ma anche più umani, dell'uomo. Forse non è un caso che anche gli accenni alla società italiana degli anni recenti siano tutti pessimisti e delineino un paese in totale decadenza, non solo economica ma soprattutto morale.
Altro punto di forza di quest’opera è la sensibilità della tecnica scrittoria: Peter Genito infatti è anche un poeta (mi sembra che abbia pubblicato tre raccolte di poesie) e questo si traduce in una grande attenzione nella scelta di vocaboli e di aggettivi che riescono a colorare di più significati ed emozioni le singole frasi.
Siccome il libro era in prestito non mi sono azzardato a scriverci annotazioni e, quindi, non posso ritrovare i passaggi che più mi avevano colpito: sono comunque fiducioso di riuscire a scovare qualche esempio anche aprendolo a caso, vediamo…
Ecco, per esempio: “mare a quadretti delle risaie”, “navigli meneghini, puzzolenti e fulgidi di mondanità” (pag. 50) oppure “Il cielo […] è un cofano di bronzo nero trapunto di stelle senza alone.” (pag. 65) o, infine “[…] ti aggrappi […] a quel grido ormai spento che senti sostare immobile” (pag. 92).
Insomma non termini prosaici, descrizioni piatte, ma qualcosa in più che riesce a legare emozioni alle parole. E questi sono esempi scelti a casaccio: inseriti nel loro contesto sono ancor più pregni di intensità.
Gli aspetti negativi sono pochi soprattutto quando si supera il disappunto di non stare leggendo un classico giallo come si poteva aver creduto di fare!
Leggendo il libro con spirito analitico (mi viene naturale con i gialli) ho trovato varie piccole contraddizioni logiche: ma queste sono irrilevanti alla storia e non vale la pena neppure di menzionarle.
Semmai ho trovato qualche difficoltà in una scelta stilistica: nel seguire e capire di chi sia, nei vari capitoli, la voce interiore che spesso commenta e descrive ciò che accade, facendo da contrappunto alle azioni del personaggio in quel momento descritto: a volte sembrano i pensieri dello stesso, altre volte ricordi o fantasie del fratello altre volte ancora la voce stessa dell’autore dato che sa cose che i singoli personaggi non potrebbero sapere.
Sarebbe anche interessante conoscere la genesi complessiva del romanzo, come è stata organata passo passo la sua struttura. Me lo chiedo perché non ho trovato tutti i capitoli omogenei: difficile da spiegare perché è una sensazione abbastanza ineffabile o almeno io non sono sufficientemente sensibile per coglierne e spiegarne gli aspetti più tangibili: comunque alcuni capitoli sembrano scritti più rapidamente, altri sono più poetici, altri vibrano di maggior emozione. Ecco, non dà l’idea di essere un’opera scritta di un fiato, ma sembra aver avuto una genesi più complessa, prolungata nel tempo, e magari con grandi trasformazioni strutturali (immagino capitoli tolti, aggiunti e spostati).
Intendiamoci, questi aspetti negativi, oltre a essere soggettivi del mio gusto, sono assolutamente trascurabili: li ho elencati solo perché una recensione composta solo di lodi mi pare squilibrata e poco credibile.
Conclusione: pensavo che tutto sommato il lento emergere della complessità del rapporto fra i due fratelli può corrispondere alla ricerca e indagine dei motivi di un delitto in un giallo classico. Quindi, tutto sommato, anche “Lecce Homo” può essere considerato un giallo sebbene molto sui generis. Un opera complessivamente piacevole e interessante che, soprattutto, ha il merito di incuriosire il lettore in maniera da trascinarlo in una lettura rapida e serrata: che non è poco!
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